LA META’ OSCURA

di Danilo Arona

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Vi ricordate l’Anima Mundi (Cronache n° 5)? Vi ricordate gli scrittori ai quali capita, in ottima fede, di “copiarsi” reciprocamente? Okay, quel postaccio ai confini della realtà che si chiama Bassavilla e nel quale vivo e forse vegeto mi costringe a tornare sull’argomento. E mi conduce, mio malgrado, in barba alla più limpida delle deontologie, a giovarmi di un’impudica forma di autopromozione. Giuro che è l’ultima volta, a meno che i libri non siano anche eventi magici in grado di scatenare reazioni a catena. Già, ma forse lo sono. O lo possono divenire, una volta usciti.

Al dunque. Entro in un bar, più o meno a metà luglio. A Bassavilla se ne contano circa quattrocento. Io ne frequento abitualmente una ventina e, bevendo solo caffè, può capitare che mi ritrovi di tanto in tanto un po’ sopra le righe: diciamo, eretismo nervoso da caffeina. Ma è pure mattina, intorno alle dieci e mezza, e ci sto provando a svegliarmi, pur consapevole che fino a mezzogiorno il mio corpo astrale non si sarà opportunamente ricongiunto con la sua controparte fisica.
Dentro il locale, dinanzi al bancone e al barista, un armadio umano oscillante con occhiali neri alla Belushi dopo una notte brava sta prosciugando un caffè doppio in tazza grande. E’ Ciccio.
Ciccio, e allora? In ogni città, paese o quartiere esiste un Ciccio. Io ne ho conosciuti a dozzine. Un Ciccio che di giorno faceva il fruttivendolo suonava nottetempo la batteria con me e altri peones. Un altro non se la sgambettava male come centravanti dei Lupetti dell’Alessandria. Forse esiste da qualche parte persino un Ciccio con cui divido una vaga parentela (cugino) in quel di Novi Ligure, a un tiro di schioppo da Bassavilla. Insomma, con un Ciccio una volta nella vita ci scontriamo tutti.
Questo Ciccio però è speciale, ma ancora non ne so nulla. Lo conosco, non benissimo, ma quel tanto che basta per farmelo simpatico: spara ferocissime battute a raffica di rara efficacia e il mondo lo considera indispensabile per la buona riuscita di una serata goliardica. Un mese prima l’ho sentito sbottare, uscendo da questo stesso bar: “Vado a prendere il pit bull”, ma si riferiva alla fidanzata.
Di lui altro non so. Ma che devo poi sapere? Lo incontro solo al bar. Come stamattina. Anche lui sveglio da poco e un metabolismo identico al mio.
“Ciao.”
“Hi.”
Lo imito nella consumazione. Caffè doppio in tazza grande, arabica puro non miscelato. Mentre porto il recipiente alle labbra, lui depone il suo e grufola così:
Palo Mayombe, eh?”
Ma guarda un po’, Ciccio mi legge. Non ci avrei scommesso un centesimo. Che gli rispondo? Ma, soprattutto, che domanda mi ha fatto?
Non mi resta che snocciolare un classico grugnito da bar:
“Eh… proprio così.”
Sembra il motore di una macchina dimenticata con i fari accesi per tutta la giornata. Il sommesso borbottio che anela a trasformarsi in un’unica nota, suadente e rassicurante. Ma, al momento, Ciccio si dimostra ingolfato.
“Quell’idea… Il maleficio della mano sinistra… Hendrix e tutti gli altri… Quando ti è venuta?”
Trangugio il primo sorso. Bollente, l’ideale per una mezza mattina di luglio. Ci starebbe bene una brioche per tamponare l’inevitabile secrezione acida che mi stroncherà da lì a quaranta secondi. Ma la domanda, accidenti quanto strana, frena ogni iniziativa diversa. Non possiedo risposta più brillante:
“Boh… E che ne so?”
Per guardarlo, devo piegare il collo all’indietro come Totò e Peppino davanti al Duomo di Milano. Lo esamino dal basso perché proprio non mi sembra il solito Ciccio.
“Il tuo libro l’ho letto solo il mese scorso…”
“Grazie. Ti sei divertito?”
“E’ avvolgente, ma tutt’altro che divertente. Ma non è questo il punto…”
“Il punto?”
“Finisci il caffè.”
Adesso guardo anche Claudio, il barista, dall’espressione così vispa che pare un budino all’aspartame. Dentro il bar in quel momento non si scorge anima viva. Butto giù il caffè nei dotti gastrici e, con un minimo d’inquietudine, seguo Ciccio a un tavolino appartato.
Una volta seduti, lui si toglie gli occhiali. Nottata infelice, forse ha combattuto con il pit bull. Ma non esterno e lui si ficca una mano in tasca, traendone una manciata di fogli spiegazzati.
“Io scrivo.”
“Ah…”
“No, guarda, non sono l’aspirante scrittore che ti spacca le palle. Sono già uscito tre volte e con editori importanti. Ponte alle Grazie, conosci, no?”
“Per forza…”
“Insomma, leggi qui…”
E con un dito che pare una gomena mi indica dove leggere. Io vi riporto testualmente la parte in questione, perché poi quella mattina di luglio me ne sono poi uscito dal bar con la stampata del Ciccio fra le mani. Leggermente frastornato, devo confessare. Per agevolarvi la comprensione del frammento, il Ciccio scrittore sta descrivendo un tizio (si chiama E., solo una kafkiana vocale iniziale), che viaggia in autostrada e ascolta i Pink Floyd:

Quelli erano gli anni che E. avrebbe voluto vivere da diciottenne. Comprare The Dark Side of the Moon nel 1973, appena uscito. Provare l’emozione di scoprire mostri come Clapton, Santana, Hendrix, da poco arrivati nei negozi italiani. Purtroppo E. si dovette accontentare di acquistarli dieci anni dopo quando erano già miti e tutti li ascoltavano.
La sera si avvicinava e il viaggio scorreva veloce, accompagnato da una raffica di pensieri strani e poco connessi. La musica dai Pink passò a
Live in the BBC con un Mark Knopfler in forma smagliante, con la sua Stratocaster che dava il meglio di sé in Water of Love.
“Certo”, pensò E., “se avessi la mano destra di Knopfler, i miei problemi sarebbero risolti. Suonerei divertendomi senza farmi rompere i coglioni da clienti noiosi e da aziende sull’orlo del fallimento. Ecco quello che chiederei in cambio dell’uccisione di uno sconosciuto: la mano destra di Mark, ah, ah, ah!”.
Ma un’intuizione lo colpì di botto: “No, la sinistra, lì dove abitano la diversità, il genio, la fantasia di un chitarrista destro. Sì, la sinistra. Certo, per la destra potrei chiedere quella di Jimi. Sarei un genio inarrivabile delle sei corde!”
Arrivarono poi sul lettore CD della potente Audi i Magnum con una versione di
The Spirit con una chitarra acustica che avrebbe strappato lacrime anche a una guardia carceraria turca. Infine, quando Carlos Santana magnificava una magica donna nera, le luci del casello di Novi Ligure avvisarono E. che era ormai giunto a casa.

Il resto della pagina non ci riguarda. Ma quanto sta per accadere sì, con Ciccio che dice:
“L’avevi già scritta tu quella menata della mano sinistra. La stessa ossessione di possedere una mano altrui. Appunto, in Palo Mayombe. Con parole quasi identiche!”
“Cose da chitarristi. La mano sinistra è il segreto. Stanno lì dentro le arcane ricette della tecnica, della velocità e del cosiddetto talento. Ma che ci posso fare? E’ soltanto una coincidenza…”
“Mi accuseranno di averti copiato.”
“Ma figurati, il libro non è così famoso. Oh, Ciccio, ma chissenefrega…”
Allora lui abbassa la voce, si guarda attorno e sussurra:
“E’ colpa delle gallerie, lo sai, vero?”
“Sì, lo so. Sotto Bassavilla, le linee sincroniche…”
“Certe volte capita. Ci fanno agire come se avessimo un unico cervello.”
“Non c’è da stupirsi. Succederà ancora, forse.”
“Allora non ti arrabbi?”
“Se non ti arrabbi tu… In caso di match, sono io che ce l’ho in un piede.”
“Okay, caffè offerto.”
Ciccio si alza, paga e se ne va. A me restano due fogli di stampata che potrei riportarvi per intero come prova per quanto raccontato sin qui. Ma voi siete liberissimi di non crederci. Però, tenetelo sempre presente: nelle Cronache di Bassavilla non diamo mai spazio alla fiction. Per delirare, è sufficiente la realtà quotidiana.