di Michele Petrino

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Alfred Bester, L’uomo disintegrato, Mondadori, Urania Collezione n. 42, luglio 2006, € 4,90.

Un fertile filone dei comics americani viene denominato what if e tratta di storie che si svolgono al di fuori delle ferree continuity cui sono imbrigliati i vari personaggi, dopo decenni di avventure. In particolare, i what if partono da un “e se…” ovvero da un’ipotesi: cosa succederebbe se fosse successo questo o quest’altro…
Ci si può facilmente rendere conto di come il filone lasci aperte molte strade narrative, ma occorre fare una precisazione: tali meccanismi, così diffusi nei fumetti, sono in realtà tipici della sscience fiction. Anzi probabilmente il copyright spetta proprio alla sf, che tutta si basa sui proprio su ipotesi e alternative.

È il caso di questo romanzo di Alfred Bester (1913 — 1987) dove si descrive uno dei più affascinanti what if della storia della sf: cosa succederebbe se l’uomo sviluppasse finalmente i propri poteri psichici, al punto tale che il loro utilizzo venisse disciplinato e regolato, modificando la vita stessa, entrando nelle pratiche più comuni e finendo per eliminare dalla nostra esistenza persino l’omicidio (in quanto nessuno potrebbe nasconderne l’intenzione, prima di commettere il fatto)?
Bester immagina un mondo dove l’evoluzione dell’uomo non è stata completata: non tutti gli uomini hanno ancora sviluppato queste capacità, che permettono di sondare la mente dei propri simili, e quelli che hanno già maturato tale potere si sono organizzati in una potente corporazione, che disciplina eticamente l’esistenza dei telepati e ne regola anche la vita sociale in mezzo agli altri uomini.
Il romanzo di Bester scandaglia a fondo l’animo umano scomponendo cosciente e subcosciente, suggerendo come il vero spazio infinito, inesplorato e sconosciuto sia proprio la psiche umana, capace di tormentarci e di rivelarci la vera natura delle nostre scelte. E’ il caso di Ben Reich, protagonista della storia, che spinto dalla sete di denaro e di potere arriva ad uccidere il rivale che gli contende il dominio del mercato, sfidando tramite un elaborato piano la polizia esper, che vigila con i suoi poteri sui fatti criminali.
Reich però è tormentato da un sogno ricorrente: “L’Uomo Senza Faccia”, figura sfuggente e onirica, che sembra essere il simbolo di un segreto che Reich non vuole ricordare, ma che porta dentro di sé. Un segreto che lo spingerà sempre più a fondo nella sua lotta con l’ispettore Powell, esper di terza categoria, che cercherà di smascherare i tentativi di Reich di nascondere il proprio delitto.
Uno dei punti di forza del romanzo è proprio il rapporto tra Reich, personaggio titanico di wellesiana memoria, e il suo rivale Powell.
Tra i due si instaura un gioco d’astuzia: entrambi conoscono la dinamica dell’omicidio, ma adesso spetta all’ispettore provarla e consegnare al “Vecchio Mose”, ovvero il computer preposto al giudizio dei presunti colpevoli e descritto come un “cinico mostro che con distacco razionale macina solo prove e fatti”, abbastanza elementi per rendere possibile la disintegrazione di Reich.
I due personaggi rinnovano l’eterno topos letterario delle due straordinarie intelligenze che si sfidano e sono affascinate l’una dall’altra per la loro evidente affinità. Da un lato dunque Lincoln Powell, dall’altro Ben Reich, simili, eleganti, brillanti. Ma Reich è consumato da una febbre di potere che svelerà ragioni più profonde. Queste verranno alla luce solo dopo l’immersione totale nel delirio preparatagli, come una trappola, da Powell, che lo metterà di fronte ai suoi incubi e all’Uomo Senza Faccia..
Bester mette in scena un romanzo dalla geometria perfetta, che se nel colpo di scena finale mostra qualche forzatura, si fa perdonare per alcune delle pagine più originali della letteratura fantascientifica e non solo. Il capitolo dell’incontro con l’Uomo Senza Faccia è un capolavoro di surrealismo, di perdita di punti di contatto con il razionale che inghiotte inesorabilmente Ben Reich e il lettore con lui, fino alla risoluzione, dove anche la disintegrazione a lungo fuggita da Reich non si rivela essere quello che si credeva.
L’autore ci presenta una umanità che si rivela piccola rispetto alla sconfinata grandezza del cosmo e della nostra stessa psiche. La nostra piccolezza deve ricordarci che i migliori di noi devono, sì, guidare l’evoluzione e mettere a disposizione di tutti le loro virtù, ma con la consapevolezza di essere soltanto creature di un pianeta che gira lentamente da milioni di anni.
Bester critica tutte le culture che si ritengono superiori, che si credono il punto di arrivo di una evoluzione che è invece ben lungi dall’essersi esaurita, in quanto l’uomo ha solo cominciato ad intaccare la propria capacità di comprendersi, metaforizzata splendidamente dalla capacità di comunicare telepaticamente in maniera profonda e senza quelle parole, che troppe volte danno adito a malintesi e separazioni. “Ci sono e ci sono stati mondi e culture senza fine, ognuno nutrita dall’orgogliosa illusione di essere unica nello spazio e nel tempo. Ci sono stati innumerevoli uomini affetti dalla stessa megalomania: uomini che hanno immaginato di essere unici, insostituibili, irriproducibili. Ce ne saranno ancora, più che all’infinito. Questa è la storia di un tempo e un uomo del genere: l’uomo disintegrato.”