di Federica Vicino

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IX

Fingere: ultima spiaggia o àncora di salvezza. Arranco, ormai da troppo tempo: troppi impossibili minuti mi separano dalla mia storia. Ma non ho scampo. Dovrei essere più cinico.
Mi arrischio a gettarmi nella trappola tesa ad arte dal direttore dello United World Daily News. Ho la voce rotta dalla finta emozione: interpretazione penosa, la mia.
Chiedo:
– Perchè vogliono sopprimerla, se non ne hanno sentito la voce?
– Per una questione politica, credo.
– Una questione politica?
– E’ lo stesso motivo per cui il dottor Brauler ha messo a tacere la notizia sul clone risvegliato. Gliel’ho detto, Drexter: qualcosa dev’essere andato storto. Immagini che casino succederebbe se io la mandassi ora in diretta in un’edizione straordinaria dei nostri quotidiani d’informazione! Immagini quale imbarazzante situazione si genererebbe a livello internazionale! Immagini quali reazioni potrebbe avere l’opinione pubblica!

– Me ne frego, di tutto questo, direttore! Io non voglio che la uccidano.
– Drexter, lei che lavoro fa?
– Sono disoccupato.
– Non ha mai lavorato?
– Sì, una volta.
– E cosa ha fatto?
– Il giornalista.
Alla mia risposta, secca e carica di disarmante sincerità, la boccaccia del direttore si distende in un larghissimo sorriso.
– Io non ho paura della querela annunciata dal dottor Brauler, signor Drexter. – soggiunge.
E ancora sorride.
– Sto solo tenendo in caldo la cosa, in attesa di capire. – soggiunge ancora.
Sorriso più stretto.
– Più tempo ci metto a capire, più tempo perdiamo, signor Drexter. – conclude.
Ora è serio e imbronciato, come lo sarebbe un ufficiale della Polizia di Regime durante l’interrogatorio di un sovversivo. Mi fissa, severo.
– L’ho capito, il suo gioco, Drexter. – spiega, calmo – Lei è molto più astuto di quanto voglia far credere. Lei è venuto a cercarmi perchè conosce alla perfezione i meccanismi del communication business, conosce le regole del mercato dell’informazione, e sa che l’unico modo per salvare la vita di quel clone è rendere pubblica tutta la vicenda. Solo, deve risolvere due piccoli problemi: primo, il tempo; secondo, l’istintiva diffidenza nei miei confronti.
Sono alle corde.
– Da dove cominciamo, Drexter?
Per la prima volta nella mia vita taccio non per scelta, ma per necessità. Comunque tenti di metterla, è il direttore-caimano ad averla spuntata. Tanto che non gli manca l’ardire di cominciare a ringhiarmi contro:
– La verità è una sola: lei, Drexter, non ha tempo da perdere, e lo sa meglio di me. Potrebbe già essere troppo tardi: la soppressione del clone era stata decisa prima della sua fuga dal Deposito Sanitario. E lei lo sa. Lo sa perchè è stato il clone a dirglielo. E’ così o no?
E’ così o no?!

X

– Sì, è così.

XI

Non sono avventato, non sono un incosciente: ho ragionato, prima di rispondere.
Ora è tutto diverso: tutto nuovo. Sono un giornalista, ancora una volta. Il direttore, Patrich Behlen, si fa chiamare da tutti direttore, ma da me no: da me si fa chiamare Patrich e basta. E posso disturbarlo quando mi pare, giorno e notte.
La proposta di assunzione è stata immediata. Ho dovuto accettare.
Non guadagno male, e confido nel fatto che la vicinanza del caimano trasformi la mia mente, rendendo anche il mio un “pensiero fabbricasoldi”. Mi farebbe comodo.
E tutto questo è niente, rispetto al “carta bianca” che ho ottenuto sul fronte-clone. Libero di agire. Che non è poco. Con in più il vantaggio di poter sbandierare il Golem, ogni qualvolta mi dovessi ritrovare nei casini. Piccole dosi di quartopotere che mi bruciano nelle mani, e nessuna idea di cosa farmene. Almeno per ora.
L’accordo è finito a strette di mano e pacche sulla schiena. La fregatura c’è, di questo sono sicuro, ma non riesco ancora a capire dove. E, d’altronde, mi domando (e vi domando, cari lettori) avevo un’altra scelta?

XII

1a VOCE. Signorina Bestern, l’abbiamo disturbata perchè abbiamo bisogno del suo consenso.
SIG.NA BESTERN. Il mio consenso?
1a VOCE. Sì, signorina. Vede… sembra si sia resa necessaria la soppressione del suo clone.
SIG.NA BESTERN. Dovete sopprimere il mio clone? E perchè? E’ malato?
1a VOCE. No, non direi malato, signorina. Il suo clone è… “sbagliato”.
SIG.NA BESTERN. Sbagliato?
2a VOCE. Abbiamo effettuato delle analisi ed alcuni studi: con tutta probabilità i medici che effettuarono la clonazione su di lei, produssero un errore nella duplicazione del suo DNA. Un filamento non ripercorreva esattamente la sua mappa genetica, ma presentava caratteristiche differenti: caratteristiche -se vogliamo- proprie.
SIG.NA BESTERN. Con quali conseguenze?
1a VOCE. Nessuna in particolare, per lei… se non il fatto che, crescendo, il clone ha sviluppato una morfologia propria, differente dalla sua.
SIG.NA BESTERN. E’ malformato?
1a VOCE. No, non è malformato: è solo… diverso da lei.
2a VOCE. A voler essere precisi, non le somiglia affatto: altezza, peso, conformazione corporea… Perfino il colore degli occhi è diverso.
SIG.NA BESTERN. Le avete visto gli occhi?
2a VOCE. Sì, certo.
SIG.NA BESTERN. E di che colore li ha?
1a VOCE. Signorina, questo problema della mancata somiglianza ha delle ripercussioni piuttosto serie sul suo personale programma di clonazione. La verità è che l’unica cosa che il suo clone ha in comune con lei è il gruppo sanguigno – e non potrebbe essere altrimenti; per il resto, nessun organo interno è compatibile con i suoi. Nel caso di un eventuale trapianto, il suo clone sarebbe completamente inservibile per lei.
SIG.NA BESTERN. Che cosa? Vorreste dire che in caso di necessità non ci sarebbero speranze per me?
1a VOCE. Con questo clone sicuramente no.
SIG.NA BESTERN. Mi stareste dicendo che rimarrò senza il mio duplicato sanitario?!
1a VOCE. Stiamo studiando il suo caso, signorina, e non è escluso che tenteremo di generare un nuovo clone. Ma i tempi di accrescimento sono quelli che sono, se si vuole ottenere un organismo perfettamente funzionante ed in grado di donare a lei i suoi organi.
SIG.NA BESTERN. E cosa faccio, io, nel frattempo? Prego Iddio di preservarmi la buona salute!? L’avete vista la mia cartella clinica? I miei organi interni stanno già entrato in crisi! Non posso rimanere senza il mio clone!!!
1a VOCE. Cerchi di calmarsi.
SIG.NA BESTERN. Calmarmi? Come potrei calmarmi? Eppoi chi mi garantisce che non saranno commessi errori anche nella duplicazione del nuovo clone?
1a VOCE. Signorina Bestern, capisco il suo sconcerto, ma deve rendersi conto del fatto che la medicina ufficiale ha compiuto passi da gigante.
2a VOCE. Errori come quello che hanno compiuto su di lei, oggi non se ne fanno più. E comunque la situazione non è così drammatica come crede: i rischi in realtà sarebbero molto limitati per lei. E’ possibile mettere a punto dei farmaci ad hoc, per seguire l’evolversi del suo caso, in attesa del completo accrescimento del nuovo clone.
SIG.NA BESTERN. Va bene, ho capito: tanto sono nelle vostre mani, no? Facciamo un altro clone. Ma presto, subito!
1a VOCE. Beh, non è così facile avviare la procedura.
SIG.NA BESTERN. Che altro problema c’è?
1a VOCE. Vede, signorina, come le dicevo il suo è un caso assolutamente anomalo anche sul piano giuridico. La normativa vigente non prende nemmeno in considerazione l’ipotesi che si possano verificare errori in laboratorio durante la duplicazione… e non è in grado di far fronte ad un tale disguido. Ammesso che di disguido si possa parlare.
2a VOCE. In parole povere, la legge prevede che ogni singolo individuo possa avere un solo proprio clone completo. Lei in quanto organismo vivente, signorina, può essere clonata una volta sola; a meno che il primo clone ottenuto non venga soppresso. Solo in quel caso se ne può generare un altro.
1a VOCE. Oggi come oggi i cloni possono essere soppressi solo in due casi: per sopravvenuta ed accertata malattia o per necessità di trapianto sull’origine. La legge non prevede altre possibilità.
2a VOCE. Insomma, signorina Bestern, per effettuare una nuova duplicazione e generarle un altro clone, dobbiamo sopprimere l’attuale.
1a VOCE. Ci serve il suo consenso.
SIG.NA BESTERN. Lo avrete.
1a VOCE. E’ un atto che comporterà una sua piena assunzione di responsabilità.
SIG.NA BESTERN. Non mi importa: avrete il mio consenso.
1a VOCE. Come le abbiamo spiegato, signorina, la legge in materia è un po’ schematica… e soprattutto impreparata su questo argomento.
SIG.NA BESTERN. Ho detto che non mi importa!
1a VOCE. Signorina, dobbiamo informarla di un’ultima particolarità.
SIG.NA BESTERN. Quale?
1a VOCE. Ecco… Il suo clone è sveglio, signorina.
SIG.NA BESTERN. “Sveglio”? Che vuol dire “sveglio”?
1a VOCE. Che non è più in coma farmaceutico.
2a VOCE. Per assicurarci dell’errore commesso nella duplicazione, abbiamo dovuto svegliarlo.

XIII

Sara Bestern non è una ragazza attraente, e non perchè non sia bella. E’ magra e ossuta, terribilmente scostante nei modi, a partire dallo sguardo. Perennemente imbronciata, bionda con occhi celesti, secondo lo standard. Nordica. In tutto.
La prima cosa che penso è che quest’idea di presentarmi a casa sua in veste di redattore dello UWDN sia una solenne stronzata… ma siccome è una solenne stronzata venuta in mente al mio neo-direttore, bisogna farla. E di buon grado, pure. Mentre sono con lei, sugli schermi di tutto il paese salta fuori la notizia-scandalo del secolo: la storia del clone risvegliato, e Sara Bestern impallidisce. Avesse di fronte il direttore dello UWDN in persona, lo manderebbe a cagare per direttissima; ma siccome ha di fronte me -che mi sono spacciato per “inviato speciale” ed emissario di Patrich Behlen- se la prende con me.
– Non avete nessun diritto di rendere pubblica questa storia! – grida, fuori dai gangheri – Eh, ma non finisce qui! Ne parlerò col mio avvocato: adesso! Subito!
E agguanta il telefono.
Io, al solito, taccio. E aspetto la solita reazione.
– Cos’hai da guardare, lurido figlio di puttana!? – mi abbaia contro — Bella razza di sanguisughe, voi giornalisti! Vi farò passare la voglia di speculare sui fattacci altrui.
L’avvocato di Sara Bestern, però, in ufficio non c’è e ha il cellulare staccato.
Io penso. Penso che questa Sara Bestern non mi eccita neanche un po’, nonostante le cosce lisce e dorate e i bei seni rigogliosi; penso che non me la sarei scopata nemmeno dietro compenso e che se l’altra sera all’altro capo del bancone del bar ci fosse stata lei, tutta questa storia, oggi, non esisterebbe. Penso anche: “che strano: non mi ha ancora messo alla porta”. Infuriata com’è, avrebbe dovuto cacciarmi a calci – e invece no: urla e sbraita come una popolana ubriaca, ma non osa invitarmi a togliermi di torno.
Ora mi osserva, ancora ansimando per la rabbia malrepressa. “Il suo clone è molto più elegante di lei, signorina” – vorrei dirle; e provocare così la sfuriata delle sfuriate, l’ira finale che può precipitare una tale arpia solo verso il turbine del giusto destino: l’infarto fulminante. Ma devo giocare d’astuzia, perchè devo ottenere informazioni preziose sia per me che per Behlen, e devo ottenere anche qualcos’altro…
Allora trasformo le parole in numeri ( tutte le parole che direi, le faccio diventare nient’altro che calcolo, nudo e crudo), come il mio neo-direttore mi ha insegnato a fare, e giungo alla prima conclusione interessante:
– pur essendo infuriata, Sara Bestern non mi ha messo alla porta.
Domanda: cosa vuol dire questo?
– Che è spaventata e confusa e non vuol rimanere sola? (A guardarla non si direbbe).
– Che mi crede davvero un giornalista dello UWDN e spera di poter sapere da me qualcosa di importante per lei o per il suo avvocato? (Ipotesi più verosimile, a giudicare dal soggetto).
– Che, nonostante la drammaticità e l’urgenza della situazione, le piaccio? (No comment).
Apro il taccuino, con fare enormemente professionale, e le rivolgo uno dei miei sguardi migliori.
La mia voce viene fuori subito dopo, da sè, secondo i vecchi canoni della più pura ed irriverente finzione (retaggio culturale di bassa lega frutto delle lezioni di teatro seguite a scuola, nella notte dei tempi):
– Mi dispiace averti turbato.
Le dò del tu, senza averlo previsto. Segno che propendo per la terza ipotesi: le piaccio.
– Sei un giornalista dello UWDN? – ribatte Sara Bestern con un sorrisetto tagliente, che mi suggerisce di aspettarmi il peggio. E il peggio arriva, subito dopo.
– Fammi vedere il tuo tesserino. -ringhia come un animale.
– Cosa?
– Il tesserino di riconoscimento. Ce l’hai o no?
– Non ce l’ho: mi hanno appena assunto.
– Sì, come guardacessi, magari.
Odiosa, rabida, lussureggiante e medioborghese come una macchina di lusso con l’impianto a gas, vestita di tutto punto, rinforzata sui fianchi e sui seni, liposuzionata nell’internocoscia, con ventre avvizzito dalle diete sadomaso e occhi cattivissimi: così fatta, cara Sara Bestern, risvegli gli istinti più bassi. Per te potrei diventare un serial killer di ragazzine benestanti.
Giochi a fare la dura? D’accordo: faccio il duro anch’io.
– Va bene! – ribatto con calma, ma deciso — Allora chiama la polizia, perchè sto per violentarti.
– Ma tu chi sei?
– Eric Drexter è il mio nome. “E” puntato, “D” puntato, leggerai domattina sui giornali. Oppure puoi aspettare un’oretta e sentire le stesse iniziali nelle edizioni straordinarie dei tiggì. A te la scelta.
– Insomma, chi sei?!
– Sono E.D.: l’uomo che ha incontrato il clone fuggito dal Deposito Sanitario, il tuo clone, Sara Bestern!
– Che vuoi dire?
– Ho raccontato tutta la storia allo UWDN : i particolari potrai apprenderli da loro. Tutti tranne uno, il più importante.
– Quale?
– Beh, sai, cara Sara Bestern, io non sono un medico; che tu ci creda o no, sono davvero un giornalista… mediocre, naturalmente. Sono mediocre nella professione come nella vita; anche come guardacessi sarei mediocre. Ma una cosa l’ho notata, pur dall’alto della mia sconfinata ignoranza: tu e Sara avete la stessa identica voce.
E’ così che Sara Bestern, la belva, crolla: cade a pezzi sul divano di casa; lo stesso sul quale un attimo fa ipotizzava di scoparmi. E io continuo:
– Eppure siete due cose diverse. Non avete niente in comune, a guardarvi…
– Sì, lo so. Questo lo so: anch’io l’ho vista.
– L’hai vista, eppure hai acconsentito alla soppressione!
– Non avevo scelta.
– Ma che razza di persona sei?!
– Una persona con l’acqua alla gola! Cazzo, ma lo sai cosa vuol dire al giorno d’oggi non avere un clone?! I miei organi interni cominciano già a non funzionare più – e ho solo vent’anni! Eppoi non sapevo di lei, del fatto che parlasse… I medici mi avevano detto che l’esperimento non era riuscito: con loro non ha mai parlato! Sostenevano che le sue funzioni mentali fossero nulle! Un vegetale: così l’hanno definita, un vegetale.
– Che medici?
– Quelli del Deposito Sanitario: il Direttore, Jordan, e quell’altra con i capelli rossissimi, la psicanalista… Fenner, mi sembra che si chiami così: Patricia Fenner.
Bingo! – Estraggo il miniregistratore dal taschino della camicia e abbandono Sara Bestern alla sua disperazione. Mi grida contro tutto il suo odio, mentre la sua voce duplicata sul nastro ripete i preziosissimi nomi: Jordan, Fenner… L’altro nome lo custodisce Behlen: è quello di Ektor Brauler. E così abbiamo in mano tutta la storia.
Il piano vorrebbe, ora, che tornassi in redazione e consegnassi la cassetta nelle flaccide mani del direttore. Lui saprebbe cosa fare: saprebbe vendersi la notizia al prezzo più caro, aspetterebbe che la quotazione delle azioni “voce-registrata di Sara Bestern, l’originale” salissero fino all’inverosimile, eppoi immetterebbe il prodotto sul mercato. Guadagno, in questo caso: 200 %, naturalmente. Comprerebbe a pochissimo (da me), rivenderebbe al massimo (allo UWDN – ma non senza prima aver allettato la concorrenza); l’ intero mondo giornalistico starebbe col fiato sospeso, ad aspettare un cenno da lui. Bella sensazione, il potere…
Io ho un’altra idea. Questa rossissima dottoressa Fenner mi stuzzica: mi solletica la prospettiva di incontrarla, e così devio verso il Deposito Sanitario – e divento l’inviato non più dello UWDN ma di un’altra testata, pure nazionale. Anzi no: di un’agenzia di stampa. Sono uno che ha avuto sentore di questa storia del clone e vuole saperne di più.
Mi presento al gabbiotto del Deposito Sanitario e ringrazio la buona sorte che stamattina mi mette davanti solo donne: io sorrido all’infermiera e l’infermiera sorride a me. L’inizio sembra dei più facili; ma mi sbaglio. Entrare è più complicato che varcare la soglia dei lager del Regime: mi chiedono i documenti. Già i miei documenti, con su scritto Eric Drexter, disoccupato. Non ce la farò mai.
Sorrido in cuor mio, pensando alla mia Sara. Non dev’essere stato facile per lei fuggire da questo bunker, eppure ce l’ha fatta. Puro istinto di sopravvivenza, devo supporre.
Questo Deposito Sanitario non ha niente di umano, nell’aspetto: sembra un’enorme astronave marziana approdata su di un prato di plastica.
– Cos’è quella, erba clonata? – chiedo, ma non so più a chi – Transgenica? Praticello inglese riprodotto in laboratorio? E gli alberi? I cespugli? Tutto artificiale?

(9-CONTINUA)