di Fabrizio Lorusso

DonneCiudadJuarez.jpgIl funerale del cantante messicano Sergio Gómez, volto noto del gruppo “K-Paz de la Sierra” , tenutosi il 9 dicembre scorso a Indianapolis, si unisce agli oltre 2600 celebrati negli ultimi 12 mesi per seppellire le vittime di morti violente in un Messico, la maggior parte per motivi legati al narcotraffico. Il 97% di questi delitti è rimasto impunito e non sembra che si possano intravedere delle luci in fondo al tunnel d’impunità e lentezza in cui sono incagliati le procure nazionali, quelle statali e gli organi di giustizia in generale. Purtroppo i dati che testimoniano la violenza estrema della società e i casi irrisolti rappresentano una caratteristica ormai comune a tutti i paesi dell’area latinoamericana, specialmente El Salvador, Honduras e Colombia dove, per citare un esempio drammatico, basta considerare una sola città, Cali, per avere lo stesso numero di omicidi che registra tutto il Messico, circa 2400 solo nel corso del 2007.

Nell’ultima settimana, sono stati tre gli artisti messicani uccisi da scariche di pallottole e, per il momento, sembrano ignoti i moventi precisi degli omicidi. José Luis Equino, trombettista del gruppo “Los Condes”, è stato trovato morto in un fiume dello Stato di Oaxaca; Zayda Peña, cantante della banda “Zayda y Los Culpables”, è stata raggiunta da colpi di pistola in un motel di Matamoros e poi finita mentre era all’ospedale; infine, Sergio Gómez, il più famoso a livello nazionale e negli Stati Uniti, è stato sequestrato da alcuni uomini armati che l’hanno torturato e ucciso nello stato di Michoacan, nel centro del paese. L’anno scorso morì un altro idolo delle masse, Valentin Elizalde, alias El Gallo de Oro, che venne raggiunto insieme al suo manager da un gruppo di sicari dopo un concerto a Renosa, città di frontiera con gli Stati Uniti. Tornando ancora un po’ più indietro, nel 1995, un’altra morte per molti versi oscura ha fatto entrare nel mito la cantante di cumbia—pop Selena, vittima in Texas della ex presidentessa del suo stesso fan club, probabilmente per motivi passionali.
L’ondata di violenza che sta colpendo il mondo dei gruppi messicani ha suscitato numerosi commenti e ipotesi circa le possibili implicazioni dei loro membri in affari illeciti collegati, più o meno direttamente, ai potenti cartelli del narcotraffico che, come la maggior parte di questi artisti, hanno le loro radici e il loro pubblico nel nord del Messico. Si dà adito all’idea semplificatrice che dietro agli omicidi di questi personaggi pubblici, amati e seguiti dalla gente, ci siano i sicari dei narcotrafficanti che vogliono offrire punizioni esemplari ribadendo che “non esiste immunità” possibile per le loro vendette nemmeno per i cantanti.
Nonostante in alcuni casi possa essere esistita una qualche connessione tra la scena musicale popolare e il mondo del narco, è probabile che i motivi di questa violenza “normalizzata” siano più profondi e radicati nella stessa società, nei suoi costumi e nella diffusione di modelli comportamentali basati sulla violenza, il machismo, le armi, la cultura dell’eccesso, dell’alcol e, infine, dell’impunità quasi sicura. Sono gli stessi motivi che lasciano presupporre una responsabilità importante da parte delle istituzioni politiche e giudiziarie nel costante proliferare delle mattanze di donne a Ciudad Juarez e nella relativa tolleranza che si concede agli uomini rei di delitti contro le loro stesse mogli, figlie e vicine, in un ambiente dominato dalla corruzione e la connivenza delle autorità con i boss mafiosi della regione.
Un altro fattore che supporta questa tesi è l’eterogeneità delle vittime, che sembrano avere in comune la professione di musicisti, ma che non formano un movimento musicale e culturale compatto, anzi, si distinguono nettamente tra di loro tanto per il successo che ottengono quanto per il genere di cui sono i portatori. Infatti, è necessario distinguere tra il genere del “corrido” o “narco-corrido”, che sviluppa temi legati all’illegalità e al mondo del traffico di droga, dalla musica grupera in generale, la quale canta temi festaioli e d’amore invitando al ballo di coppia con il tipico movimento detto paso duranguense. A questo ambiente, in particolare, appartengono le vittime degli omicidi “eccellenti” degli ultimi mesi e sembra che non vi fossero relazioni né tra di loro né con alcun gruppo di narcotrafficanti o mafiosi.
L’allarmismo creato da alcuni mezzi di stampa e televisione ha portato alla cancellazione di concerti e ha accresciuto il mito della maledizione delle band messicane che, invece, costituiscono semplicemente un bersaglio facile e riconoscibile, come altri (ad esempio i giornalisti), di una violenza diffusa capace di esplodere dovunque vi siano grilletti facili, fiumi d’alcol, omertà, conflitti repressi e assenza istituzionale. Como citavo poco sopra, anche quella del giornalista sembra essere una professione a rischio in Messico e, in questo caso, è stata riscontrata una responsabilità diretta dei cartelli del narcotraffico: dal 2000 al 2007 l’ONG Giornalisti senza Frontiere (1) ha contato 28 omicidi di giornalisti, quasi sempre immischiati in ricerche sul mondo della droga, e ha collocato il Messico al secondo posto per pericolosità nell’esercizio di questa professione dopo l’Iraq. L’ultimo omicidio, il sesto del 2007, è avvenuto il 9 dicembre scorso a Uruapan, Michoacan, dove il giornalista de “La Opinion”, Gerardo Garcia Pimentel, è stato freddato da 45 colpi di pistola dopo un inseguimento in moto per le strade della cittadina. Si ipotizzano dei nessi personali con il narcotraffico anche se non si esclude la possibilità che la criminalità organizzata abbia voluto dare un avvertimento forte alla società messicana e, in particolare, alla popolazione dello Stato natale del presidente Calderón, che, proprio con l’operazione denominata “Michoacan”, ha intrapreso una lotta armata senza quartiere impiegando oltre ventimila soldati in tutta la Repubblica contro i cartelli della droga (2).

NOTE REDAZIONALI DI V.E.

1) ONG peraltro molto contestata a livello internazionale, per via dei suoi finanziatori. Per esempio, si legga qui.
2) Gli esiti risibili dello spiegamento di forze contro il narcotraffico tentato da Calderón stanno nei risultati: l’arresto di qualche coltivatore di piantine di marijuana nel proprio campo. Chi fosse interessato può trovare centinaia di commenti feroci negli archivi del quotidiano La Jornada e del sito El Sendero del Peje.