di Giulia Gadaleta

jaumecabre.jpgJaume Cabré, Le voci del fiume, trad. dal catalano di Stefania Ciminelli, pp 570, € 21,50, ed. La Nuova Frontiera

Catalogna. Pirenei. Tra Sort e Torena. All’inizio c’è un sconosciuto che si intromette in una casa e cancella tutti i file che con le iniziali OF dal computer degli ignari padroni di casa. Sotto lo sguardo vigile ma impotente di Juri Andreevic, il gatto di casa. Ma che Juri è un gatto lo scoprirete alla fine quando il cerchio si chiude e il romanzo finisce dove era iniziato.


Prima sarete costretti alle acrobazie temporali di un romanzo che si svolge (non c’è espressione meno adatta, come se il tempo fosse un continuum progressivo e inarrestabile…) lungo tutta la seconda metà del ‘900. Tra i primi anni ’40, quando il franchismo deve ancora fare i conti con una resistenza che si nutre anche di aiuti internazionali e confida che, con la sconfitta del nazifascismo, anche la falange sarebbe crollata; il 1957 quando ormai è chiaro che questo è un’illusione e la gente si è rassegnata a covare i propri risentimenti nel silenzio; la fine degli anni ’70 quando con la morte del dittatore e il ritorno alla monarchia qualcuno decide di cambiare i nomi alle strade e tornare simbolicamente a toponimi pre-franchisti, ma anche quando i poteri economici si riciclano e si rifanno il machillage; il 2002 quando donna Elisenda Vilabrù si presenta per il colloquio in Vaticano, promotrice della canonizzazione di Oriol Fontelles, suo ex amante, ex maestro della scuola di Torena, ex falangista, ex marito di Rosa e padre di una bambina che non ha mai conosciuto. Chi è Oriol Fontelles? A incaricarsi del ristabilimento della verità nel romanzo c’è Tina Bros, maestra anche lei, ma della scuola di Sort. E questo è il piano temporale del presente. C’è Tina con la sua storia di corna, con le incomprensioni con il figlio, con una ricerca sui cimiteri dei paesi dei dintorni, con la sua visita nella scuola di Torena in cui trova per caso le parole vive di Oriol. Da quel momento lei sarà l’unica che sa la verità.Le voci del fiume.gif Tutti questi piani sono sovrapposti e abilmente montati in modo che il lettore arrivi alla fine delle 568 pagine dell’edizione italiana. E la verità sulla morte di Oriol Fontelles, che Tina conosce, ci viene data a dosi omeopatiche, goccia a goccia. Come nel suo altro romanzo tradotto in italiano, Sua Signoria (Gaffi, 2006) Jaume Cabré affronta il tema del rapporto tra memoria storica e memoria individuale. E della memoria collettiva come prezioso strumento di consenso e potere. L’ho incontrato a Roma alla fiera della piccola e media editoria, Più Libri Più Liberi.

Com’è nato Le voci del fiume, da che sollecitazione?

Quando ho iniziato questo romanzo non sapevo su cosa sarebbe stato, sapevo che volevo parlare di due maestri, uno che si collocava nel passato ed uno nel presente, vicino al tempo in cui stavo scrivendo il libro. La spinta l’ho avuta quando ho visitato un paese dei Pirenei e ho notato un edificio di una scuola abbandonata e ho pensato che mi sarebbe piaciuto scrivere delle persone che avevano vissuto in quelle mura. La prima immagine è un edificio scolastico abbandonato in un paese ormai quasi spopolato.

Un edificio come un contenitore di storie dimenticate?

Sì, sì, quando Tina entra nella scuola, e quando apre un cassetto, trova dei ricordi, i quaderni dei bambini ma sente anche la tosse di un’alunna… E poi l’idea di Tina che entra in una scuola che stanno per abbattere e che sembra l’ultimo vestigio è la prima cosa che ho costruito, che ho scritto. Io guardavo la storia con gli occhi di Tina. Poi la cosa si è complicata perché ho iniziato a parlare dei partigiani, perché l’ho situato negli anni ’40 che sono l’inizio della seconda guerra mondiale ma anche l’inizio dell’epoca più crudele del franchismo e tutti questi elementi sono entrati a poco a poco nel romanzo. Pertanto non c’era un progetto razionale “voglio parlare della guerra civile” ma è venuto poi…

Noi giornalisti cerchiamo sempre una razionalità nelle storie degli scrittori…

Quello che è successo è che solo quando inizi a lavorare inizi a pensare, ti vengono le idee e ti chiedi come trattarle.

Le voci dal fiume è un romanzo sull’amore e sulla memoria: Elisenda vuole riscattare la memoria collettiva della figura di Oriol, e per farlo se ne appropria e gli fa violenza. Mi spiega il suo punto di vista?

Pian piano mentre scoprivo i personaggi e i vari argomenti ho visto che mi sarebbe piaciuto trattare il tema del traditore dell’eroe, un tema che avevo letto in Borges e che Bertolucci ha portato sugli schermi con La strategia del ragno: è basato sull’idea che una cosa è uccidere una persona e un’altra ucciderne la memoria: inventare la storia, il passato di una persona è una cosa molto crudele ed è un tema che mi è piaciuto e per questo mi è venuta l’idea di lavorare sulla storia, sul rapporto di Elisenda e Oriol. Il personaggio di Elisenda cresceva e vedevo che era una signora che era abituata a comandare, a dominare su tutto, ma che non aveva previsto che un giorno di sarebbe innamorata e questo è quello che gli ha rovinato i suoi piani perfetti: perché dal momento in cui entra nella vita adulta con l’idea di vendicarsi della morte degli uomini di casa sua, il fratello e il padre (uccisi dagli anarchici ndr), a partire da questo momento sa che il suo rapporto con gli uomini è basato sul dare istruzioni… e invece un giorno si è innamorata…sua_signoria.jpg

Elisenda crede nel clericalismo, nella chiesa come istituzione e come sistema di potere…

Perché il clericalismo è potere. Mezz’ora fa ero in Vaticano a piazza San Pietro e guardavo quanta gente c’era, i souvenir, il merchandising, e ho pensato questo è il vero potere. Non tanto perché ci sono i turisti o perché vendono rosari, ma perché hanno avuto un potere sui corpi e sulle anime. Ed Elisenda non è scema e sa dove deve andare a cercare il potere per sostenere il proprio, quando le serve cerca aiuti nella dittatura o nella chiesa…

Perché se Elisenda si innamora e in qualche modo l’amore la cambia, ritorna poi se stessa e decide di riscattare la memoria di Oriol attraverso la menzogna?

Perché lei ha tanto potere che inventa la realtà, sfida Dio, dice “vedrai, vedrai che vincerò io!”

Come ha fatto a ricostruire i fatti storici legati alla prima fase del franchismo, quando c’era ancora una resistenza di guerriglia, che fonti ha usato?

Prima di tutto ho usato fonti di storiografia locale dei Pirenei, molto ricca, ci sono stati molti storici locali che pubblicano e aggiornano, e questo rappresenta un fonte importante per gli storici di più ampio respiro. Anche se tutti i personaggi e i fatti narrati sono inventati, sono della stessa grandezza dei fatti realmente accaduti, sia per la crudezza che sul piano della eroicità. Non c’è demagogia, ho inventato sulla base di quello che è stato. Il grande lavoro di documentazione è stato anche andare nei posti e sentire parlare la gente, guardare il paesaggio, farlo mio, interiorizzarlo.

Si sono pubblicati un sacco di romanzi sulla guerra civile, mentre il franchismo “quotidiano” inizia solo ora ad essere affrontato nei romanzi. È un momento più favorevole di altri? È un patto di silenzio che è stato rotto?

Nel passato per una lato c’era tutta la letteratura dell’esilio, c’erano molti esiliati sia in Europa che in America Latina, che hanno prodotto molto, soprattutto sulla guerra che è stata perduta. Durante il franchismo non si poteva pubblicare opere di questo genere. Forse era più facile parlare della guerra civile che della dittatura, perché la guerra è più epica, mentre la sconfitta non lo è. Ci sono ancora molti franchisti vivi e questo induce al silenzio, mentre le nuove generazioni non sanno nemmeno chi era Franco. La gente della mia generazione che ha vissuto il franchismo, ha vissuto anche una Transizione che ha lasciato delle ferite aperte. E questo è politicamente scorretto, perché adesso siamo in una democrazia. Dal mio punto di vista era necessaria una rottura, cioè cominciamo da zero e tutti dobbiamo pagare per le nostre azioni, non solo quelli che hanno perso… perché si è trattato di una guerra civile. Non è stato fatto e hanno lasciato ferite aperte e c’è gente che ha ottant’anni ed ha ancora paura di parlare. E il romanzo recupera tutto questo: per esempio è successo che gente abbia dovuto nascondere le persone dentro casa o sotterrarle in cortile di nascosto perché non si sapesse.

Il suo è un romanzo complesso, fa un uso continuo del flashback, c’è continuità tra i dialoghi che si svolgono nel presente e quelli che avvengono nel passato, il lettore deve essere sempre molto vigile altrimenti resta disorientato, è uno stile che ha scelto solo per questo romanzo?

La scelta di un narratore che parla da punti di vista mobili è una scelta che ho fatto in altri romanzi. In ogni romanzo ci sono aspetti stilistici e tecnici che sviluppo e poi incorporo, adotto o lascio da parte nel romanzo successivo, a seconda che mi interessino. Per esempio in un libro che sta per essere tradotto in italiano L’ombra de l’eunuc la prima e la terza persona si alternano come uno zoom, come se volessi avvicinarmi o allontanarmi dall’oggetto. E in Le voci del fiume mi sono trovato in una necessità nuova che era quella di eliminare il tempo, relativizzarlo per avvicinare Tina e Oriol e facendo questo avevo sempre presente il male e le conseguenze del male, perché altrimenti il lettore avrebbe detto “sono passati cinquanta anni…” mentre io penso che, anche se sono passati cinquanta anni, i fatti terribili sono quelli. Così ho pensato di eliminare il tempo e stare sempre in tutte le epoche del romanzo. E questo facendo in modo che il lettore non si perdesse.

Come ha lavorato per farlo? Ha montato i dialoghi di queste parti temporalmente separate in un secondo momento o ha fatto tutto insieme?

No, è nato tutto così, ero qui, ero là, difficilissimo, dovevo pensare contemporaneamente a varie epoche e montarle bene e facendo questo scoprivo a poco a poco l’argomento.

Si può dire che lei è un autore onnisciente, allora?

Io sono dio, creo i personaggi e quello che pensano. In generale c’è un narratore onnisciente, ma ha molta importanza quello che sanno i personaggi, ogni personaggio sa cose diverse… il narratore è in qualche modo alimentato da quello che dicono i personaggi. Ci sono tre livelli: quello che sanno i personaggi, quello che sa il lettore e quello che spiega il narratore. Per esempio io descrivo un maestro di sci che sta cercando di rimorchiare la sua allieva e il lettore sa che il padre di questo maestro di sci ha partecipato ad un atto eroico proprio in quel luogo durante la guerra civile. Questo il lettore lo sa, lo ricorda o lo intuisce, il narratore lo mette là e il lettore mette insieme le informazioni.

Ma questo modo di lavorare ha a che fare con il cinema?

Sì, ha molto a che fare con il cinema e con le immagini, per esempio alcune cose le penso a colori e altre in bianco e nero…

Quindi Tina a colori e Oriol in bianco e nero?

Sì, più o meno (ride).

Cosa sta scrivendo adesso?

Non lo so, sto scrivendo ma non so cosa ne uscirà. Quando scrivevo Le voci del fiume mi chiedevano cosa stai scrivendo e per due anni io rispondevo che stavo creando dei personaggi che non sapevo dove mi avrebbero portato e adesso è uguale. Decido che personaggi mi interessano, che atmosfera mi interessa, una emozione, ma non decido prima dove arriverò, se sarà un romanzo storico oppure no.

su le voci del fiume vedi anche [qui] le recensioni di Giancarlo De Cataldo e Francesca Lazzarato