di Angela Scarparo

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[Ovviamente Carmilla non dà e non darà mai indicazioni indicazioni politiche – nel senso di partitiche – di voto. Se pubblichamo questo intervento della Lista Arcobaleno, che si presenta alle prossime elezioni comunali romane, è perché una parte del suo programma ha direttamente a che fare con la letteratura. Un fatto insolito, che crediamo merito della scrittrice Angela Scarparo, candidata nella lista. Auguri alla nostra amica Angela e all’iniziativa Piazza bella piazza, che andrebbe ripresa anche altrove.] (V.E.)

Eccoci qua a Roma, come esponenti della Lista Arcobaleno, pronti e pronte a preparare un’iniziativa che si chiama Piazza bella piazza. Piazza bella Piazza è qualcosa che riguarda la città ma anche i libri, la cultura.

E’ nella nostra testa il contrario di quello che fecero i nazisti coi libri e con le piazze. Loro li bruciavano, i libri, noi vorremmo scambiarli. Loro le occupavano le piazze per imporre le loro parate, noi vorremmo usarle invece per far uscire le persone di casa e per farle incontrare. Vorremmo che una, due, tre – insomma il più possibile delle – piazze di Roma diventassero ogni quindici giorni, dei posti dove le persone si incontrano e si scambiano libri. Qualsiasi tipo di libro. Gialli, filosofici, di scuola, ma anche DVD, videogiochi, videocassette. Vorremmo liberare tanti posti della città, da quella che è la loro destinazione consueta, usuale. Questa dei libri è un’iniziativa che ci sta particolarmente a cuore, ma sono tante altre, le cose che ci piacerebbe dire e fare. Vorremmo che le case di proprietà pubblica o privata che se ne stanno chiuse ad ammuffire fossero aperte e abitate. Che vivessero. Non si vuole rubare niente a nessuno. Non si vuole diffondere astio. Si vuole provare a convivere diversamente. Vorremmo che l’amministrazione comunale, per quel che riguarda l’abitare si prendesse la responsabilità di dire ai proprietari, “Garantisco io per chiunque viva a Roma. Aprite gli appartamenti e fateli usare. Su cento famiglie forse una sola proverà a non pagare, o non potrà pagare, e lì, l’amministrazione comunale interverrà. Ma le case devono essere vissute. Roma deve essere abitata”. Vorremmo che chi sa fare – elaborare modi di vivere, di fare cultura, libero dal peso di procurarsi di che vivere – potesse fare. Vorremmo che la Chiesa, la cui presenza a Roma è pervasiva e opprimente, smettesse di dirci cosa dobbiamo fare dei nostri corpi. Vorremmo che chi si occupa — o dovrebbe occuparsi di religione — la smettesse di ordinarci come organizzare la nostra vita. Non vogliamo saperlo che cosa la gerarchia ecclesiastica pensa di noi. Come non ci interessa di convincere la gerarchia ecclesiastica così presente a Roma, a vivere diversamente da come vive. Vorremmo poter dire e dimostrare che ci sono altri modi di usarla la città.
L’iniziativa Piazza bella Piazza fa parte di – non so come chiamarlo, per approssimazione dirò – un modo di vivere. Un modo di essere che mi fa sentire parte di un gruppo, o di più gruppi di persone. Assieme a queste altre persone, in questi anni, ho partecipato a seminari, convegni, e manifestazioni. Abbiamo parlato tanto. Di come le persone lavorano. Di come organizzano la loro vita attorno al loro lavoro. Di come invece si potrebbe lavorare. Lavorare e vivere. Abbiamo discusso della politica delle donne. Di come la pratica politica delle donne abbia cambiato e stia continuando a cambiare l’altra politica, quella cosiddetta istituzionale. Ci siamo scambiati idee su come si abita. E su come si potrebbe abitare. Abbiamo discusso a lungo su — e lottato contro — un documento elaborato dal consiglio comunale chiamato Piano regolatore. Un documento a partire dal quale Roma e i suoi spazi dovrebbero essere riorganizzati – diciamo così per riassumere temi complessi che molti già conoscono. Ci siamo incontrati con persone che vivono a Roma da poco, i cosiddetti migranti. Cerchiamo di dare loro una mano perché possano vivere meglio. Loro danno una mano a noi. Ci fanno vedere come siamo diventati bravi — noi occidentali — a sprecare le occasioni, noi, di vivere bene, come spesso non ci accorgiamo di, o disprezziamo quello che abbiamo. Sono, loro per noi, uno sguardo diverso sulle nostre vite, qualcosa che ci rivitalizza. Come mangiamo noi e come mangiano loro? Come ci comportiamo noi e come si comportano loro, nell’educazione dei figli? Come fanno a essere così bravi, a vivere con così pochi soldi? Come fanno a limitare i propri bisogni? Quanta saggezza c’è nelle loro vite?
Poi qualche tempo fa, qualcuno ha deciso di diffondere questi modi di vivere e di pensare, di renderli pubblici, di tutti, e quindi anche più forti. In occasione delle elezioni amministrative qualcuno ha deciso di formare una lista, la Lista Arcobaleno. Questa lista serve a dire, “Esistono diversi modi di vivere a Roma”. Vogliamo contribuire a renderli comuni. Noi vogliamo che il benessere, la capacità di stare bene, di stare meglio, anche a partire da poco, sostituisca l’idea che la ricchezza venga prima di tutto. Vogliamo che il benessere, la capacità di stare bene, di stare meglio, sostituisca l’idea che la famiglia venga prima di tutto. Vogliamo che il benessere, la capacità di stare bene, di stare meglio, sostituisca l’idea che l’ordine sociale venga prima di tutto. Non è vero che la ricchezza venga prima di tutto. Quando dico ricchezza non dico solo le persone che hanno i soldi. Con ricchezza intendo anche che ne so, l’espressione tipica sviluppo produttivo. Intendo mettere in discussione l’essenzialità di questo concetto. Lo sviluppo produttivo non è essenziale a nessuno. Come non è essenziale a nessuno la famiglia. Come l’ordine sociale non è concetto che si possa imporre. Tornando alla ricchezza – perché riuscire a far passare un concetto diverso di benessere diventa determinante anche per altro – quante volte ci sentiamo dire, “Le capacità, le possibilità di investimento dei nostri imprenditori vengono prima di tutto”? Quante volte ci viene imposta l’idea che senza gli imprenditori, la nostra città non va avanti, e rischia di morire? Quante volte invece ci siamo detti che non è così? Quante volte abbiamo riflettuto per esempio, sul lavoro? L’idea che il posto di lavoro fisso sia necessario. Quante volte ci siamo sentiti sballottati fra l’idea che senza lavoro fisso si muore e l’idea opposta che si debba per forza accettare la precarietà? E quante volte invece ci siamo sorpresi a dire: “Gli imprenditori accumulano un di più. Gli imprenditori accumulano delle rendite che è giusto e sacrosanto ridistribuire?”. Partiamo da qui. Ripartiamo da qui. Non siamo noi che dobbiamo capire, a tutti i costi, che cosa ne dobbiamo fare della nostra vita, per ciò che riguarda i soldi e il lavoro. Sono gli imprenditori, sono i grandi gruppi dirigenti, sono i politici che governano Roma che devono decidere che fare della loro, di vita. Sono loro che devono dirci come intendono contribuire alla comunità. Sono loro che devono prendersi delle responsabilità rispetto alle loro ricchezze, e rispetto a noi che siamo la comunità. Sono loro che non vogliono essere trasparenti. E invece per noi è la trasparenza, la vera forza, la vera ricchezza. Siamo qui, nudi e nude. Senza casa, con un lavoro precario, senza sapere che cosa ne sarà della nostra vita domani. Siamo qui, a volte in coppie, a volte soli. Con un figlio, o più figli. Figli fatti con lo stesso compagno, o con compagni diversi. Da soli, con famiglie d’origine o con famiglie allargate. Abbiamo imparato modi diversi di vivere e convivere. Abbiamo voglia di dire che — a volte faticosamente ma — funziona. Abbiamo voglia di dire che sappiamo che fare. Sappiamo bene quello che vogliamo. Continuare ad elaborare saperi. Continuare a nutrire desideri. Una casa. La possibilità di andare al cinema quando ci pare. Da sole, da soli, in compagnia, di uscire. Con persone dello stesso sesso, di sesso diverso. Abbiamo voglia di comprare o scambiare — per quello l’iniziativa Piazza bella Piazza — libri, videogiochi, idee, carezze, e desiderio. Questa città è anche nostra. Per dire che si può vivere diversamente abbiamo deciso di prendere parte al consiglio comunale anche noi. E per prendere parte al Consiglio Comunale abbiamo formato e deciso di presentare la Lista Arcobaleno. Andremo al consiglio comunale come se fosse una festa di ricchi. Come se fosse una festa. Abbiamo proposte da fare. Abbiamo idee, da mettere in comune. Sta ai ricchi, ai politici, agli imprenditori, vedere che farne.