Romanzo di Fabio Ciabatti e Luca Nutarelli
Le foto di Emilio Periglio sono di Tito Kurtz

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Quella sua combattività di altri tempi mi affascinava. Me la sognavo pure la notte. Lucia alla testa di un gigantesco corteo. Con un sorriso luminoso. Poi il corteo si trasforma in una festa. Tutti quanti ballano ubriachi di gioia. Fumogeni di mille colori schizzano verso il cielo, come fuochi d’artificio. Prendo un volantino cullato dal vento: incita il proletariato alla lotta. Sul retro una poesia surrealista. Anche i celerini lo stanno leggendo. Lasciano cadere i fogli per terra, uno dopo l’altro. I loro visi si distendono. Si spogliano e sotto le uniformi compaiono fasci di muscoli coperti da canottiere e slip di latex con tanto di borchie. Si accarezzano tra di loro con manganelli di peluche. Poi si baciano. Le camionette della polizia si trasformano in space scooter che volteggiavano nel cielo. Io e Lucia riusciamo a impadronirci di uno di questi veivoli e ci lanciamo verso il sole.

La sua luce ci riscalda, ma non ci acceca. I nostri vestiti si dissolvono. I fumogeni disegnano nel cielo il Palazzo d’Inverno dove noi entriamo e facciamo l’amore. Alla fine vengo gridando “Viva Marx, viva Lenin, viva Mao Zedong!” E poi, in uno sforzo di supremo godimento, strillo ancora: “Rosa Rosa Rosa Luxembuuuurg!”
Cristo, era tempo che non ci ripensavo. E ora è come se stessi sognando di nuovo. Chissà che avrebbe detto Lucia se glielo avessi raccontato. Dubito che avrebbe gradito. Come non gradiva i miei “pipponi mentali”.
Lucia era chiusa, così sicura delle sue antiche certezze: i padroni da una parte, i lavoratori sfruttati dall’altra. Non riusciva, e non riesce proprio a capire che oggi il mondo è cambiato, che l’immanenza del potere costituente ha rotto gli argini del comando. Oggi dobbiamo soltanto volerlo: un altro mondo è qui, a portata di mano, basta saperlo. Ma lei non lo vedeva, non c’era modo di farglielo scorgere. E così cercando nuovi argomenti per convincerla, mi sono rigettato nella stesura della mia never ending thesis. È proprio allora che mi sono reso conto di quale fosse il potere nelle nostre mani. E l’ho pure scritto: “quello che nella letteratura aziendale viene considerato come mera autoattivazione per la soluzione di problemi contingenti, è in realtà il momento in cui si palesa la soggettività in quanto tale”.
Più che una tesi allora scrivevo un monologo rivolto ad un interlocutore assente. Eppure il risultato non mi pare pessimo. Quando scrivo è come se avessi bisogno di immaginare una persona in carne e ossa da convincere. Nonostante tutte le buone intenzioni, non mi pare proprio che sia riuscito a sortire alcun effetto positivo su Lucia. Invece sembra che qualcun altro si sia persuaso. E sì! Hunt e Monti sono completamente d’accordo con me, a quanto pare. Che successo! Lucia me la volevo portare a letto. Hunt e Monti proprio no! Aoh, che ci state a prova’ con me? Ma guarda tu, due stimati accademici che fanno le avances a uno studente. È uno schifo! Non c’è più religione! E passi per la religione, che in fin dei conti non me ne frega un cazzo, ma che uno non possa più godere del proprio lavoro, beh, questo è troppo! Magari ritrovo pure questo pezzo su Imperium. Fammi vedere, così finisco di incazzarmi ben bene.
Ecco, questo capitolo mi sembra a rischio: “Linguaggio e produzione”. Qui non mi pare ci sia niente di mio. Meglio andare avanti. Prima, però, un altro goccio di peroncino. Che stimola il pensiero. Ammazza quanto stimola! Dio-dio-dio, lo spruzzone! Sto per trasformarmi nell’uomo-spruzzone.
– Scusa, dov’è il bagno?
– Dentro, in fondo a destra.
– Ah, ti pareva!
– Se non ti piace domani lo sposto.
– Grazie, sei molto gentile, ma non fa niente.
– Nulla, ti pare, il cliente ha sempre ragione, soprattutto se non fa la pipì fuori della tazza.
– Non ti preoccupare, vado spesso al poligono di piscio.
Questi baristi romani incominciano a essere un po’ troppo pittoreschi per i miei gusti. Vabbe’, consoliamoci con una bella pisciata, che quando ti scappa è una libidine. La cosa terribile è quando ti accorgi che devi pisciare mentre stai ai preliminari. Che fai, chiedi un time-out o soffri in silenzio? Ai posteri la liquida sentenza. Ammazza, qui altro che fare la pipì fuori dal vaso! Qui è piovuto piscio! E poi ‘sto barista viene a rompere proprio a me! Giù la zip e via! Ma guarda tu. Ho la maglietta strappata. E no, questa era la mia preferita. Porca miseria, non me n’ero accorto. E sono tutto graffiato. Ma quando è successo? Non riesco a ricordarlo. Possibile che sia così rincoglionito. Che palle la testa mi fa di nuovo male. Mamma mia che fitta. Mi gira la capoccia. Non riesco a beccare il centro. ‘Sta cazzo di tazza continua a muoversi. “Lei è un insolente! Se ne vada subito! Ha veramente esagerato.” Oddio adesso sento pure le voci. Statevi zitti e non rompete … Mi dovrò far vedere da un dottore. Questi giramenti di testa mi fanno davvero girare i coglioni. Devo dormire un po’ di più. Ma adesso uno scroscio d’acqua e va tutto via. Andiamo a sederci. La posizione eretta oggi non mi si addice. Seduto va molto meglio.
Torniamo al capitolo incriminato. Prima un’altra sigaretta. La nicotina aiuta l’ibridazione tra res cogitans e res extensa. Lo diceva pure Cartesio, mi pare. Tutto sta nello stappare la ghiandola pineale. Certo ‘sto posacenere lo potrebbero pure pulire ogni tanto, no? Qual era l’infame capitolo? Ah sì, “Linguaggio e produzione”. Eccolo qua. Forza, un po’ di concentrazione. Questo l’avevo già letto. Questo ok, sono d’accordo però non l’ho scritto io. Questo qui mi pare un po’ forzato. Quest’altro invece mi sembra ben detto. Per forza, cazzo! È proprio quello che stavo cercando. Sì, proprio tutto uguale alla mia tesi, parola per parola. Come se ci fossero stati loro all’Arcobaleno a duellare con i display: “…quello che nella letteratura aziendale viene considerato come mera autoattivazione per la soluzione di problemi contingenti, è in realtà il momento in cui si palesa la soggettività in quanto tale”.
“In quanto tale” un par di cazzi! Tale e quale, altro che! Qui non ci sono più dubbi. Non può essere un caso. Ho bisogno di una sigaretta. Anzi di una canna. Però qui non me la possono fumare. Mi accontenterò di una sigaretta. Forte però. La voglio cicciona e farcita di nicotina, catrame e tutto quello che fa tanto bene alla salute. Tanto che mi frega. Io sono un essere biopolitico, mica un semplice aggregato di cellule che si ammalano quando dicono loro. L’Eterno spinoziano non conosce la morte, se no che cazzo di Eterno sarebbe! Però l’Eterno farebbe bene a starsene a casa e non andare gironzolando per i computer delle teste di minchia che poi se ne appropriano indebitamente, chissà a quale scopo. Questo Eterno è un po’ mignotta! O forse quel cavolo di Antonio Monti e del suo compare americano pensavano che Lucia fosse un po’ mignotta e si sono appropriati del mio lavoro per fare colpo su di lei. Brutti bastardi! Avete provato a fregarmi la donna, che poi non era la mia donna. Manco un cavolo di bacetto. Altro che Marx, Lenin, Mao e Rosa Luxemburg! Santa Maria Goretti! Ma loro non lo sapevano, come facevano d’altronde, e allora ci volevano provare usando il frutto del mio sudore. Mi rubano il lavoro e pure le donne! Ho faticato tanto per fare colpo su di lei e mo’ arriva ‘sto duetto bel bello! Bel coglione sono stato e non solo per la tesi, ma soprattutto con Lucia. Lei dell’Eterno non ne voleva sapere proprio niente.
Per lei le mie elaborazioni erano tutte “pippe mentali” e io, inevitabilmente, un “bio-stronzo politico”. Sembrava così granitica Lucia, eppure anche lei aveva tanti di quei casini personali. Quando l’ho scoperto, quasi non ci credevo. Una storia con un uomo sposato, non proprio esaltante. Un compagno che fa politica, ovviamente. Quel giorno, l’ho trovata con un mazzo di volantini buttati per terra. E lei che ringhiava al cellulare. Avevano litigato, per l’ennesima volta. Mi ha detto che non ce la faceva più, quasi si metteva a piangere. Aveva voglia di mollare la politica e riprendersi la vita, di pensare solo a se stessa. “A forza di sbattersi da una riunione all’altra si finisce per trascurare i propri sentimenti.” Finalmente si era sciolta, e io stavo lì, uomo consolatore. Era quasi fatta, ma poi tutto è svanito di colpo: “Ora devo andare, le compagne mi aspettano, per le altre cose c’è sempre tempo”.
L’unica cosa importante era lo sciopero. E io appresso a lei, anche se poi, sotto sotto, non ci credevo fino in fondo. Volevo prenderla in una camera da letto e invece ho preso un sacco di botte per strada. Ammazza quante ne ho prese! Per forza, mica bastava lo sciopero nazionale dei Cobas contro la guerra, bisognava fare pure il corteo locale. Bisognava rendere chiaro che alla guerra contro il nemico esterno corrispondeva una guerra contro il nemico interno, il proletariato. E così la moltitudine è scesa in piazza con il proletariato. D’altronde in guerra e in amore tutto è lecito. Bell’affare che ho fatto, incordonato in stile anni Settanta in un corteo non autorizzato sulla Tiburtina. Ma che cos’è sta puzza? Porca miseria che cretino, ho dato fuoco alla carta nel posacenere! Cristo così piccolo ‘sto posacenere e fa tutto questo fumo.

-Lucia, che cos’è quel fumo?
-Non ti preoccupare. E solo qualcuno che si è divertito a dar fuoco a un cassonetto.
-E vabbe’. Siamo solo duecento, blocchiamo la Tiburtina e facciamo pure gli spumoni di fumo con la mondezza. Iniziamo bene. Non è che questa storia della lotta di classe la state prendendo un po’ troppo alla lettera?
– Sei sempre il solito Emilio. Va tutto bene. Ora passiamo davanti alle fabbriche dell’indotto. Vedrai che aumenteremo.
E speriamo nell’indotto, che se no qui finisce male. Anche se chi di speranza vive di speranza viene manganellato. Basta coi cattivi pensieri. Io penso positivo, finché son vivo, finché son vivo. Sarà, ma la fabbrica dei cerchioni è deserta. Quella dei fanali idem. C’è solo una cazzo di guardia giurata. Che avrà da guardarci così in cagnesco? Mica scioperiamo contro di lui. Servo dei servi dei servi dei servi… e così via nel cattivo infinito. Vedrai che la fabbrica delle cappotte… e che succede? Un gruppetto di donne nere e due asiatici. Che stanno facendo? Hanno perso l’aereo per tornare a casa o hanno perso la testa e ci stanno venendo incontro? La seconda che ho detto. Adesso ci mancavano solo gli abbracci e gli applausi. E vai, si riparte. Beh, in fin dei conti Lucia non aveva tutti i torti. Il corteo si sta ingrossando. I lavoratori dell’indotto arrivano alla spicciolata. Però tutte queste grida di gioia con tanto di applausi mi sembrano un po’ eccessivi. O forse è soltanto un modo per liberarsi della paura di essere soli. In fin dei conti non hanno neanche tutti i torti.
– Emilio, guarda un po’ là!
– Dove?
– Davanti i cancelli della Sisel—Sistemi Elettronici. C’è un gruppo di lavoratori neri, saranno una ventina. Hanno una bandiera del Senegal e una della Roma.
Ma cosa cazzo c’entra la bandiera della Roma con questo corteo? Boh, forse nulla, ma un po’ di meticciato e di ibridazione non fa mai male. Sarà pure passatista, ma questa manifestazione incomincia a piacermi. Sarà la giornata di sole, sarà ‘st’erbetta aromatica. Altro che il puzzone di ieri sera. Forse non è proprio prudente fumare in questo momento. Però ‘na bella canna è sempre ‘na bella canna. Se ti piglia bene ti dà un senso di fratellanza con tutto il mondo. Ciao fratelli lavoratori dell’Arcobaleno e indotto. Ciao fratelli studenti delle scuole medie. Ciao fratelli abitanti del quartiere. Ciao, fratello Sole, ciao fratelli passeri, sì, sono un San Francesco antagonista. Ciao fratelli occupanti del centro sociale Tiburtazzo, bada qui più che altro sono sorelle! Evviva le sorelle! Ciao, vi voglio bene a tutti e tutte, si dice così vero? Ammazza quanti siete! Chissà, saranno tutti parenti e amici dei lavoratori dell’Arcobaleno. Però, cazzo quanto sono numerose ‘ste famiglie! Aoh, tra un tiro e un altro siamo arrivati a San Lorenzo. Madonna che casino! ‘Sta volta hanno esagerato con il sound system. Mica è un camion quello, è un’astronave con rimorchio intergalattico. Guarda che bello, la gente affacciata. Che carini, ci salutano. Alzano il pugno chiuso. Che bello! Ma che faccio? Sì, vaffanculo, anch’io a pugno chiuso. E chi se ne frega se è passatista.
– SPINOZA E TOTTI / UNITI NELLA LOTTA / LA MOLTITUDINE NON SI TOCCA.
Ecco adesso faccio la scorta di ortaggi contundenti. Ancora un momento e sarò sommerso. Che strano, ridono e applaudono. Ficooooooo, mi sono conquistato un po’ di celebrità, forse con un colpo di mano potrei organizzare uno spezzone spinoziano. Magari più tardi, adesso sono qui incordonato tra questi qui. Mi sento un po’ strano… mi sento bene.
Ma dov’è finita Lucia? Ah, eccola là sul carro. Alto là dj dei mie stivali, non pensateci nemmeno alla roscetta. Che se no vengo lì sopra e ve le suono io. Però, bravi ‘sti dj. Mi aspettavo “Son’ la mondina, son’ la sfruttata, son’ la proletaria che giammai tremò”. Oppure “Compagni, avanti il gran partito, noi siamo dei lavorator” e invece si divertono a incorniciare e remixare i comizietti di Lucia con i Modena City Ramblers e la 99 Posse. E bravi anche i compagni dell’università. Hanno portato altri sound system. Puttanaccia della miseria postfordista, pensavo di partecipare a una manifestazione di braccianti ottocenteschi e mi ritrovo nel mezzo di un’epifania carnascialesca!
– Non si può andare oltre Piazzale Tiburtino. La polizia non ci vuole far passare… Emilio, ehi Emilio, mi ascolti?
– Ah sei tornata, scusa ero sopra pensiero. Non ci vogliono far passare. E adesso cosa facciamo?
– Non lo so, però infilati il casco. Non si sa mai.
Ma guarda tu, ci hanno fatto arrivare fin qui, che gli costa farci fare un altro pezzo di strada? Possiamo passare, ma solo alla spicciolata? Manco per niente! La moltitudine non si spicciola, e che cazzo! Eccoli là quei celerini infami. Dio come sono brutti! Mi sembrano mostri alieni, neri, con le proboscidi e le corazze. Se mi venite sotto ve la faccio vedere io. Oh Dio, ma che fanno, caricano sul serio? Ma che siete scemi. Io stavo scherzando. Mica sono per lo scontro diretto. Io sono per l’esodo. Via, filiamocela. Ma siete proprio infami. Pure i lacrimogeni. Cristo, mi bruciano gli occhi, non riesco a respirare. Datemi un limone. Voglio un limone. Che glielo ficco in culo. Stronzi. Madonnaccia, questo fumogeno mi è passato vicinissimo. Sparano ad altezza d’uomo. Bastardi. Ma che ce l’avete con me? Oddio, quello stronzo sta sparando un altro fumogeno. Punta da questa parte.

– Mi hai chiamato?
– Cosa?
– Ti ho visto alzare il braccio. Vuoi il conto?
– No, stavo proteggendomi da un lacrimogeno.
– Lacrimogeno? Ma di che stai parlando?
– Eh sì, ero in piazza, hanno cominciato a caricare. Un sacco di botte, non puoi capire. Però è strano. I dimostranti sai, sembravano quasi sorridenti. È come se fossero felici. Tutti insieme, uniti nella lotta. Sembra una frase fatta. Anch’io pensavo così. E lo penso ancora, ma … non so come spiegarti … anch’io è come se fossi stato felice. È strano, non pensi?
– Beh, per essere strano, sei strano forte. Ma insomma, ‘sto conto lo vuoi, sì o no?
– Quale conto? Qui i conti non tornano!
– Ma come? Non ti ho detto quant’è e già non ti sta bene!
– A parte che con ‘sto euro ci state a mangna’ tutti. E voi al San Callisto non siete mica meglio degli altri. Comunque, non mi riferivo al tuo conto. Ci sono altre cose che non tornano. Ben più importanti. Ma a te non te ne può fregare di meno.
– Ecco appunto. Per me sono 3 euro e 10. E poi si chiama San Calisto, con una sola elle.
– Te li do, te li do, non ti arrabbiare. Ecco qui, tre-euro-e-dieci. Precisi, precisi.
– Ci vediamo, ciao.
Più che altro io preferirei rivedere presto quelle tette estive, magari ancora più estive. Diciamo in topless, ma senza spiaggia. E se proprio ci deve stare la spiaggia che sia deserta. Toh, un sorriso. Beh, se proprio insisti… E se poi non insisti tu, allora insisto io.
– Scusami se ti disturbo ancora, ma gli accendini io li dissemino per tutto il territorio metropolitano. A modo mio sono un benefattore dell’umanità.
Mi ha sorriso, e vai. E allora, tanto vale.
– La mia mancanza di accendini è davvero cronica. Se mi accompagni a fare una passeggiata non rischio di rimanere a secco. Non vorrei che la mia salute si montasse la testa.

(3 – Continua)