GHOST SHIP 2

di Danilo Arona

mary_001.jpgContinua l’appassionante cronaca di Francesco Lamendola sull’irrisolto mistero della Ivan Vassili.

Un crescendo di orrori innominabili

La traversata da Vladivostok ad Hong Kong attraverso il mar del Giappone, lo Stetto di Corea, il mar Cinese Orientale, lo Stretto di Formosa e il mar Cinese Meridionale, è un vero e proprio incubo. La “Cosa” è sempre a bordo, anzi sembra ormai addirittura scatenata. Ben quattro uomini perdono la vita nel corso delle ondate di terrore che si spargono incontrollabili, con frequenza ormai sempre maggiore: tre marinai e lo stesso comandante.

La traversata da Vladivostok ad Hong Kong attraverso il mar del Giappone, lo Stetto di Corea, il mar Cinese Orientale, lo Stretto di Formosa e il mar Cinese Meridionale, è un vero e proprio incubo. La “Cosa” è sempre a bordo, anzi sembra ormai addirittura scatenata. Ben quattro uomini perdono la vita nel corso delle ondate di terrore che si spargono incontrollabili, con frequenza ormai sempre maggiore: tre marinai e lo stesso comandante. Due dei marinai trovano la morte nel suicidio, come i colleghi che li hanno preceduti; il terzo muore addirittura di spavento: il suo cuore non regge alla prova cui è stato sottoposto. Quanto al capitano, Sven Andrist, che pure è riuscito finora a mantenere, fino a un certo punto, un’ombra di autorità fra questi uomini terrorizzati, fedele al suo dovere, non regge oltre alla tensione insopprtabile e si getta a sua volta in mare, preferendo la morte al tormento senza nome e senza volto che lo perseguita.
Quando finalmente l’esausta nave entra nel porto britannico di Hong-Kong, ceduto in affitto dal governo cinese nel 1898 per un periodo di 99 anni, nulla e nessuno possono più impedire che quasi l’intero equipaggio sbarchi immediatamente e si allontani in fretta e furia dalla nave “maledetta”. A bordo non restano che il secondo ufficiale, Christ Hanson – che assume le funzioni di comandante – e cinque soli marinai, tutti scandinavi, a quanto pare meno superstiziosi dei loro colleghi russi o, forse, più affezionati al loro ufficiale. Con un equipaggio così ridotto, evidentemente, non è possibile riprendere il viaggio per Sydney, dove l’Ivan Vassili deve imbarcare un carico di pregiata lana australiana. Pertanto Hanson si dà da fare per arruolare un nuovo equipaggio di Cinesi e riesce a mettere insieme qualcosa che gli rassomigli, quanto basta per salpare nuovamente le ancore e rimettersi in rotta per le Filippine e poi, doppiando l’estremità sud-orientale della Nuova Guinea, le coste dell’Australia.
Per un poco sembra che la nuova ciurma, ignara di quanto era accaduto a bordo nei mesi precedenti, non risenta di particolari suggestioni negative. Ma il nuovo comandante, proprio nell’imminenza dell’arrivo a Sydney, paga un alto prezzo al suo coraggio o alla sua ostinazione: estratta la pistola dal cassetto nella sua cabina, si spara alla testa e muore all’istante. Secondo un’altra versione, meno attendibile, si impicca a una trave; in ogni caso, muore suicida poche ore prima di poter condurre l’Ivan Vassili nel porto australiano.
Prima ancora che la nave abbia terminato le manovre per accostare alla banchina e gettare l’ancora, l’equipaggio comincia ad abbandonarla come se fuggisse da un incendio a bordo. In breve non rimane più nessuno, Scandinavi e Cinesi non ne vogliono più sapere e sul mercantile “maledetto” non resta che un solo uomo, non sapremmo dire se più intrepido o temerario. Si tratta di un certo Harry Nelson, che non vuole dare alla “Cosa” partita vinta e rimane ostinatamente a bordo; forse, chissà, spera di ottenere una grossa ricompensa dalle autorità russe, se riuscirà a ricondurre in patria la nave col suo carico di notevole valore economico. Ma per ben quattro mesi essa rimane immobile presso il molo di Sydney: le voci corrono svelte per le bettole del porto, e perfino tra i rudi Australiani è difficile trovare qualcuno che osi sfidare la maledizione senza volto che sembra incombere sopra la volontà degli uomini.

L’ultimo atto della tragedia

Finalmente, al quarto mese, e con molta fatica, si riesce a trovare un nuovo equipaggio e un nuovo capitano per l’Ivan Vassili, a dispetto di ogni superstizione e di ogni storia di fantasmi. E certo il nuovo capitano, di cui non ci è giunto il nome, deve essere un tipo molto coraggioso: si tratta di attraversare tutta l’immensità dell’Oceano Pacifico e portare il carico di lana fino a San Francisco, in California. In qualche modo, forse anche grazie a una tregua degli attacchi da parte della misteriosa entità, la nave riprende il lunghissimo viaggio in direzione nord-est. Ma essa non raggiungerà mai le coste americane: ancora una volta, la “Cosa” torna ad esigere il suo macabro tributo di vittime.
Per tre volte, in pieno Oceano Pacifico, l’equipaggio è afferrato dai soliti, innominabili terrori, e per tre volte un uomo si getta in mare per cercarvi la liberazione della morte. La quarta volta è proprio il nuovo capitano che, incapace di resistere a quella gelida morsa d’impalpabile orrore, si toglie la vita sparandosi in bocca un colpo di pistola.
A questo punto diviene impossibile mantenere la rotta verso San Francisco. L’equipaggio, folle di paura, vuole tornare in porto per la via più breve, e Harry Nelson, che si è autonominato comandante, vira di bordo e mette la prua in direzione di Vladivostok. Deciso a non lasciarsi sopraffare da quella forza misteriosa, egli tenta coraggiosamente di risolvere il mistero. Ispeziona tutta la nave (e quanti angoli segreti vi sono, nelle stive capaci di un grande piroscafo…), interroga i marinai; ma non riesce a venire a capo di nulla. In compenso, gli riesce la notevole impresa di riportare l’Ivan Vassili a Vladivostok, senza che vi siano state nuove vittime. Ma non appena essa entra in porto, l’intero equipaggio sbarca precipitosamente e questa volta né le baionette dei militari russi, né la promessa di un ingaggio a condizioni eccezionalmente favorevoli riescono a riportarli a bordo.
Per ultimo scende a terra anche il Nelson, l’unico membro dell’equipaggio originario: perfino lui ne ha avuto abbastanza, e si considera fortunato di aver riportato in salvo la vita. Nesun altro equipaggio verrà trovato per la nave “maledetta”: nel porto russo regna ovunque la convinzione che una entità demoniaca si trovi tuttora a bordo e nessun marinaio sarebbe disposto a rischiare d’imbarcarvisi, neanche per tutto l’oro del mondo. Passano gli anni e la nave è sempre lì, tristemente ferma in un angolo de porto.
Nell’inverno del 1907 un incendio si scatena a bordo con estrema violenza, divorandola. Non è un incendio casuale, ma doloso: i marinai russi, convinti che un demonio si nasconda sull’Ivan Vassili, hanno deciso di purificarla col fuoco e, mentre il bastimento arde nella notte, lo stanno a osservare dalle barche tutto intorno, recitando preghiere ed esorcismi. Prima che la nave scompaia per sempre in fondo al mare, dicono che un terribile grido si sia levato al di sopra del crepitio delle fiamme e dello schianto degli alberi sul ponte di legno. È finita: la nave “maledetta” non solcherà mai più i mari, non ucciderà e non farà impazzire più nessun essere umano.

© by Francesco Lamendola
(continua in Cronache di Bassavilla 99)