severinirp.jpgdi Roberto Sturm

Recensire un libro di Gilberto Severini non è impresa semplice. Chi avesse seguito la sua carriera letteraria si sarà certamente reso conto come i suoi testi, sempre di una scorrevolezza e agilità sorprendenti, nascano da tutta una serie di situazioni più o meno sommerse che sezionano impietosamente le ipocrisie della società e le abiezioni delle persone che la compongono.
La ricerca di nuovi modelli stilistici e di attuali (moderne) forme di linguaggio sono sempre stati obiettivi primari dell’autore marchigiano che ha sempre comunque privilegiato contenuti di forte spessore letterario e sociale.
Il superfluo, nella letteratura di Severini, non esiste. Ogni fatto, ogni descrizione, ogni dialogo e ogni gesto dei personaggi è solo uno strumento per guidare il lettore all’interno della vicenda. Non c’è mai leziosità.

Anche in questo caso è la città di provincia che Severini preferisce come luogo di azione della sua storia, probabilmente perché è nel piccolo centro che si amplificano maggiormente i lati peggiori della realtà di questi ultimi anni.
Una Fiat Uno grigia malmessa sosta sulla piazza principale del paese. Gli abitanti sono assaliti da preoccupazione e curiosità. Debora e Monica, due amiche le cui finestre dei rispettivi appartamenti danno sulla piazza, cominciano a scambiarsi ipotesi sul nuovo arrivato, non tralasciando apprezzamenti sul fisico che s’intravede sotto quel portamento trasandato e poco curato. L’ipotesi dell’extracomunitario, dell’albanese che vive dentro l’auto tramonta quasi immediatamente. L’uomo non è altro che Leonardo Guerra, un compaesano che parecchi anni prima aveva lasciato il paese per cercare fortuna altrove sfruttando le proprie capacità artistiche di cui solo lui sembrava convinto.
Dal momento del suo ritorno, però, il comportamento di Renato Rossi, quarantanovenne mediocre bancario, senza troppe aspettative dalla vita, marito di Debora, subisce un repentino cambiamento.
Tra le altre cose, l’arrivo di Leonardo manda in fibrillazione la giunta comunale. A pochi mesi dalle elezioni le rivendicazioni di Guerra per una sistemazione decente e per un prestito dalla banca, diritti di cittadinanza secondo l’uomo, non fanno altro che dare fiato ad una opposizione che aveva sempre convissuto pacificamente con la giunta attualmente in carica sotto il regime dell’alternanza e della spartizione.
Ed è da qui, dopo un inizio apparentemente leggero, direi quasi sommesso del romanzo, che Severini da il via a una sorta di commedia dei malintesi che lentamente, ma inesorabilmente, porterà a galla verità inconfessabili tenute nascoste per anni.
Con il suo stile scorrevole ed essenziale, con una scrittura leggera, quasi musicale, che non deborda mai nel disimpegno (letterario), con una ricercatezza dei dialoghi che tratteggia i personaggi in poche frasi, l’autore ci guida tra le pieghe di fragilità matrimoniali mai ammesse prima, di relazioni extraconiugali raccontate come fossero l’unico antidoto per sopravvivere a lunghi anni di monotono menage familiare, di identità sessuali mai definite completamente, di invidie e meschinità sempre mal represse, di competizioni senza senso che hanno come unico scopo quello di far scorrere il tempo.
Ma questi non sono che alcuni aspetti che il romanzo evidenzia.
Ci sono anche storie di fallimenti che s’incrociano e procedono parallele. Il fallimento di Leonardo, che perde l’ultima occasione di entrare nel giro che conta organizzando un reality show sui generis. Il fallimento di Renato, che fraintende il ritorno dell’amico e solo troppo tardi capisce anni e anni di malintesi con se stesso, precludendosi l’ultima possibilità di riscatto. Il fallimento di un intero paese, di una intera mentalità che non riesce, dopo che l’arrivo di Leonardo ha scosso fin dalle fondamenta alcune delle convinzioni più radicate, che a continuare a covare le proprie illusioni e le proprie ipocrisie chiudendosi ancora di più a riccio per mantenere un fragile quanto apparente equilibrio.
Pochi giorni prima dell’uscita del romanzo Gilberto, che è una persona dotata di una cultura straordinaria e di capacità oratorie fuori dal comune, mi faceva notare come molti dei testi di oggi siano storie senza speranza. Un segno dei tempi bui che stiamo vivendo, tra le altre cose. Avevo creduto di notare un certo disappunto nelle sue parole, per cui avevo creduto che questo suo romanzo potesse andare in una direzione diversa. Ma mi sbagliavo.
Ragazzo prodigio è senza dubbio un bellissimo romanzo. Ma, anche qui senza dubbio, non lascia troppe speranze.

Gilberto Severini — Ragazzo prodigio — peQuod, pp. 160 — euro 14