SEX AND THE CITY

di Danilo Arona

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Una ricerca del mensile Men’s Health, rilanciata dall’ANSA lo scorso 14 giugno, ha posto Bassavilla (Alessandria) al vertice di una poco lusinghiera classifica. Sarebbe, infatti, la mia gotica ghost town – sul cui fascino noir intendo da mesi speculare per consacrarla a metafora del “doppio” e della normalità “misteriosa” – una delle quattro città italiane in cui si vive peggio. A Trapani, Enna, Alessandria e Asti, mancherebbero infatti discoteche e ritrovi, languirebbe la vita notturna e, orribile rivelazione, si farebbe pochissimo sesso, in media 1,1 volta la settimana (sic).

Men’s Health, che è una versione maschile di Cosmopolitan aggiornato ad un target maschile palestrato e con sindrome da flop tra le lenzuola, applica otto fattori per aggiudicare l’infamante palma: traffico, economia, salute, ordine pubblico, tempo libero, sesso, sport, inquinamento ed ecologia. Ma, al di là del compitino, il diligente estensore dell’articolo si lascia andare a un delirio allucinatorio che raggiunge il suo apice nella descrizione di una città “invasa dal tardo pomeriggio alle dieci di sera dalle divise di migliaia di militari e poliziotti di stanza nelle caserme che approfittano della libera uscita per invadere strade, palestre e pizzerie…”. Ma in quale film comico degli anni Sessanta? L’ultima caserma, che si chiama Valfré e che viene utilizzata da allora per fiere e manifestazioni culturali, è stata chiusa un po’ di anni fa.
Ben chiaro, sono l’ultimo che vuol difendere Alessandria. Come ogni mio concittadino, sono afflitto — anche se in minor misura, credo — dalla famosa sindrome del Tafazzi, nel senso che, se non ci sparano addosso dall’esterno, ci pensiamo noi da soli a farci del male. Né mi sogno di difendere sdegnosamente presunti primati nelle varie arti dell’erotismo provinciale: avrò tutto il tempo per dimostrare che, dietro queste classifiche del piffero (appunto!), esiste un godereccio bordello a cielo aperto che bene si occulta nel grigiore alla Simenon.
Un po’ di storia analogica, però, bisogna farla. Trapani non la conosco, anche se con quel nome… Ma di Asti, che ci accompagnerebbe sul sentiero della frigidità, ho lunga dimestichezza. Essendo un galantuomo, sorvolo sui miei contatti personali (il cui solo ricordo mi riempie il sacco lacrimale), però agli amici di Men’s Health andrebbe ricordato che proprio Asti, nel non così lontano 1992, si guadagnò in una serissima inchiesta Istat la gloria di essere la Sodoma italiana, regno d’indescrivibili bizzarrie boccaccesche e di pulsioni a tutto campo. Allora, se non ricordo male, non si applicarono “parametri”, ma si andarono a spulciare — in tribunale — tutti i reati sessuali conclamati, quelli effettivamente denunciati in processi, cause e querele. Un vastissimo repertorio che impegnava allora ogni forza del foro astigiano e che comprendeva palpeggiamenti su tram, relazioni clandestine, atti osceni in luogo pubblico, molestie telefoniche, molestie un po’ più da vicino, vicende annesse alla prostituzione e, di sicuro, qualcosa di più tremendamente serio (come il serial killer della Statale 10 di cui vi riferirò a suo tempo) non estraneo a componenti sessuali.
E allora? Sarebbero bastati tredici anni e qualche cambio di amministrazione per azzerare tutto ciò? Andate a “respirare” Asti un qualsiasi sabato sera d’estate, poi mi direte.
Senza muoversi poi di molto da quegli iniziali anni Novanta, dove le pruderies di provincia parevano sprecarsi tanto in letteratura che al cinema, è doveroso citare un’ottima inchiesta del gennaio ’91 che la compianta giornalista piemontese Dada Rosso, prematuramente scomparsa nel novembre 2004 per un incidente aereo in Ciad, pubblicò su La Stampa a emblematico titolo Twin Peaks di casa nostra: Canelli, il Cuneese, Asti e Alessandria, mondi provinciali che venivano, appunto, analizzati all’ombra di quel geniale serial TV targato David Lynch, i cui risvolti ambigui e spesso quasi incomprensibili non parevano invece così ostici al pubblico della provincia piemontese. Questa, infatti, era la tesi di Dada che, a sostegno, forniva ben più che prove circostanziali. Leggete lo stralcio:
“Il pubblico di provincia sembra capire con più facilità certi risvolti de I misteri di Twin Peaks perché conosce molto bene il tipo di realtà in cui la trama si svolge. In provincia nessuno è veramente ciò che sembra, tutti hanno qualcosa da nascondere. A differenza della metropoli, dove domina la solitudine, qui fa da padrone il modello della collettività che fa domande su se stessa. Il pettegolezzo regna sovrano. Lynch, in fondo, ambientando la sua storia a Twin Peaks, non fa che ripetere tòpoi universali e ipersfruttati dalla letteratura gialla. Da Agata Christie, quando fa muovere i suoi personaggi a St. Mary’s Mead o da Simenon che usa come sfondo la Parigi di quartiere, dimenticando di proposito qualsiasi riferimento metropolitano, fino ad arrivare a Stephen King che non si sposta mai da panorami di provincia. E’ il grigio — colore ‘simbolo’ di Alessandria — che ha potere coprente, più di tutti, sugli altri colori: facilita la doppia vita, ci obbliga a un livello sotterraneo di lettura, confonde le acque, nasconde. E’ un modello di tranquillità di provincia, sotto il quale ribolle un sociale, a volte torbido, in cui solo chi ci vive ha potere di accesso.”
E’ datata di quattordici anni questa bella lezione di Dada Rosso, ma bisogna sbandierarla ancora sotto il naso di quelli che credono ai sondaggi stile Men’s Health. Una Bassavilla piemontese non è alla portata di chi non ci risiede e di chi pensa di seppellirla sotto i più abusati luoghi comuni. Per citare la mia amica Bianca Ferrigni (da Il Piccolo di Alessandria del 20 giugno), siamo alle prese con descrizioni fantastiche, da fare invidia ai fratelli Grimm: “forse il giornalista che probabilmente non è mai stato neppure in Piemonte, nel prendere appunti al telefono, ha confuso Alessandria con Taranto, e nel descrivere i difficili e conflittuali rapporti tra una presunta cittadinanza infastidita e una marea di militari in libera uscita, c’è andato giù pesante, lasciando libero sfogo alla fantasia e a una certa propensione alla sociologia da scuola serale”.
Chiudiamola qui. Sembra di sparare sulla Croce Rossa, ma qualcuno potrebbe pure ricordarci dell’antica saggezza latina quando recitava: “Excusatio non petita, culpa manifesta”. La realtà peraltro non è mai una sola. Nel grigio sono più di una. E quella che conta non è mai urlata ai quattro venti né ribattuta dall’ANSA. Come ho già scritto, il marchio di Bassavilla sta di sotto, nel profondo. Dove fermentano idee, pulsioni e poteri non condivisibili con il resto del mondo. Ai lettori di Men’s Health non far sapere…