tn_boosta.jpgdi Giuseppe Genna

boostacover.jpgAccennare agli anni Novanta – un decennio che non esito ad fare precipitare il più velocemente possibile nelle brume dell’oblio – mi fa lo strano effetto di rivolgermi a un passato più remoto di quando, bambino, sgambettavo nei Settanta. I Novanta, almeno fino all’incipit con cui si inaugurò una frattura decisiva nella nostra narrativa, sono dal punto di vista letterario qualcosa di sfuggevolmente ambiguo, di cui nella testa rimangono titoloni a effetto sugli adepti del cosiddetto pulp e sui supposti legami di parentela con Quentin Tarantino. E’ evidente che sto riferendomi alla grancassa della pubblicistica culturale, che proprio quel decennio insegna quanto sia vacua e incapace di restare (testi critici seri, invece, restano eccome, e nei Novanta sono reperibili passi decisivi, come La democrazia magica di Cordelli).
Che non esistesse alcun parentado tra pulper e Tarantino viene reso evidente da un romanzo che è un flash davvero alla Pulp Fiction: nel montaggio, nella velocità di esecuzione, nell’ipostatizzazione dei personaggi, nelle idiosicrasie, nelle psicologie abbozzate. Romanzo di genere che sarebbe un genere che è tutti i generi, Un’ora e mezza di Boosta basta a mettere fuori gioco un decennio di cannibali.

Non farò appello alla vocazione parallela (e per il momento principale) dell’autore, che è uno dei protagonisti dei Subsonica. Farò invece appello alle eredità viventi (o meno) che corrono lungo la trama frammentata ma coerente, rapidissima e nervosa di questa scrittura autenticamente pop: si tratta di Lansdale e di Leonard, ma anche di Hammett e di Chandler. Con il dovuto rispetto, ovviamente. Certo è che Joe Lansdale ed Elmore Leonard, per atmosfere e ambizioni compositive dei dialoghi, sembrano essere le bussole di riferimento di Boosta, e si tratta di aghi magnetici che indicano alla perfezione l’itinerario più veloce per venire fuori dai paludamenti di qualunque genere l’autore torinese tocchi. Ne tocca infatti tanti: sicuramente lo splatter, sicuramente il fumetto, sicuramente quel particolare genere di scrittura che è lo script di sceneggiatura, sicuramente la letteratura comica (mai sardonica e mai appesantita: le battute sono fulminee e, in pieno contesto tragico, si respira un’aria ilare e lieve, impagabile, che alimenta ulteriormente il piacere della lettura – e qui l’omaggio a Marlowe mi pare azzeccatissimo).
La scena si svolge in un ristorante e questa è la descrizione più corretta che si possa fare del libro: la scena è una. Compressa in questa, mille altre scene, una coralità di personaggi su cui svettano due opposti (non antagonisti), cioè la Madre (un pusher/punisher, nel senso che da The Punisher mutua evidenti caratteri, sorta di rovesciamento del Mr. Wolfe tarantiniano, e con una sorprendente mania per tutto ciò che è rosa) e un nano che nel ristorante si trova a girare un segmento di docufiction sul disagio sociale, nel ruolo dell’intervistato. Tra questi due poli non è che ci sia di tutto: c’è propriamente tutto. Ci sono i servizi segreti, il commercio clandestino di organi, i buchi di bilancio, gli adolescenti nichilisti, gli sniffatori di bamba, gli extracomunitari con laurea sfruttati in retrocucina, un serial killer, una squadra speciale d’intervento delle forze dell’ordine che sembra uscita da 24h, una donna in carriera, una ragazza che è il protopipo del desiderio d’amore di venticinque milioni di italiani, i padri e i figli, i romantici e i disillusi, gli speculatori e gli speculati.
Accanto a questa vicenda, ce n’è un’altra: una stanza d’albergo, un ragazzo, tossicomane, ha ucciso un supposto rivale in amore, ed è assediato dalla polizia, che pressa fuori dalla stanza in cui lui si è serrato col cadavere, sul quale compie gratuiti atti innominabili.
Come e se queste due storie si interlacceranno, si saprà alla fine, entrando in un geniale colpo a sorpresa che corrisponde, nella grammatica erotica, al coitus interruptus e costituisce un assoluto ribaltamento delle modalità più stantie dello choc finale nei libri ad alta tensione e a colorazione nera.
Questo non tanto micro universo è stipato in 159 pagine: bisogna dunque immaginare una sapienza di tratteggio che è tutta la felicità della scrittura di Boosta – questa essendo la sensazione fondamentale del lettore: che lo scrittore, nello strutturare e nello stendere questo romanzo ad alta velocità è felice, si diverte. E’ la radice del fantastico, in cui Boosta ha messo le mani per estrarre un gioiellino ad altissima godibilità e ad ancor più alta fedeltà.
Si sa già che Un’ora e mezza diventerà, con significative variazioni rispetto al libro, un film: personalmente, garantisco che non me lo perderò, angoli di felicità tanto ossigenante oggi sono rarissimi, vanno respirati e goduti al volo.

Boosta – Un’ora e mezza – Baldini Castoldi Dalai – 14 euro