OVADA, TEXAS

di Danilo Arona

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Premetto che non ho visto il film di Fausto Paravidino Texas, girato e ambientato in provincia di Bassavilla (non è ancora uscito al momento in cui scrivo), e che perciò sono consapevole di quanto suonino strampalati apparenti giudizi formulati in anticipo. Però, dato il cuore tematico delle Cronache (la provincia, la pianura, la nebbia e la paura, il grigio e il noir, la vitalità dello spleen e la scrittura, etc…) e la singolarità spiazzante che riscontro tanto nei lanci giornalistici quanto nelle dichiarazioni dell’autore, mi si conceda questa trascurabile scorrettezza.

Allora, pare che questa mia provincia che sempre più va peggiorando non abbia altra aspirazione che di assomigliare all’America (ma proprio non ce la fa) e che il sabato, quaggiù, sia ancora il sabato del villaggio. Pare che Alessandria sia una generica periferia dell’impero dove la campagna oggi vuole divenire “come il Texas” con una industrializzazione che nulla c’entra con questa terra (grandi industrie siderurgiche o chimiche e le colline sullo sfondo) e che fa esplodere le contraddizioni dei personaggi. Pare infine che il film Texas dai giornali descritto come “ambientato alla periferia di Alessandria” descriva tre sabati sera a Ovada, dove i vari destini dei protagonisti s’incrociano in un affresco che ci ricorda che tutta l’Italia è provinciale, soffocata dal grigiore e dagli stessi paesi divenuti fantasmi di sé stessi.
Che cosa non mi quadra?
Che Ovada non è periferia di Alessandria. Sicuro, geograficamente se ne sta in provincia, a 35 chilometri dal capoluogo ma, architettonicamente e culturalmente (e persino nel dialetto) è periferia di Genova. Noi si parte, o si partiva, per andare a Ovada a mangiare focacce e farinata, per girare nei carrugi coi negozi aperti anche la domenica (come in Riviera d’estate), per annusare il “marino” (il vento ligure che soffia dal Passo del Turchino) o per mangiare pesce fresco da Pietro. Insomma, per andare in Liguria senza oltrepassare Masone, laddove non smette quasi mai di piovere e dove lo spettro di Al Godiasca ancora fa dondolare la Schiena del Drago. Ma non solo: sono proprio i liguri, genovesi in testa, a considerare “loro colonia” tutto l’Ovadese con seconde o terze case occupate da maggio a settembre, con migrazioni periodiche che arrivano a lambire, queste sì, la periferia di Bassavilla. Con tutta una serie di ricadute turistiche quasi grottesche, vedi paesi collinari dell’alto Monferrato che celebrano la sagra della triglia o del fritto misto di paranza.
La chiudo subito con questi argomenti da depliant della Provincia. Il fatto è che il regista Fausto Paravidino, da quel che leggo, è genovese e vive a Roma. Allora, con il beneficio del dubbio, tutto mi sembra più chiaro: quanto sta accadendo da tempo nel suo meraviglioso entroterra viene “riambientato” qui, spacciato per emblematico di una provincia con nome e cognome (Ovada e Alessandria) e rifrullato in un contenitore mitico (ragazzi, il Texas, quello di Lansdale…) per guardarci meglio dentro e poter dire Il Texas è ovunque (però, attenzione, senza dimenticare che è periferia di Alessandria, una delle ultime dell’impero).
Insomma, non è Alessandria, è Genova. Anzi, è quella porzione di territorio che i liguri veraci rivendicano tuttora come loro. Leggete quanto scrisse nel maggio 2003 il genovese Filippo Noceti, rappresentante del Movimento Indipendentista Ligure, sul “Secolo XIX” a seguito di una dichiarazione del Presidente della Regione Piemonte, Ghigo. che individuava in Ovada un punto strategico per lo sviluppo del retroterra del porto di Genova.

Perché la Regione Liguria non si decide, una volta per tutte, a rivendicare quei territori che appartenevano alla Repubblica di Genova prima, ed al ducato di Genova ancora in età Sabauda (quindi post unitaria) poi, e che furono cedute alla provincia di Alessandria solo perché Urbano Rattazzi era alessandrino? Non avrebbe diritto Genova ad un maggior retroterra, vista la sua maggiore importanza rispetto ad Alessandria? Non avrebbero diritto le genti di quei comuni, che portano ancora il nome “Ligure” (Novi, Cabella, Parodi e moltissimi altri…) di avere un centro amministrativo più comodo per loro, visto che per i servizi fanno comunque riferimento a Genova?

Maggio 2003, mica due secoli fa. E Noceti non rappresenta solo se stesso. Al di là che queste diatribe tra la Superba e la Grigia sono antichissime, il sospetto che mi rode ha qualche ragion d’essere: il genovese ci considera così tanto “sua” colonia che esporta qui la decadenza della provincia che gli sta alle immediate spalle, senza però dimenticarsi di ricordare al mondo che è “Ovada, periferia d’Alessandria”, spacciandola per verità.
Che dite? Che sono troppo campanilista e che, alla fine, Paravidino non fa altro che confermare quello che diciamo tutti nei bar senza essere uditi da nessuno e che hanno già detto in tanti, forse troppi, nell’empireo dell’arte, da Fellini ad Avati, da Germi a Piero Chiara, da Baldini a Paolo Gilli, che la provincia ti schiaccia, ti annulla, e la puoi salvare soltanto attraverso la trasfigurazione fantastica?
Sì, c’è anche questo aspetto. Chi lo potrebbe negare? E poi uno che ha scritto “Bassavilla è ovunque”, non può rifiutare per principio che anche il Texas sia ovunque.
Perciò gioisco — con moderazione – del fatto che, in ogni caso, Alessandria è entrata, per quanto sghemba, nell’immaginario visivo del cinema contemporaneo, auspicando che non finisca qui e che, complici anche noi che ci viviamo (di sopra e di sotto, come qualcuno magari ricorda…), possa veramente diventare un universale “paesaggio della mente”, chiamato con il suo vero nome (d’arte): Bassavilla. E a Paravidino mi sento di dedicare le parole di una canzone. Versi scritti da un grande poeta che spiegano tanto, meglio di mille Cronache.

Con quella faccia un po’ così
quell’espressione un po’ così
che abbiamo noi prima di andare a Genova
che ben sicuri mai non siamo
che quel posto dove andiamo
non c’inghiotte e non torniamo più.

Eppur parenti siamo un po’
di quella gente che c’è lì
che in fondo in fondo è come noi, selvatica,
ma che paura ci fa quel mare scuro
che si muove anche di notte e non sta fermo mai.

Genova per noi
che stiamo in fondo alla campagna
e abbiamo il sole in piazza rare volte
e il resto è pioggia che ci bagna.
Genova, dicevo, è un’idea come un’altra.
Ah, la la la la la la

Ma quella faccia un po’ così
quell’espressione un po’ così
che abbiamo noi mentre guardiamo Genova
ed ogni volta l’annusiamo
e circospetti ci muoviamo
un po’ randagi ci sentiamo noi.

(Paolo Conte, Genova per noi)