di Danilo Arona

raccontisinistri.jpgL’uscita di un’antologia gotica per i tipi di una casa editrice di rango quale la milanese Sylvestre Bonnard sarebbe già di per sé un notevolissimo evento ancor prima di addentrarci nei (molti) meriti dell’operazione. Ma l’evento svela i caratteri dell’eccezionalità quando, nel percorrere le 340 fitte pagine del tomo, scopriamo il rigore filologico, l’amore e l’assoluta conoscenza del genere trattato e l’unicità della “intenzione”. Non ci dovremmo aspettare di meno, dato che il curatore dell’antologia è un grandissimo scrittore che si chiama Ramsey Campbell, mentre la “intenzione” è un collettivo omaggio al caposcuola della ghost story di Albione, Montague Rhodes James, sempre presente in ogni pagina seppur letterariamente assente. Un’operazione simile, giusto per fare un esempio alla lontana, a quei leggendari Miti di Chtulhu, curati da August Derleth, in cui tutti i contemporanei e i continuatori di Lovecraft si cimentavano con la mitologia aliena creata dal maestro di Providence, per un volume di rara bellezza edito da Fanucci oltre trent’anni fa.

E, venendo all’oggi e a questi Racconti sinistri (traduzione succinta di Meddling with ghosts: Stories in the Tradition of M.R. James), ci tocca qualche doverosa parola sul più che illustre curatore dell’antologia.
ramseycampbell.jpgStrano destino quello italiano di Ramsey Campbell. Scoperto e tradotto assai tardivamente rispetto a una già cospicua produzione iniziata a metà degli anni Sessanta con i racconti lovecraftiani dell’antologia The Inhabitant of the Lake, Campbell è stato da noi oggetto dal 1987 al 1999 di una pubblicazione da un lato priva di metodo (senza cioè l’appiglio di un leggibile criterio cronologico) e dall’altro non accompagnata da un minimo e vitale apparato informativo. Se il suo primo titolo tradotto, The Nameless, risale al 1981 si presenta sul mercato italiano con sei anni di ritardo (La setta), il successivo La bambola che divorò sua madre, uscito nel ’90, è in realtà opera risalente addirittura al ’76: il tutto non sarebbe di particolare biasimo né avrebbe senso la pretesa che le diverse case editrici, nel gioco do spartizione del poco di Campbell uscito in Italia, avessero saggiamente deciso all’epoca di “dialogare” fra loro. Il fatto vero è che queste prime “incursioni” di Campbell tra gli scaffali nostrani, gettate nel mare magnum di uno dei tanti corsi e ricorsi dell’horror quale genere di punta (quando negli anni Novanta Mondadori mandava contemporaneamente in edicola e in libreria due collane con lo stesso nome, “Horror”, a ravvicinate cadenze quasi insostenibili anche per l’estimatore più sfegatato), ben rappresentano il disordine pubblicistico che ne ha regolarmente cadenzato le uscite: si obietterà che non serve lamentarsi se le opere ci arrivano senza il rispetto del “prima” e del “poi” perché comunque arrivano (e le ricordiamo con il loro titolo italiano nell’ordine di uscita dal ’90 al ’99: Influssi maligni, Luna affamata, l’antologia “a cura di” Paure eccellenti, Sogni neri, l’antologia Il sesso della morte, L’orrido pasto, Antiche immagini e Artigli nella notte), ma peccato che il flusso si sia poi di colpo interrotto, probabilmente condannato dalle logiche di mercato, una cesura fatale che fa sì che della produzione di Campbell, sfornata dal 1990 a oggi, in Italia non ci sia nulla. Nulla, giova ripeterlo, dal momento che i titoli usciti erano traduzioni di opere precedenti il decennio. Ben lungi da me il voler risolvere certi misteri, il più grande dei quali recita che la qualità di uno scrittore spesso non è baciata da un congruo riscontro di vendite, ma, dato certo, Campbell è stato il nome più illustre sacrificato sull’altare dell’ascesa e della caduta del genere negli anni Novanta. E, dato che qui parliamo di uno degli scrittori più importanti in assoluto del gotico contemporaneo, forse non sarebbe ripensare a quali errori siano stati commessi dal marketing al suo riguardo.
L’altro soggetto richiamato nell’operazione è Montague Rhodes James, il “reverendo” (fu professore di teologia e prevosto a Cambidge e a Eton) come ancora oggi viene appellato dai suoi estimatori anche per distinguerlo da un altro, seminale evocatore di larve oltretombali che si chiama Henry. Caposcuola indiscusso della ghost story britannica, al punto che un cospicuo numero di scrittori “jamesiani” si riunisce ancora oggi sulla rivista Ghost and Scholars ispirata al maestro, James fu portatore di uno atteggiamento decisamente diverso, in qualche modo premoderno, di quello dei suoi predecessori rispetto al mondo delle ombre: come ben scrisse l’ignoto curatore di una leggendaria edizione di Cuori strappati, impreziosita dalla prefazione di Dino Buzzati (Il pesanervi, Bompiani, Milano 1967), “il racconto fantastico di James si presenta come un estremo travestimento giornalistico della novella naturalistica, senza quella ricerca di un’atmosfera che aspira paradossalmente ad esistere e che è il continuo contrappunto metafisico del romanzo gotico”. A cavallo tra due secoli che lottavano l’un contro l’altro sul terreno di sconosciute paure localiizate dalla nascente psicanalisi all’interno dell’uomo, James eliminava orpelli ed effetti da tregenda per far interagire spettri e vittime in ambienti quotidiani, riconoscibili con tecnica allusiva e tono distaccato, non di rado buontempone. Il risultato così ottenuto, quello del coinvolgimento emotivo del lettore, era direttamente proporzionale al tasso di mancanza di stupore espresso dal novelliere. E questo non può che farci pensare alle grandi dispute critiche sulla “essenza” del fantastico: l’atteggiamento “neutrale” di chi riporta l’evento meraviglioso e incredibile non può far altro che amplificarne il livello di suggestionabilità… Non intendiamo perderci in meandri rischiosi. Però Campbell (di cui il filone spettrale è una componente della sua narrativa, ma non la sola) scrive una cosa quanto mai interessante alla fine della sua introduzione di questo prezioso volume che val la pena di riportare integralmente:
“Il tributo più fedele, fino a oggi, alla narrativa di James potrebbe essere il film giapponese del 1997, Ringu (Ring), una trasposizione moderna di diversi episodi jamesiani.” A sostegno, quindi, dell’assoluta e stupefacente modernità del “reverendo” che una certa iconografia d’immagine vorrebbe relegare a innocuo narratore di veglie natalizie. E che invece – proprio come fa Koji Suzuki in Ring – utilizzava il contraltare tecnologico di allora, le recenti invenzioni dell’epoca che si potrebbero paragonare alla TV di oggi e alla videocassetta “infettata” da Sadako, per far scatenare i suoi revenants. Comprendendo l’importanza degli ambienti familiari e delle ultime scoperte della scienza, il “reverendo” ne faceva buon uso nei suoi racconti. Per esempio, come riporta Katharine Briggs in Visitatori notturni, “un cannocchiale speciale che rende il passato visibile (“vedere attraverso gli occhi dei morti”) è al centro di Una vista sulla collina; uno spettacolo di lanterna magica è sfruttato dal malefico Karswell per creare il panico a una festa di bambini ne L’incantesimo delle Rune (novella che ispirò La notte del demonio di Jacques Tourneur); nello stesso racconto, un avviso pubblicitario visto sul finestrino di un tram diventa un annuncio di morte”… Molto New Wave Horror alla moda giapponese, non trovate?
E veniamo ai “racconti sinistri” che Campbell divide giustamente in sezioni (precursori, contemporanei e successori di James), facendo sì che il lettore partecipi all’evoluzione della ghost story dai tempi di Sheridan Le Fanu a oggi. Dispensandovi da uno scorretto riassunto di trame – vi basti sapere che l’ampia e oculata scelta operata da Campbell dimostra senza dubbio alcuno che il fantasma in grado di abitare in qualsiasi luogo, intendendo il termine nella sua accezione più vasta – il volume offre inappuntabili conferme di autori che non hanno bisogno di presentazioni (Le Fanu, T.E.D. Klein, Campbell stesso, Terry Lamsley) accanto a parecchie “chicche” di autori anglosassoni da noi ancora sconosciuti che vanno scoperti e approfonditi. Storie emozionanti, mai banali, mai una specchio dell’altra (il che dimostra che sul fantasma si può declinare all’infinito), quasi tutte in perfetto accordo su un punto: non esiste il consolatorio happy end, con i fantasmi non solo non si scherza, ma proprio non c’è scampo. Come scriveva Buzzati a fronte di Cuori strappati, il mondo naturale è troppo fragile per un fantasma; anche quando gli si avvicina armato delle migliori intenzioni, uno spettro non può che mandarlo in pezzi. Ne sa qualcosa il povero professor Rudge del racconto Due biglietti di andata e ritorno, uno dei sei ambientati in epoca attuale, che alla stazione di partenza si carica “qualcosa” in treno e se lo porta sin dentro lo sgabuzzino di casa, dove… Eh, no, non vale, ma vi dico solo che è un crescendo di terrore di straordinaria efficacia, ennesima conferma che la ghost story è come il rock’n’roll. Non muore mai.
E in conclusione cediamo la parola ad Adriano Bon di Sylvestre Bonnard.

esb.jpgD. La vostra casa editrice è una presenza unica e particolare nel panorama editoriale italiano, forse la sola che si occupa del “soggetto libro” in ogni suo aspetto. Come s’inserisce in tale progetto la scelta dei “racconti sinistri” curati da Ramsey Campbell?

R. Sì, le Edizioni Sylvestre Bonnard pubblicano “libri che parlano del libro”, ma proprio per questo accanto ad una produzione specialistica e talvolta erudita si è deciso di dare spazio a una collana, “Il piacere di leggere”, aperta a diversi generi e nella quale il libro è comunque protagonista. Così, accanto a memorie come quelle di Broyard, dove il sesso è inscindibile dalla lettura, o ai gialli di Tuzzi, Gill e King, abbiamo aperto la porta agli spettri nella più classica tradizione di M.R. James.

D. C’è un altro, ottimo, titolo “gotico” tra le novità del vostro catalogo, ovvero l’antologia La mano d’alabastro di A.N.L. Munby, un pugno di racconti che furono scritti durante la detenzione in un campo di concentramento nazista. Ce ne vuole parlare?

R. La mano d’alabastro contiene quattordici racconti, cioè tutta la narrativa “spettrale” di A.N.L. Munby, che fu bibliotecario a Cambridge, bibliofilo e membro di elitari club del libro come il Grolier. Tutto ciò filtra nei suoi racconti che tuttavia sono e restano autentiche storie di spettri, aperte a più livelli di lettura a seconda del tipo di lettore.

D. Questa dichiarata attenzione verso il gotico “alla James” indica che avete inaugurato un percorso? In altre parole, a nome degli appassionati, seguiranno altre “storie di fantasmi” di tanto valore?

R. Per la gioia degli appassionati possiamo rispondere di sì: per il 2007 è prevista un’antologia della quale personalmente già pregusto la lettura in bozze. Non voglio dire di più, se non che siamo nella vecchia cara Inghilterra, con dignitosi docenti in toga e tocco la cui curiosità intellettuale fa talvolta sfogliare loro, ahimé, il libro sbagliato… Comunque voglio approfittare per segnalare agli amanti del giallo che nel 2007 potranno trovare stuzzicanti novità nel nostro catalogo, consultabile anche online.