THE VANISHING HITCHHIKER

di Danilo Arona

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In data 4 luglio 2005 il dottor Italo B., cinquantenne professore di matematica in un liceo scientifico del nord Italia, mi ha inviato via rete il seguente documento:

«Ho letto alcune sue cronache inerenti una ragazza deceduta in autostrada nel dicembre ’99 e vorrei metterla al corrente di quanto mi è capitato in una notte di ottobre del 2001 sulla Bologna-Padova. Di mestiere faccio l’insegnante di matematica e non sono quel che si dice un soggetto superstizioso. In più ho una testimone di assoluta imparzialità, mia moglie Marcella, ma vengo ai fatti.

Quella sera abbiamo imboccato l’autostrada all’altezza di Carbonara, poco dopo Rovigo. Veniva giù una pioggia leggera e faceva particolarmente freddo. Subito dopo il casello restammo quanto mai sorpresi alla vista di una giovane ragazza bionda che faceva timidamente l’autostop, avvolta in un leggero giubbetto rosso. Come ho appena scritto, le condizioni ambientali esterne erano pessime e io d’istinto mi fermai, ricevendo lo sguardo d’approvazione di mia moglie. La ragazza si avvicinò e mi chiese in uno strano italiano per quanto corretto — forse era dell’Est — dov’eravamo diretti e io le risposi: “A Padova”. Le andava bene e allora la feci salire nel sedile posteriore. Per quel che poco che vidi e che ricordo, si trattava di una ragazza molto bella e dalla carnagione pallidissima, quasi bianca, e anche non troppo loquace. In realtà, non essendomi mosso dal posto di guida, la distinguevo quasi di sfuggita nello specchietto retrovisore. Ripresi la marcia in direzione Padova e, nonostante il brutto tempo, andavo spedito quasi ai duecento all’ora. Era un tragitto che conoscevo bene e che facevo spesso, con o senza mia moglie. Fu ad una ventina di chilometri da Padova che la ragazza parlò da dietro con la sua strana voce roca:
“Potete rallentare un poco, signore? Non mi sento troppo bene.”
Non lo diedi a vedere, ma la richiesta m’irritò. Come la maggior parte di quelli che guidano, non accetto di buon grado intromissioni. Comunque alzai il piede e rallentai di molto la velocità. Mia moglie, per quanto assopita, avrebbe approvato. Ma dieci minuti dopo, quasi all’altezza di San Pelagio, lei letteralmente urlò, con voce piagnucolante e stridula: “Signore, ve ne prego! Andate più piano!”
Marcella, svegliata dal suo vociare, mi appoggiò una mano sul ginocchio, non capii se per calmarmi in previsione di uno scatto d’ira o per indurmi a decelerare ancora. Il tutto mi sembrava pazzesco: stavo filando sotto i cento, in autostrada. Ma la ragazza, ormai, quasi sull’orlo di quella che pareva una crisi isterica, insistette:
“E’ qui, signore, è qui che dovete andare il più piano possibile. Io mi sento veramente male. Se non lo fate, sarò costretta a scendere!”
“Assurdo”, pensai, “sono agli ottanta”.
Sorpassammo l’uscita per San Pelagio e dietro udimmo come un grande sospiro, difficile dire se di paura o di sollievo. In ogni caso aggiustai lo specchietto per verificare le condizioni (che non mi parevano ottimali) della nostra ospite, ma non la vidi.
“Si è sdraiata”, valutai tra me e me. “Forse quel sospiro era un respiro prolungato per il sonno giunto all’improvviso, insomma come quando uno russa…”
Ne chiesi conferma a Marcella.
“Si è messa giù per dormire?”
Mia moglie si voltò. E urlò semplicemente:
“Cristo!”
“Che succede?”
“Non c’è!”
“Che cosa dici? Si è buttata giù, allora…”
“Ma no, ce ne saremmo accorti. Ferma la macchina!”
Lo feci subito. Girai ancora la testa dietro per guardare se per assurdo non fosse rannicchiata in basso, fra i sedili. Guardai mia moglie, sconcertato, poi uscii fuori sotto la fine pioggia battente con una grossa pila che tenevo sempre a disposizione in macchina per gli imprevisti. Corsi indietro per centinaia di metri, agitando la pila dalla corsia d’emergenza. Pioveva, ma la visibilità era buona. Durante la mia inutile ricerca, transitarono sì e no una mezza dozzina di automobili. Tornai indietro con la sensazione di vivere in una specie di brutto sogno. La bionda col giubbetto rosso si era dissolta nel nulla.
“Che si fa?”, mi chiese Marcella.
“E che ne so… Comunque si è tirata giù, non c’è altra spiegazione.”
“Ti sbagli… Guarda, ci sono ancora i portelli bloccati. Manualmente non avrebbe potuto farlo.”
“Che mi stai dicendo? Che abbiamo caricato un fantasma?”
Un dialogo surreale in piena notte sotto la pioggia. Una macchina che rallentava e dall’interno qualcuno che sbirciava due sciroccati, un uomo e sua moglie, che s’interrogavano invano su quanto era appena loro successo.
Risalimmo in macchina e non parlammo più sino alla stazione di Padova Est. Mentre il casellante stava contando il resto, ebbi come un’ispirazione e gli chiesi:
“Senta un po’, le risulta che c’è una pazza in autostrada? Una giovane bionda che fa l’autostop?”
Lui mi squadrò dalla penombra del gabbiotto. Quindi, facendomi cadere le monete nel palmo della mano, rispose con l’aria più seria e naturale del mondo:
“E’ Melissa.”
“Melissa chi?”
“Lei è il decimo quest’anno a vederla. Appare il 29 di ogni mese. Sceglie un automobilista soltanto, non si sa perchè…”
“Appare?”
“E’ morta quasi due anni fa, più o meno all’altezza di San Pelagio. Centrata da una macchina in mezzo alla corsia di marcia. C’è chi dice di vederla da allora. Come lei.”
Buttai le monetine del resto nel vano vicino al cambio. Guardai Marcella con il terrore che mi avviluppava le budella. Inserii la prima e me ne andai. Non ne avrei mai più parlato se non avessi letto le Cronache di Bassavilla sul sito Carmilla Online. Faccia quel che crede di questa nostra assurda avventura. Ometta soltanto cortesemente il mio cognome.»