di Danilo Arona

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1.
Da tempo immemore ne sono convinto e presumo di stare in buona compagnia. L’horror scritto dalle donne attizza e inquieta di più. Beninteso, non è una dichiarazione di guerra agli scrittori di cui faccio parte, ma un inevitabile riconoscimento a quella sensibilità, oscura e nascosta perciò veramente dark, che sa avvicinarsi più di noi maschietti alla sorgente del mistero e farne partecipe il lettore senza dover ricorrere alla necessità di una virile e catartica delucidazione finale. Ovviamente sto parlando per sommi capi, ma se esiste un dato che accomuna tante scrittrici, dalle classiche di ieri alle buone ultime arrivate, è proprio quello di evitare per quanto possibile il ricorso allo schema risolutorio dell’epica classica, concedendo al mistero il suo reale predominio territoriale e ricordandoci ogni qualvolta che nel gotico e nei suoi aggiornamenti non tutto ha da svelarsi, pena una prevedibile caduta di fascino e di sense of wonder.

Una storica antologia del 1973 edita da Longanesi, Le signore dell’orrore, è in questo caso emblematica: tra nomi straconsolidati (Mary W. Shelley, Shirley Jackson e Daphne du Maurier) e gemme ancora oggi poco ammirate (Gertrude Bacon o Elizabeth Bowen), lo spettacolo dell’intima coesione delle diverse sensibilità con le stanze del mistero e dell’inguardabile non si nutriva quasi mai (unica eccezione fondata, Agatha Christie, qui ospite con un classico esempio di “falso” fantastico) del rassicurante ristabilimento del dominio razionale. Un esempio, celeberrimo, su tutti: la secca e breve novelette Gli uccelli che Daphne du Maurier scrisse nel ’52: venti, raggelanti, cartelle che restano a mio parere quanto di più sublime si possa escogitare in chiave di horror vacui sul tema dell’Apocalisse. Della Du Maurier quello stesso anno era uscita in Italia per Rizzoli la raccolta Non dopo mezzanotte, che comprendeva l’insuperabile Non guardare adesso, che Nicholas Roeg tradusse con fedeltà e visonarietà encomiabili nel celebre film A Venezia un dicembre rosso shocking. Tanto Gli uccelli che Non guardare adesso sono esempi perfetti di quanto sto dicendo: su una scogliera a picco sul mare in Inghilterra e in una putrescente Venezia eventi inspiegabili si succedono con un tragico “effetto farfalla”, ma la scrittrice sceglie in entrambi i casi di ritirarsi un secondo prima della fine che ci attenderemmo. E, se Hitchcock stesso raccolse forse in quel suo celeberrimo finale sospeso de Gli uccelli una suggestione già insita nelle righe conclusive del racconto, c’è da rimarcare come funzioni straordinariamente questa richiesta di complicità fatta al lettore che può scegliere di “entrare” nella storia per perfezionare e far sue le non poche suggestioni che la scrittrice ha seminato con abilità negli anfratti delle trame. Questa è sensibilità femminile, siamone certi, raccolta al cinema dal meno sessuato dei registi, quel David Lynch, che ha istituzionalizzato la demolizione teorica della conclusione a imbuto con Mulholland Drive.
Questo per dire che, quando m’inoltro nella lettura di un horror al femminile, mi attendo un percorso diligentemente occultato a ostacoli morbidi i cui effetti conturbanti hanno da accompagnarmi ben dopo la chiusura del libro. Mai mi sono ritrovato deluso. E poi andrebbe ricordato che le scrittrici sono state Madri Fondatrici del genere: limitandoci ai nomi non sacrificabili (ma dietro di loro un esercito…), dal Frankenstein di Mary Shelley alle deliziose storie di fantasmi di Edith Wharton, dal gotico classico di Ann Radcliffe alle vertiginose maschere di Karen Blixen, ecco che già maneggiamo tracciati e materiali che ancora oggi segnano indelebilmente quelle che il critico David Punter battezzò come le “moderne percezioni del barbarico”. Tra queste, spingendoci sempre più verso i nostri anni, come non elencare in una piacevole e costruttiva rinfusa: Flannery O’Connor, Angela Carter, Joyce Carol Oates, la Jackson e la Du Maurier? E, tra le ultime arrivate: Poppy Z. Brite, Nancy A. Collins, Kathe Koja, Amanda Prantera, Anne Rice e Laurell K. Hamilton? E qualcuna di loro in grado di smentire il famoso luogo comune che gli horror, tranne i soliti due o tre nomi, non sono in grado di scalare le classifiche…

2.
Proprio per questi spunti appena abbozzati (è un discorso complesso ed enorme che sicuramente riprenderemo…), appaiono quanto mai significative le due ultime uscite della Gargoyle Books. Due donne, fascino da vendere e brividi a non finire. Caitlin R. Kiernan, una giovane scoperta per il nostro mercato, con La soglia e la “veterana” Chelsea Quinn Yarbro con Il Palazzo. Il primo lo raccomandiamo ai cultori di horror “archeologico”, in cui la paleontologia — l’autrice è laureata e attivissima nella materia — fa capolino in più passaggi, laddove tracce fossili di creature che neppure dovrebbero mai essere esistite dimostrano al contrario che certi mostri sono da sempre sotto i nostri occhi e semplicemente non li vediamo. Il secondo è la nuova puntata della saga vampirica dedicata al Conte di Saint Germain, iniziata lo scorso anno con Hotel Transilvania, raffinata epopea che già consta di venti titoli con un vampiro gentiluomo veramente unico il cui modus agendi lo porta paradossalmente a combattere il male, schierandosi spesso dalla parte dei più deboli: titolo quanto mai interessante per il lettore italiano perché ambientato in una Firenze rinascimentale, perfetta nei dettagli, e che riconferma il talento di questa prolificissima scrittrice che segna all’attivo oltre settanta libri e che ricordo di avere scoperto grazie a un mitico “Urania” degli anni Ottanta intitolato Morti e sepolti. Plauso ancora una volta, quindi, alla casa editrice romana per queste scelte che colmano vuoti vistosi del panorama horror tradotto in Italia e che ci costringono, oltre a trascorrere notti insonni, a riflettere sulla presenza femminile nella letteratura gotica.

3.
Per ultime, ma non ultime, le scrittrici italiane. Agguerrite, brave e originali; portatrici veramente di uno sguardo nuovo all’interno del genere e che il mercato sta premiando e valorizzando. Ma una panoramica storica, per quanto breve e succinta, non può in primo luogo non citare le antesignane Leonia Celli, Maddalena Gui e Laura Toscano che in epoca impensabile (i primi anni Sessanta) scrivevano sotto un mare di pseudonimi la maggior parte dei romanzi per la serie da edicola “KKK — Classici dell’orrore”, dove spesso a loro firma si apprezzavano dei gioiellini tuttora attuali, roba che magari manderebbe Tarantino in sollucchero. Venendo poi verso i giorni nostri, il manipolo indispensabile che sta gradualmente creando un immaginario orrorifico in cui in confini tra i generi francamente si slabbrano vede i nomi storici di Alda Teodorani, Nicoletta Vallorani, Simona Vinci, e poi a ruote concentriche “generazionali”, Paola Barbato (sceneggiatrice di lusso in casa Bonelli), Claudia Salvatori (suo è lo stupendo Sorriso di Anthony Perkins), Patrizia Pesaresi (che fa la psicanalista e non se ne dimentica quando scrive), Anna Pavani (fuliminanti i suoi Brucerai all’inferno e L’anello di giada), Isabella Santacroce (il suo orrore non tradizionale di Dark Demonia ha conosciuto in tempi recenti una clamorosa versione a fumetti firmata Talexi), Simonetta Santamaria e Chiara Palazzolo che con Non uccidermi ha compiuto il miracolo (12000 copie di venduto), dimostrando che in Italia esiste un pubblico quanto mai attento alla narrativa horror nostrana. A breve, in libreria, il sequel con le nuove, macabre avventure della “sopramorta” Mirta/ Luna, ancora edito da Piemme e intitolato Strappami il cuore. Infine, come non ricordare chi da anni cataloga con certosina pazienza il gotico italiano? Ovvio, una donna, pregevole scrittrice oltre che saggista: Roberta Mochi, che ha firmato Libri di sangue, trattato indispensabile sulle paure letterarie del bel paese (Larcher Editore), dimostrando in tempi non sospetti (il libro è uscito nel 2003) che il genere è un fantasma soltanto per chi è distratto ed è preconcettualmente “contro”.
Torneremo sull’argomento.