PSYCO 5 – THE REALITY SHOW

di Danilo Arona

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Norman e Norma, lo strano caso della mamma mummificata nell’armadio, amore e morte in salsa goth nei territori di Bassavilla, la mia dark city che guadagna così, per qualche giorno, l’onore della prima pagina su tutti i giornali d’Italia. Riassumo la vicenda per sommi capi per chi ancora, sbadato lui, non la conosce.
Siamo a Orsara Bormida, paesino di 400 abitanti nella magica zona dell’Acquese dove nottetempo — mi assicura il più rinomato cacciadiavoli del basso Piemonte, Luigi Rapetti — ancora si radunano le congreghe streghesche per “affatturare” il prossimo e raddrizzare un po’ di futuro che anche per le pitonesse marca male.

A Orsara, un uomo di 35 anni, Mirko Sartori, che quasi nessuno in paese conosce nonostante abiti qui dal 1997, muore in uno strano e poco chiaro incidente: praticamente, mentre lui lavora a qualche riparazione sotto la sua vecchia Panda rossa, il cric cede e la vettura gli rovina addosso. Ho scritto “poco chiaro”, perché l’autopsia e successive analisi avrebbero stabilito che le ferite riportate nell’urto non sono state mortali. Quindi il Sartori sarebbe verosimilmente deceduto per un malore, infarto o colpo apoplettico.
Quando le forze dell’ordine si recano a casa del Sartori per dare la notizia all’anziana madre inferma e immobilizzata (secondo quel che tutti sanno in paese), sono costrette a sfondare la porta. Agli occhi dei militi si presenta una scena quasi dantesca: nell’alloggio privo di luce e gas (da tempo le bollette non venivano più pagate,) si è costretti ad avanzare in un coacervo indescrivibile di bottiglie di plastica piene d’acqua, centinaia di scatole di medicinali, vestiti, cartacce, cibo per cani, libri e vecchi giornali. E le pareti: le pareti parlano, essendo diventate un unico e grande “foglio” al quale confessare la propria pena e il martirio interiore. Il muro della vita attraverso il quale Mirko Sartori si rivolge direttamente alle persone che non possono udirlo. Scrivendo soprattutto della madre, che i carabinieri proprio in giro non vedono. La scoperta horror avviene in camera da letto, “dentro l’armadio”: la mummia incartapecorita di Anna Pelloni-Norma, lì piazzata da Mirko-Norman dopo la morte risalente al 10 novembre 2002, attende da oltre tre anni che qualcuno le dia una normale sepoltura.
I giornali italiani per almeno tre giorni si sono sbizzarriti nelle dotte citazioni di genere: Edgar Allan Poe, Matheson, Bradbury, Bloch e Hitchcock hanno riempito pagine lanciate alla ricerca di paragoni letterari e cinematografici e alla fine abbiamo letto con scoramento che persino Brian De Palma aveva girato un seguito di Psyco. Ma, al di là delle incongruità inevitabili, il cinema horror ci sta tutto per (tentare di) spiegare la storia di Orsara Bormida. Perché è un plot che abbiamo già letto e già visto, così come abbiamo già visionato pareti arabescate di scritte, di fotografie o di altri deliri grafici, da One Hour Photo a Seven.
Le varie frasi si rivolgono in un corretto italiano a Gesù, alla gente di Orsara, alla “Madre”, a un certo Ernesto fondatore del Sermig e a coloro, presagiti, che sono stati guidati in direzione del cadavere. In una giungla di parole spicca il disegno rifinito di un Cristo con la corona di spine che addenta la fronte sanguinante. Le parole appaiono struggenti e in ogni passaggio c’è l’unica evidenza di una disperata richiesta di aiuto. La solitudine si dimostra l’unica regina di queste vite contratte e infelici.
In verità i commenti alessandrini, alla voce “il pragmatico spirito mandrogno”, hanno incasellato la storia quasi esclusivamente alla luce della pensione indebitamente percepita per tre anni dal Sartori: alla donna, infatti, si accreditavano tutti i mesi 900 euro netti, somma ricavata dai contributi volontari della Pelloni e dall’assegno di reversibilità del marito defunto, e il figlio con delega li ritirava puntualmente presso una vicina filiale della Cassa di Risparmio. In più, quasi per mantenere in giro l’idea che la madre fosse viva per quanto malata, il Sartori comperava medicinali all’impazzata, specificando ai farmacisti sempre la loro destinazione.
Follia? Ci siamo già capitati per le lande di Bassavilla e alla fine “follia” altro non è che una parola che funziona splendidamente quando non sappiamo comprendere gli eventi straordinari.

“Il 10 novembre 2002 ho trovato mia madre morta. Erano circa le 23, 30. Pur non godendo di buona salute, non potevo presagire un evento simile. La cagnolina era tremante in un angolo come se qualcuno l’avesse sgridata. Vidi la mamma ed ebbi il sentore che l’irreparabile era accaduto. Mia mamma giaceva supina sul letto, gli occhi vitrei fissi e insensibili a qualsiasi stimolo luninoso.”
“Gente di Orsara, perdono, pietà, misericordia per l’immenso danno che vi ho creato. Non cerco giustificazioni alla mia empietà, ma un anelito di comprensione.”
“Ernesto, ti prego, aiutami nel cammino improbo che spero mi conduca a divenire un uomo degno di questo nome.”
“Il mio corpo, se avrò la debolezza di abbandonarmi al Maligno, lo troverete nella mia stanza, accanto a quello della mia mamma. Ma sembra non volermi. Già due volte ho tentato il suicidio ed entrambe le volte un intervento celeste e prodigioso mi ha miracolato. Sono riuscito a respingere gli attacchi del Maligno ben 15 volte. Gesù mi ha salvato.”
“Non ho mai trovato il coraggio di riaprire le ante, accontentandomi da più di trenta mesi di visitarti e parlarti quotidianamente, magari accostando il viso e le mani come per darti un bacino o farti una carezza.”
“Al nostro funerale mettete un disco di De André, Tenco e Gaber. Oppure Il nostro concerto del compianto Umberto Bindi.”
“AIUTATEMI AIUTATEMI AIUTATEMI.”

I muri parlano, ma più che di follia raccontano d’invisibilità sociale e di emarginazione, i veri e grandi “horrori” dei nostri tempi. Non c’entrano necrofilia o tassidermia e questo Norman Bates non intendeva offrire vittime sacrificali alla Dea Madre che lo dominava, in proiezione, dall’antro della paura infantile.
“Ma la morte del Sartori è strana”, suggerisce il Rapetti che ricorda che nei boschi dell’Acquese ci sono demoni che attendono da millenni e macabri prodigi che la mente comune si rifiuta di prendere in considerazione. Mentre Bassavilla si difende alla sua maniera: “Era un matto ma furbo come tutti i matti: al grano non rinunciava e chissà come se lo spendeva.”
Nessun parente al rosario del Sartori. Solo 22 compaesani.
Bassavilla è ovunque, sempre.