da: Repubblica, VIII, 566d-568b

[Socrate:]«Dobbiamo dunque descrivere», domandai, «la felicità dell’individuo e della città in cui nasce un simile mortale [il tiranno]
[Adimanto:]«Certo», rispose, «descriviamola».BerluSorriso.gif
«Ebbene», seguitai, «nei primi giorni e in un primo tempo non rivolge forse sorrisi e saluti a tutti quelli che incontra? Non nega di essere un tiranno e non fa molte promesse in privato e in pubblico? Non condona i debiti, non distribuisce la terra al popolo e ai suoi accoliti e non finge di essere mite e affabile con tutti?»
«Per forza», rispose.
«Ma quando, credo, si è liberato dei nemici esterni accordandosi con gli uni e annientando gli altri, e dal quel lato può stare tranquillo, comincia a suscitare guerre in continuazione, affinché il popolo abbia la necessità di un capo».
«Sì , è logico».
«E anche perché i cittadini, impoveritisi per i tributi che devono versare, siano costretti a vivere alla giornata e pensino meno a cospirare contro di lui?»
«È chiaro».

«E magari per eliminare con un pretesto, consegnandoli ai nemici, coloro che sospetta abbiano uno spirito troppo libero per lasciarlo governare? Per tutti questi motivi il tiranno non deve per forza scatenare sempre una guerra?»
«Per forza, sì».
«Ma facendo questo non è facile che venga ancora più in odio ai cittadini?»
«Come no?»
«Quindi anche quelli che l’hanno aiutato a prendere il potere e si trovano in una posizione di forza, o almeno i più coraggiosi, parlano con franchezza a lui e tra di loro, criticando il suo operato?»
«È probabile».
«Perciò il tiranno deve eliminarli tutti, se vuole dominare, finché non gli rimane nessuno né tra gli amici né tra i nemici che valga qualcosa».
«È ovvio».
«Allora deve distinguere con acume chi è coraggioso, chi generoso, chi assennato, chi ricco; ed è tanto fortunato che, volente o nolente, deve per forza essere nemico di tutti costoro e cospirare ai loro danni, fino a ripulire la città».
platone.jpg«Una bella pulizia!», esclamò.
«Sì», dissi, «l’opposto di quella prescritta dai medici per il corpo: essi tolgono il peggio e lasciano il meglio, costui fa il contrario».
«E a quanto pare», aggiunse, «è forzato ad agire così , se davvero vuole governare».
«Egli si trova implicato in un dilemma davvero felice», ripresi, «che gli impone di vivere con una massa di mediocri, dai quali per giunta è odiato, oppure di non vivere».
«Sì, in un dilemma del genere», disse.
«Ma quanto più si renderà odioso ai cittadini con questo comportamento, tanto più avrà bisogno di guardie del corpo numerose e fedeli?»
«Come no?»
«Ma chi saranno questi uomini fedeli, e da dove li farà arrivare?»
«Se darà una mercede», rispose, «molti verranno a volo spontaneamente».
«Corpo d’un cane», esclamai, «mi sembra che tu stia parlando di fuchi stranieri d’ogni razza!».
«E ti sembra bene», disse.
«E dal suo stesso Paese chi verrà? Il tiranno non vorrà forse… »
«Che cosa?»
«Togliere gli schiavi ai cittadini, liberarli e farne le proprie guardie del corpo?»
«Certo», rispose, «perché costoro gli sono assolutamente fedeli».
«Davvero beata», esclamai, «è per te la condizione del tiranno, se si riduce ad avere come amici fidati individui simili, dopo aver tolto di mezzo quelli di prima!».
«Eppure», ribatté, «la gente a cui ricorre è proprio questa».
«E sono questi», domandai, «i compagni che lo ammirano e i nuovi cittadini che lo attorniano, mentre le persone oneste lo odiano e lo evitano?»
«E come può essere altrimenti?»
«Non a torto», dissi, «la tragedia in genere ha fama di essere sapiente, ma in particolare quella di Euripide».
«Perché?»
«Perché ha proferito anche questa sentenza dal significato profondo: “saggi sono i tiranni in compagnia dei saggi”. Voleva dire, è chiaro, che questi sono i saggi con cui il tiranno vive».
«Ed esalta pure la tirannide», aggiunse, «come divina, ricoprendola di molte lodi al pari degli altri poeti».
«Pertanto», continuai, «i poeti tragici, nella loro sapienza, vorranno perdonare noi e quanti si governano come noi se non li accoglieremo nel nostro Stato, dato che inneggiano alla tirannide».
«Da parte mia», disse, «credo che i più intelligenti tra loro ci perdonino».

traduzione dal greco di Filosoficonet