di Gaspare De Caro e Roberto De Caro

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[A conclusione e a corredo del saggio, si presentano tre importanti documenti ampiamente discussi nel testo, con l’avvertenza che mentre i primi due sono ancora leggibili ai rispettivi link, il terzo, l’intervento di Antonio Di Pietro, sarebbe ora davvero virtuale, se non fosse stato a suo tempo prudentemente pubblicato come fonte. A volte, si sa, in rete scripta volant: meglio premunirsi]

 

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ALLEGATO A

ASSOCIAZIONE NAZIONALE FUNZIONARI DI POLIZIA

Atti del Convegno

Democrazia, equilibri istituzionali e cultura della sicurezza civile

Roma, 12 gennaio 2000

COMMENTO ALL’ATTO CAMERA N. 6249 (RIFORMA FORZE POLIZIA E COORDINAMENTO)

Camera dei Deputati. Sala del Refettorio – Palazzo San Macuto

http://www.uni.net/anfp/conv1212000.htm

Dott. Giovanni ALIQUÒ

Ringrazio il Presidente per questa sua ampia e chiara introduzione. Direi che quasi potrebbe bastare quello che lui ha detto perché è l’essenziale. Ci chiediamo, infatti, perché, a distanza di quasi venti anni dall’approvazione della Legge 1° aprile 1981, n. 121, ci troviamo a doverci confrontare con un provvedimento come l’Atto Camera, il 6249, la famosa – o famigerata – delega al Governo in materia di riordino dell’Arma dei Carabinieri, del Corpo Forestale dello Stato, del Corpo della Guardia di Finanza e della Polizia di Stato. È significativo, al proposito, che fin dal titolo sia stata operata, nominando le Forze di polizia interessate, una strana inversione rispetto alle precedenze che erano stabilite dalla Legge 121 che, secondo me, non è casuale e non è stata dettata solo dal carsico fluire degli eventi parlamentari.
Norme in materia di coordinamento delle Forze di polizia: questa novella è il dato oggettivo dal quale dobbiamo partire per compiere, con la brevità che [impone] il consistente numero degli interventi previsti e di quelli che altri vorranno effettuare, un’analisi del presente e di ciò che dal 1981 ad oggi si è verificato.
Nuove prospettive si aprono con questo disegno e, perciò, abbiamo il dovere di chiederci se esso sia in grado di dare risposta alle più sentite esigenze dei cittadini ma anche alle attese di chi lavora per le Istituzioni come testimonia l’affollato uditorio.
Il nostro giudizio, come molti di coloro che sono presenti in questa sala sanno, è piuttosto critico. Noi riteniamo, infatti, che il provvedimento compia delle scelte di retroguardia, non coerenti ed istituzionalmente poco equilibrate. Scorgiamo profili di incostituzionalità nelle norme e, sostanzialmente, siamo convinti che si continuino a compiere vecchi errori, che tanto nocumento hanno arrecato in passato alla nostra Istituzione e al coordinamento delle Forze di polizia nel nostro Paese, e a creare nuovi pericoli per la democrazia.
Siamo perciò rimasti estremamente sorpresi della celerità con la quale, nelle Commissioni, a larga maggioranza, si è deciso di licenziare questo provvedimento, senza procedere a quegli approfondimenti che i numerosi emendamenti presentati avrebbero forse suggerito di compiere.
La prima considerazione che ci viene quindi da compiere muove dalla peculiarità della nostra democrazia, una democrazia calata nell’Europa, vicina ai valori occidentali, orientata alla sempre maggiore partecipazione del cittadino e tuttavia ancora soggetta ad influenze, condizionamenti e retaggi tipici di quei contesti nei quali non è del tutto affinato il sistema delle garanzie.
La nostra – si dice – è la «democrazia della comunicazione». Se è vero che, grazie all’informazione, alla comunicazione sono state abbattute molte differenze fra le classi sociali, è vero anche che il controllo dell’informazione nel secolo che si è appena chiuso è diventato uno dei principali strumenti per assicurarsi il potere.
Questa considerazione dovrebbe indurci, tenuto conto del progresso, della crescente diffusione delle tecnologie nel campo dell’informazione e delle molte questioni che giacciono sul tappeto, a considerare fin da ora necessaria la predisposizione di un insieme coerente di effettive garanzie e di forti controlli in ciascuno dei settori sensibili dell’informazione; ciò affinché il sistema nel suo complesso risulti equilibrato e funzionale non agli interessi dei pochi che tengono salde le leve del potere, ma a quelli della collettività.
Ecco dunque la necessità di affinare un sistema di controlli e di garanzie che assicurino la corretta utilizzazione dei patrimoni informativi. Un sistema di controlli e di garanzie che, nonostante l’istituzione di diverse Autorità Garanti, nonostante il lavoro delle competenti Commissioni parlamentari, nonostante l’azione governativa di controllo e l’apprestamento di strumenti giudiziari di tutela dei diritti del cittadino, appare nel complesso ancora piuttosto debole ed inefficace.
Lo Stato, invero, compie notevoli investimenti per garantirsi «l’informazione». Ogni ufficio pubblico ne detiene in quantitativi considerevoli e di natura diversa in relazione alle attività amministrate, su fatti e persone.
Le Forze di polizia e i servizi di sicurezza, in questo contesto, svolgono un ruolo di primaria importanza in quanto hanno il compito di raccogliere, autonomamente o facendo ricorso ad altre fonti pubbliche e private, informazioni di ogni genere al fine di prevenire e reprimere reati e, più in generale, di garantire la sicurezza del Paese.
A distanza di quasi venti anni dalla Legge 1° aprile 1981, n. 121, che ha creato la Polizia di Stato e ridisegnato gli assetti della Pubblica Sicurezza, in un disegno di legge nel quale si parla di coordinamento, non si è però ritenuto di giungere ad una maggiore razionalizzazione se non all’unificazione delle troppe Forze di polizia operanti sul territorio, né si è pensato di analizzare prima, e andare a incidere poi, su quelle resistenze che, nel corso degli anni, hanno di fatto impedito l’attuazione della legge 121 e l’effettivo coordinamento.
È probabile che ciò sia mancato non tanto per mantenere le sane competizioni o per rispettare le antiche tradizioni. Entrambe (io ritengo) sono realmente inutili, quando non perniciose, ove, tenendo conto della customer satisfaction, ovvero delle richieste di efficienza ed economicità che ci provengono dal contribuente ogni giorno, esse si rivelassero d’ostacolo al migliore impiego delle risorse.
L’esigenza inespressa, ma non per questo meno sentita, è, invece, quella di mantenere – facendo anche leva sulle gelosie e le smisurate ambizioni dei rispettivi vertici – nel modo più semplice possibile, o meglio, più semplicistico possibile un equilibrio tra gli apparati che raccolgono ed elaborano certi tipi di informazioni.
La ricerca di contrappesi in questa importante area dell’amministrazione statale – che, vale comunque la pena di ricordarlo, conta nel complesso circa 300.000 uomini armati e nella quale si investono ingentissime risorse economiche – è, in sé, condivisibile.
La strada che oggi in astratto si sceglie, la conservazione del preesistente frammentario, personalmente mi appare un po’ primordiale. Ho detto in astratto perché l’Atto Camera 6249, in concreto, segna invece un troppo marcato spostamento degli equilibri a favore delle Forze di polizia a ordinamento militare.
Si consolidano in capo ad esse una summa di competenze e di poteri che in Europa e nelle altre democrazie avanzate non trova eguali.
Questo, lo affermiamo con convinzione, sia se si guarda all’Europa, sia in relazione alle altre democrazie occidentali e penso, in particolare, a quella degli Stati Uniti.
Appare singolare, ad esempio, che l’Arma dei Carabinieri, chiamata ad assolvere una serie tanto diversificata di compiti militari (quelli espressamente previsti all’art. 1 nell’Atto Camera 6249), cui corrispondono altrettanti penetranti poteri, eserciti alle dirette dipendenze funzionali del Ministro dell’Interno (e non del Ministero) anche compiti di ordine e sicurezza pubblica.
È evidente che queste considerazioni e quelle che seguiranno non sono il frutto di una sterile rivalità – ché l’Arma dei Carabinieri, al pari delle altre Forze di polizia e di quelle Armate, è un patrimonio inestimabile per il Paese – ma l’attenzione a equilibri che, a nostro modo di vedere, non possono essere turbati senza che ne derivino concreti pericoli per la Democrazia.
È assai singolare a proposito che si definiscano «militari» i compiti della salvaguardia delle istituzioni in caso di pubblica calamità e la ricostituzione delle Forze di polizia in aree nelle quali il nostro Paese assicuri interventi di pace e compiti tradizionalmente riservati alle autorità civili.
A ciò si aggiunga il conseguito «rango di Forza Armata». Qui io non posso che concordare con ciò che ha detto l’On. Tassone alla Camera: sgombriamo il campo dalle ipocrisie e chiamiamola Forza Armata, dandole un Comandante che provenga dalle sue file. La locuzione «rango di Forza Armata» è senza senso quando a un’Arma si attribuiscono tutte le peculiarità tipiche di un modello organizzativo superiore. Le commissioni di valutazione per l’avanzamento del personale composte da appartenenti all’Arma sono, ad esempio, un nuovo elemento di autoreferenzialità del Corpo e, senza dubbio, un nuovo traguardo di maggiore autonomia per evitare ogni forma di ingerenza interna, un nuovo elemento di forza che è negato alla Polizia di Stato, il cui corrispondente Consiglio di Amministrazione è presieduto da politici e composto da Prefetti.
Considerazioni simili possono essere svolte per la Guardia di Finanza che allargherebbe le sue funzioni di polizia economica e finanziaria ad un ambito non meglio definito – e, quindi, devo ritenere anche abbastanza ampio – di tutela del bilancio dello Stato e dell’Unione Europea. Ben immaginiamo quanti e quali reati possono essere ricompresi in questa assai vasta dizione.
Basti allora considerare, per contro, la condizione di identità denegata nella quale versa la Polizia di Stato.
La nostra Amministrazione è priva per legge di un vertice composto da suoi appartenenti, ché tale non è certo un Dipartimento la cui composizione è sempre più accentuatamente interforze, di un organo collegiale deliberativo composto da poliziotti, che determini strategie e carriere degli appartenenti al Corpo, ma ancor più la Polizia di Stato è totalmente priva di funzioni proprie.
L’art. 24 della legge 121, infatti, nel descrivere i compiti della Polizia di Stato si limita a una elencazione generica e che è valida per qualunque altra Forza di polizia, compresi i Vigili Urbani o, meglio, gli Agenti della Polizia Municipale. È questa una condizione che ha creato, a senso unico, una situazione di incertezza operativa, di continue ingerenze ed invadenze (con i relativi, immaginabili costi per l’erario) di altri corpi in settori che, solo per tradizione e mai per legge, appartengono alla Polizia di Stato.
La molteplicità di dipendenze funzionali dell’Arma, tra cui quella diretta dal Ministro dell’Interno, oltre a creare il pericolo di una sostanziale irresponsabilità istituzionale, provoca una condizione di eccessiva frammentazione decisionale.
Nel caso in cui l’Atto Camera n. 6249 diventasse Legge, infatti, si cristallizzerebbe la dipendenza dell’Arma dei Carabinieri dal Ministro dell’Interno, da una serie di Ministeri in cui sono incardinati i vari nuclei specializzati, dal Capo di Stato Maggiore della Difesa, dal Ministro della Difesa; e, infine, dalla Magistratura: tante, troppe dipendenze funzionali e gerarchiche che, alla fine, si tradurrebbero in sostanziale «indipendenza» da qualsiasi controllo politico.
Tutto ciò in un contesto nel quale, verificando gli equilibri di cui parlavamo prima, si riscontra la dipendenza esclusiva – e sottolineo esclusiva – della Polizia di Stato da parte di un Dipartimento che, come abbiamo detto, sta accentuando la sua connotazione interforze.
Si verifica, in altri termini, la paradossale situazione nella quale a fronte di un’accentuata indipendenza dell’Arma dei Carabinieri, nel delicato settore dell’ordine e della sicurezza pubblica, che è rimarcata dalla diretta dipendenza dal Ministro dell’Interno, la Polizia di Stato continuerebbe a dipendere dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza, da un vertice, cioè, composto da appartenenti ad altre Amministrazioni tra i quali… i Carabinieri.
A ciò si aggiunga che, essendo possibile che un Generale dell’Arma dei Carabinieri o della Guardia di Finanza venga nominato Prefetto (cosa accaduta più volte in passato) e, quindi, possa trovarsi preposto ad una delle articolazioni della Polizia di Stato, ai Funzionari di Polizia le norme vigenti non consentono eguale «carriera» verso i Corpi ad ordinamento militare.
Se, dunque, si vuole affermare «l’indipendenza» dell’Arma dei Carabinieri, altrettanto dovrebbe essere garantito alla Polizia di Stato.
La Polizia di Stato, invece, compresse o annullate le sue peculiarità, viene lasciata in una condizione di assoluta acefalia e disarticolazione, senza che siano in alcun modo precisate dalla Legge le sue attribuzioni.
Così l’Atto Camera n. 6249 non solo favorisce il disordine, dando vita allo spettro di una duplice politica della sicurezza nazionale – quella del Dipartimento della PS e quella del Comando Generale dell’Arma, entrambi, come detto, interlocutori diretti del Ministro dell’Interno – ma evita accuratamente di risolvere le ambiguità e i limiti della Legge 121/81.
Si introducono, in altre parole, nuovi ostacoli per il coordinamento tra le Forze di polizia, la cui completa attuazione, invece, si ritiene che sia la migliore medicina per contrastare efficacemente il crimine.
Eppure la realizzazione del coordinamento era fra gli obiettivi primari della legge 121 dell’81, intitolata, non a caso, «Nuovo ordinamento della Pubblica Sicurezza», se corrisponde al vero quanto affermò l’on.le Boato all’atto della propria dichiarazione di voto: «Ci siamo impegnati per fare in modo che questa non fosse riduttivamente una legge di pura riforma del corpo delle guardie di pubblica sicurezza, ma fosse una legge di riforma della Polizia e quindi di tutti i corpi di Polizia, riforma senza la quale il coordinamento tra i corpi di Polizia ha molte volte un significato velleitario e pretestuoso».
A diciotto anni di distanza da quella Legge, il problema appare irrisolto. Occorrerebbe allora interrogarsi, prima di procedere all’approvazione di una nuova legge, sui reali motivi di questo insuccesso per evitare, quanto meno, di ripetere gli stessi errori commessi in passato.
Erano di fatto inattuabili le regole ed i principi introdotti dalla Legge 121?
O essa è rimasta disattesa a causa di irragionevoli gelosie interne e della resistenza, più o meno passiva ma mai sanzionata, di alcuni tra i soggetti istituzionali chiamati ad osservarla?
In quest’ultimo caso la risposta più idonea non sarebbe, forse, quella tendente ad assicurarne l’effettività, richiamando ognuno al rispetto delle regole per evitare quello che il sen. Saporito, in un suo intervento del 1981, definiva il «male più oscuro e più sottile da cui dobbiamo tutti guardarci: il lento logorio degli ordinamenti che non ha la forza spietata ed improvvisa dei colpi di stato, ma ha tuttavia la lenta capacità di svuotare dallinterno le istituzioni, annullandone lidoneità ad esprimere la rappresentanza degli interessi reali esistenti nella società»?
Vi sono equilibri democratici, dunque, ai quali non si può rinunciare e verifiche che non possono essere eluse, soprattutto quando si intende mettere mano ad una normativa tanto complessa come quella che disciplina la pubblica sicurezza nel nostro paese.
Non si deve nemmeno dimenticare la richiesta di maggiore professionalità degli appartenenti alle Forze di polizia che proviene dalla «società civile». Non si può tollerare il ricorso a trucchi ed escamotages come quelli che ci apprestiamo a vedere realizzati con l’introduzione dei famosi ruoli speciali dei commissari. Quasi tutti in questa sala sapranno di che cosa si parla. Per quei pochi che, tuttavia, dovessero non avere ancora ben presente l’istituto, si tratta di costruire un ruolo parallelo ed equiordinato di Funzionari di Polizia al quale far accedere personale privo di titolo di studio di livello universitario, reclutato attraverso procedure concorsuali interne e semplificate.
In questi termini, con una norma di delega tanto ampia e tanto priva di principi e criteri da risultare palesemente incostituzionale, stanno cercando di introdurre una figura di commissario «di seconda fascia», senza che la stessa Amministrazione abbia chiaro né dove andare a collocare questo ibrido nell’organizzazione e quali funzioni attribuirgli, né soprattutto quali spese questo tipo di provvedimento andrà a causare, non soltanto in via diretta e immediata, sotto forma di retribuzioni (c’è un meccanismo per il quale queste retribuzioni andrebbero a lievitare in modo esponenziale nei prossimi anni) ma vieppiù in termini di mancata efficienza, di attenuata capacità di un ruolo formalmente investito di funzioni delicatissime ma oggettivamente dequalificato e, quindi, incapace di interloquire al meglio con la società civile.
Sono intimamente convinto che un Funzionario di Polizia debba possedere una solida cultura e debba essere accuratamente selezionato. La cultura universitaria è uno strumento essenziale, accanto ad altri specifici elementi di professionalità, per poter reggere adeguatamente il confronto non solo con fenomeni criminali in continua evoluzione, ma anche per affrontare la quotidiana sfida che consiste nell’accostarsi e risolvere in modo equilibrato e «civile» problemi sociali di grande rilievo.
Pensiamo alle difficili situazioni che, in questi giorni, si sono prospettate a chi ha fronteggiato il fenomeno dell’immigrazione.
La capacità di mediazione e le conoscenze necessarie per affrontare, al centro come in periferia, tutta la delicata problematica dei centri di accoglienza per immigrati non si possono improvvisare.
Pensiamo poi all’ordine pubblico ed alle qualità di equilibrio, di prontezza e di dialogo che non possono non fondarsi su di una solida base di conoscenze.
Pensiamo, infine, alle complesse questioni che si pongono ogniqualvolta si tratta di gestire informazioni ed archivi. Una di quelle problematiche che i più tendono ad eludere: in fin dei conti, quanto è noioso e polveroso l’archivio!
Una corretta gestione degli archivi, invece, e non solo di quelli caotici del Ministero dell’Interno, ma di tutti gli archivi di questa Repubblica, compreso quello dell’Arma dei Carabinieri, si tradurrebbe sicuramente in una forte garanzia per la tutela della nostra Democrazia.
Mi scuso se questa mia introduzione può essere apparsa disorganica, ma il mio obiettivo era soprattutto quello di indicare alcune delle nostre perplessità ed aprire il dibattito. È probabile che qualcuno mi possa rimproverare una mancanza di approfondimento tecnico sui singoli temi. Il tempo è tiranno e mi scuso, dichiarandomi, comunque, pronto a scendere ancora più nel dettaglio se ce ne sarà bisogno.

 

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ALLEGATO B

LA RIFORMA DEL SISTEMA SICUREZZA DISEGNATA DALL’A.S. 2793TER-B: PROSPETTIVE E PERICOLI

A cura dell’Associazione Nazionale Funzionari di Polizia (ANFP)

[marzo 2000]

http://www.uni.net/anfp/commento 2793ter1.htm

1) CANCELLATE LE CONQUISTE DEMOCRATICHE SANCITE DALLA LEGGE 121/81

Appena vent’anni or sono, la legge 1 Aprile 1981 n.121, disciogliendo il «Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza» per rifondarlo come «Polizia di Stato» civile, moderna e democratica, aveva individuato nel Ministro dell’Interno l’Autorità di Pubblica Sicurezza a livello nazionale e nel binomio Prefetto-Questore le due Autorità a livello provinciale (la prima per le scelte politico-amministrative e la seconda per le scelte operative sul territorio).
Era stata in tal modo compiuta un’inequivocabile scelta di campo, condivisa in tutti i paesi di consolidata democrazia: la funzione di polizia, attraverso la quale lo Stato deve assicurare ai cittadini l’ordine e la sicurezza pubblica, deve essere CIVILE.
La compartecipazione di tutte le Forze dell’Ordine (come di ogni altra realtà rappresentativa degli interessi dei cittadini) alle scelte concrete sulla sicurezza era stata comunque garantita attraverso organi collegiali consultivi, i Comitati per l’Ordine e la Sicurezza pubblica.
Oggi, in controtendenza con la precedente riforma, con la nostra civiltà giuridica e con l’orientamento assunto in materia da tutti gli stati europei, si vuole riportare indietro l’orologio e surrettiziamente rimilitarizzare la funzione di polizia, attraverso un’iniziativa legislativa palesemente frutto di pressioni lobbistiche denunciate anche in Parlamento, che stravolge il sistema della sicurezza interna e della Difesa esterna dello Stato e rappresenta una grave minaccia per gli equilibri istituzionali della Repubblica.
Si tratta dell’Atto Senato 2793Ter-bis, ormai prossimo all’approvazione definitiva, riduttivamente portato a conoscenza dall’opinione pubblica come il «provvedimento riguardante lautonomia dei Carabinieri» e che invece investe tutte le Forze di Polizia e Armate, proponendo un modello che non ha eguali nel mondo.

 

2) I FATTORI DI SQUILIBRIO INTRODOTTI NEL SISTEMA SICUREZZA

a) L’eccessiva concentrazione dei poteri nelle mani dell’Arma dei Carabinieri

Il testo normativo in questione accresce smisuratamente l’autonomia dell’Arma dei Carabinieri ed il suo potere di controllo sulle altre istituzioni, in maniera inaccettabile ed incoerente con una visione dello Stato nella quale il bilanciamento dei poteri costituisce fondamento e garanzia di libertà.
Scendendo nel dettaglio, non può non rilevarsi la macroscopica anomalia secondo cui l’art. 1, lett. a) del provvedimento, nel definire i compiti dell’Arma dei Carabinieri, finisca per qualificare come «militare» perfino quello della «salvaguardia delle libere istituzioni e del bene della collettività nazionale nei casi di pubblica calamità» ed il «concorso alla ricostituzione dei corpi di polizia locali nelle aree di presenza delle Forze armate in missioni di supporto di pace».
Il corollario di tale inquadramento è che anche per queste materie, fino ad oggi attribuite alla responsabilità del Ministro dell’Interno, Autorità nazionale di Pubblica Sicurezza, la competenza si sposta sul «Ministero della Difesa, con dipendenza del Comandante generale dellArma dal Capo di Stato maggiore della difesa».
Orbene, considerato che:

– i compiti elencati dal richiamato articolo 1 si assommeranno a quelli che ancora residuano dal Regio Decreto 14 giugno 1934 n. 1169 ed agli altri che le vigenti normative speciali attribuiscono all’Arma dei Carabinieri;
– la stessa già dispone di nuclei «specializzati» e non funzionalmente dipendenti dal Ministero dell’Interno presso la Banca d’Italia (Vigilanza e scorta e Nucleo operativo antifalsificazione monetaria), il Ministero della Sanità (NAS – Nuclei antisofisticazioni e sanità), il Ministero dell’Ambiente (NOE – Nucleo operativo ecologico), il Ministero per i beni culturali (TPA – Tutela patrimonio artistico), il Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali (TNCA – Tutele norme comunitarie e agroalimentari) e il Ministero del lavoro (NIL – Nucleo Ispettori del lavoro), oltre a quei nuclei che sono posti alle dirette dipendenze del Ministero degli Esteri (vigilanza presso le sedi e le rappresentanze diplomatiche) e del Ministro della Difesa per l’assolvimento di funzioni strettamente militari;
– l’organico dell’Arma dei Carabinieri supera di almeno 30.000 unità quello della Polizia di Stato e, dopo la soppressione della leva obbligatoria e l’adozione di un modello di Difesa «professionale», risulterà superiore più del doppio a quello dello stesso Esercito;
– in virtù sempre dell’articolo 1 comma 2 lettera c), l’Arma, già ora evidentemente connotata da estrema chiusura, impermeabilità e mancanza di trasparenza, si doterà di Commissioni di avanzamento composte soltanto da propri ufficiali (escludendo quelli delle altre Forze Armate), diventando di fatto completamente AUTOREFERENZIALE,

si rileva agevolmente come questa legge, oltre ad accrescere surrettiziamente il numero dei «compiti militari» e a spossessare il Ministro dell’Interno delle sue competenze, realizzerà una concentrazione di prerogative e competenze, civili e militari, nelle mani di un solo CORPO MILITARE che non ha eguali in altri Paesi di consolidata democrazia.

Al riguardo, sarebbe interessante che, prima di decidere, le Commissioni I e IV facessero compiere studi comparatistici sulle legislazioni in materia vigenti negli altri paesi occidentali.
Pur non volendo giungere all’estremo degli Stati Uniti, ove l’impiego dei militari in Ordine pubblico deve essere formalmente disposto, solo per casi prestabiliti ed eccezionali, dal Presidente, si constaterà che l’Italia, con questa normativa, si sta sensibilmente e pericolosamente allontanando dall’Europa. In nessuna Democrazia «occidentale» una «quarta» Forza Armata ha compiti di controllo sulle altre Forze armate e, nel contempo, tanta autonomia nel campo della «sicurezza civile» del Paese. […]

 

3) SERVIZI SEGRETI ED ORGANISMI INTERFORZE

Allo stato attuale, la prevalente componente militare dei Servizi per l’Informazione e la Sicurezza (il C.E.S.I.S., il S.I.S.De., il S.I.S.Mi. ed i S.I.O.S. delle tre Forze Armate) è oggi formata in netta maggioranza da Carabinieri.
Analogo squilibrio si rileva all’interno della D.I.A., ove la ripartizione degli incarichi di direzione è clamorosamente sbilanciata (nella misura del 70% circa) a favore dei Carabinieri.
In una società in cui l’informazione è potere e la privacy dei cittadini è sempre più erosa, questa pervasiva presenza dell’Arma, le cui caserme rimangono impenetrabili ed i cui archivi non sono mai stati resi consultabili, si profilano scenari inquietanti.
Quis custodiet custodes? […]

 

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ALLEGATO C

Intervento di Antonio Di Pietro sui decreti attuativi relativi al riordino delle Forze di Polizia

(Documento presentato il 26 settembre 2000 a Roma)

http://antoniodipietro.org/comunicati/com59_001003.htm

I tre schemi dei decreti approntati dal Governo in attuazione della legge delega 31 marzo 2000, n. 78 sul riordino delle Forze di Polizia, e sottoposti in questi giorni all’attenzione di queste Commissioni, suscitano sconcerto per le gravi ingiustizie a cui vengono sottoposti gli appartenenti alla Polizia di Stato.
[…] I decreti contengono a mio avviso alcune evidenti violazioni di legge, macroscopici eccessi di delega e grossolani errori di tecnica legislativa, spesso rilevati proprio dalle Organizzazioni sindacali ai cui pareri si rinvia.
La riforma dei ruoli dei Dirigenti e dei Direttivi della Polizia dovrebbe essere completamente riscritta, anche perché è evidente la discriminazione operata tra i Funzionari di Polizia e altri appartenenti al sistema della Pubblica Sicurezza (come i funzionari di prefettura ed i direttori di carceri, ma anche gli stessi Ufficiali dell’Arma). È evidente, inoltre, il tentativo di chiudere la Polizia di Stato alla società civile e di renderne sempre più autoreferenziali le procedure di avanzamento che appaiono mirate più all’obiettivo del conformismo che a quello della professionalità.
[…] Non può accettarsi, innanzitutto, la tabella di equiparazione inserita nell’articolo 32 del Decreto sulle carriere degli Ufficiali dell’Arma, che, stravolgendo in maniera del tutto arbitraria quella delega alla legge 121/81, ‘degrada’ inesorabilmente i Funzionari direttivi della Polizia di Stato rispetto alle omologhe qualifiche dei Carabinieri. Ad aggravare ulteriormente questa intollerabile disparità di trattamento concorre l’evidente squilibrio tra la vera e propria ‘paralisi dei ruoli’ che si prospetta per i Commissari, già da anni costretti a subire una mortificante stagnazione della loro crescita professionale, e la regolare progressione di carriera assicurata agli stessi ufficiali dei carabinieri. Solo per questi ultimi, infatti, è stato previsto sia un considerevole ampliamento degli organici dirigenziali (triplicando i posti da colonnello e raddoppiando quelli da generale), sia un automatismo nella creazione delle vacanze organiche dei ruoli superiori.
[…] Esistono, tuttavia, delle questioni che non sono semplicemente ordinamentali, ma che toccano le fondamenta della nostra democrazia e delle quali non possiamo fare a meno di parlare. Il decreto di riordino dell’Arma dei carabinieri, così come formulato è in contrasto in diversi punti con il vigente quadro legislativo riguardante la pubblica sicurezza (confermato dalla Legge 78/2000) e, soprattutto, con le normative vigenti in materia di raccolta d’informazioni per la sicurezza nazionale e di tutela della riservatezza personale. Nell’art. 6 si formula una definizione suscettibile d’interpretazione estensiva delle funzioni di POLIZIA MILITARE. È un evidente ECCESSO DI DELEGA. La legge 78/2000, in proposito, prevedeva soltanto l’attribuzione all’Arma (in via esclusiva) di tali funzioni, ma non l’individuazione delle attività in cui si traduce il loro esercizio, compito senz’altro spettante al PARLAMENTO. Ma il profilo più preoccupante è rappresentato dal 3° periodo, 1° comma, dell’articolo in questione: «Gli organi di polizia militare esercitano, inoltre, un’azione di contrasto, di natura tecnico-militare, delle attività dirette a ledere l’efficienza e il regolare svolgimento dei compiti delle Forze Armate». L’estrema genericità dell’aggettivazione «tecnico-militare» riferita all’«azione di contrasto» appare particolarmente insidiosa perché atta a legittimare una serie di condotte non codificate e sottratte ad ogni forma di controllo da parte di altri organi giudiziari ed amministrativi. Parimenti, l’indeterminazione della successiva perifrasi «attività diretta a ledere l’efficienza e il regolare svolgimento dei compiti delle Forze Armate» rappresenta di fatto una ‘delega in bianco’ al Comando Generale dell’Arma per la ricognizione in concreto delle fattispecie ritenute offensive. Si può comprendere quanto ciò sia rischioso semplicemente leggendo recentissime sinossi dello stesso Comando Generale dell’Arma destinate ad uso interno. Nelle stesse si afferma che tra i compiti primari della Polizia Militare rientra anche fronteggiare la cosiddetta MINACCIA (o GUERRA) NON ORTODOSSA attuata nelle seguenti forme: «spionaggio, sabotaggio, sovversione, terrorismo, guerriglia, guerra psicologica, ingerenza, propaganda, influenza, disinformazione, separatismo» nonché «minaccia economica, finalizzata a minare gli interessi di una nazione»! Ben cosciente di questa interpretazione estensiva, il CONSIGLIO SUPERIORE DELLE FORZE ARMATE, nel parere del 18 luglio scorso, ha formalmente richiesto di cancellare la prima parte dell’art. 5 del decreto, motivando che «il termine Polizia Militare non trova esplicitazione compiuta in alcuna norma primaria di legge».
[…] L’articolo 8 introduce surrettiziamente, sempre travalicando i limiti della delega, la legittimazione indiretta dell’UCSI (Ufficio Centrale di Sicurezza), l’organismo che allo stato attuale, fuori da ogni previsione legislativa ed in violazione delle norme sulla tutela della privacy, raccoglie le informazioni per il rilascio del cosiddetto N.O.S. (Nulla Osta di Segretezza). La norma testuale recita: «L’Arma dei Carabinieri fornisce all’autorità individuata dal Presidente del Consiglio dei ministri nell’esercizio delle funzioni di cui all’articolo 1 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, gli elementi informativi necessari per il rilascio delle abilitazioni di sicurezza agli appartenenti alle Forze armate, al personale civile dell’amministrazione della difesa, nonché alle persone fisiche e giuridiche di interesse della difesa ai fini della sicurezza industriale». Orbene, l’art. 1 della legge 801/77 attribuisce al Presidente del Consiglio la responsabilità politica generale ed il coordinamento della politica informativa e di sicurezza, ma, nell’esercizio di tali funzioni, non gli conferisce affatto il potere d’istituire una qualche «Autorità». Parimenti, le «abilitazioni di sicurezza» in parola, pur di fatto riconosciute in ambito N.A.T.O., non sono previste in alcuna norma positiva dell’ordinamento italiano. Al riguardo, si richiama il «Primo Rapporto sul sistema di informazione e sicurezza», redatto nel 1995 dal Comitato Parlamentare per i servizi d’informazione e sicurezza e per il Segreto di Stato (allora presieduto dall’odierno Senatore Massimo Brutti), secondo il quale la circostanza che l’UCSI «non sia in alcun modo previsto dalla legge 801 del 1977 non lo colloca soltanto in una condizione che è al di là della legge, ma lo pone in contrasto con essa». Questo assunto appare tanto più grave ove si consideri che l’attività svolta dall’UCSI, come riferito dallo stesso Comitato, comporta «l’acquisizione di notizie ed una valutazione di natura politica sulle persone che sono oggetto di esame». Ed infatti il formulario adoperato dai Carabinieri per raccogliere le informazioni include tra l’altro «…notizie che possano meglio lumeggiare la figura dell’interessato, comprese le cariche pubbliche ricoperte, gli ambienti, anche politici, frequentati, ed eventuali relazioni con persone controindicate che possono esercitare influenza o coercizione nei suoi confronti». Si tratta, dunque, di questioni delicatissime, che attengono le libertà fondamentali dei cittadini e come tali necessitano senz’altro di una regolamentazione organica e trasparente, da effettuarsi con fonte normativa primaria. Per questo non può tollerarsi che la materia sia sottratta, con un maldestro escamotage, al controllo del Parlamento, ove per altro giacciono diverse proposte di legge sull’argomento (tra cui anche una, recentissima, presentata dal Governo).
Sarebbe consigliabile, allora, che tutte le sopra menzionate materie venissero trattate con maggiore approfondimento ed attenzione nell’ambito del Disegno di legge n. 4162, «Disciplina del sistema informativo per la sicurezza», presentato dal presidente del Consiglio dei Ministri il 16 luglio dello scorso anno e non inserite, di soppiatto, in violazione di delega e con scarso rispetto per il Parlamento in un decreto che è veramente troppo stretto per contenerle. [6. Fine. Le altre puntate qui]