Romanzo di Fabio Ciabatti e Luca Nutarelli
Le foto di Emilio Periglio sono di Tito Kurtz

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E fosse solo questo! La comunicazione produttiva, Baruch Spinoza, la moltitudine… già la moltitudine, questa rete di individualità sociali ricche del proprio sapere, altro che il vecchio proletariato, rigido, serioso, pipposo, asservito e deprivato delle sue conoscenze! Basta con il proletariato, tu sei solo una massa informe di individui. Tu riconosci la tua unità e socievolezza solo trasferendo sovranità allo stato. Sei soltanto uno zombie! E non mi rompere i coglioni, capito! Ora c’è la moltitudine. La moltitudine è una gran figata! La moltitudine coopera spontaneamente nella produzione attraverso il linguaggio. Una cooperazione bocca a bocca, con il rifrullo. La moltitudine è una rete di individui per sua natura esterna allo stato e al comando capitalistico. Una rete che ha la propria unità in se stessa, che costituisce senza troppi cazzi una sfera pubblica non statuale. Ora è tutto così chiaro.

Ma che fatica arrivarci! Mi tornano alla mente grumi di pensiero espressi a mezza bocca. Come stronzi che si affacciano sulla soglia di uno sfintere stiticamente stizzoso. Se i miei neuroni decidessero di formare un complesso musicale si chiamerebbero Stipsi King. Si vede che Hunt e Monti hanno più tempo di me, più lucidità. Scritto da loro sembra tutto così facile, quasi ovvio.
Eppure si produce comunicando. E io cazzo se produco! La comunicazione dovrebbe fluire spontanea. Dal cervello alla carta, senza passare per il Via. Ma no, certo! La carta, è questo il problema. Troppo materiale, ossifica l’atto del pensiero nel morto pensato. O forse è colpa del Regno che cerca d’inibire la potenza costituente del pensiero che si fa corpo della moltitudine nell’intrecciarsi degli atti linguistici. Maledetto Regno! Ma ora che il tuo segreto è stato svelato il tuo dominio sarà sfanculato per direttissima. Basterà spiegarlo alla moltitudine, che poi già lo sa. Più o meno. È il meno che mi frega. Ma non ci sono cazzi, mo’ ve lo spiego io cos’è l’infame Regno.

– Detto in breve e un po’ confusamente, il Regno potrebbe essere una rete piramidale di organismi politici, economici e militari nazionali e sovranazionali, pezzi di servizi segreti, corporation transnazionali, organizzazioni non governative che fungono da cinghia di trasmissione del Wto, della Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale. Capisci Ottavia, di fronte a quale mostro siamo?
– Sì, una nuova forma d’imperialismo. O no?
– No, no! L’imperialismo poteva essere ancora individuato geograficamente!
– Beh, la guerra in Afghanistan per il controllo dell’approvvigionamento energetico da parte degli Usa…
– Ma no, quello è solo un momentaneo backlash, un rinculo imperialistico di poco conto.
– E l’Iraq?
– Fa parte dello stesso rinculo. Anzi di più! Si tratta di un vero e proprio Golpe. Bush, quell’analfabeta testa di cazzo, non sa quello che fa. Non ha capito qual è il vero interesse del capitale cognitivo transnazionale. Lui pensa solo al petrolio e alle armi. White stupid men! Oramai negli Usa ha trionfato l’old economy, altro che cazzi!
– Mi sembra un po’ esagerato. Non ti pare? In fin dei conti oggi non si parla più di complesso militare-industriale, ma di “ei-si-i”.
– Di che si parla?
– ACE: aeronautic computer electronic complex. Non mi sembra proprio roba da archeologia industriale. Non credi?
– Certo l’ACE. Come no. Maledetti americani con ‘sto cazzo di spelling. Parlate come mangiate, è mangiate meno hamburger ché poi diventate tutti obesi! Tanto, spelling o non spelling, l’ACE è soltanto un’impotente candeggina che non può smacchiare la bandiera a stelle e strisce dall’alone di ancien régime che l’ha contaminata. E poi, non sarà certo un Bush qualsiasi a farmi riscrivere la seconda parte della mia tesi! Piuttosto vado lì, alla Casa Bianca, e glielo spiego io!
– Va bene, mi arrendo, non vorrei ritardare la tua laurea. Ma c’è un’altra cosa che mi interessa. Qui dici che è possibile sconfiggere il Regno…
Ottavia mia, come fai a essere così sveglia a quest’ora della notte? Io, ormai, muoio di sonno. Il Gazometro, lo intravedo appena, nel buio. Mi sembra quasi di sognarlo. Mi stai chiedendo ancora qualcosa? È ancora la tua voce che sto ascoltando? La mia tesi: uno stormo di pagine che volano in un cielo primaverile, sopra le fabbriche, gli uffici, le scuole, le carceri e i manicomi. Un’umanità finalmente libera dalla miseria del vivere quotidiano. Il comunismo? Non so, un abbraccio che ci accompagni verso i sogni.

Ogni tanto esagero con la filosofia. Troppa filosofia a volte fa male al pensiero. E si finisce per non pensare a quello che accade. E quello che è accaduto veramente è che io mi sono fatto un mazzo tanto. La faceva facile quel diavolo di Cermugnati: “Allora non mi ha ancora portato il nuovo capitolo? La tesi sull’Eterno spinoziano le sta prendendo un’infinità di tempo.”
In fondo il pazzoide era simpatico. E lui sì che aveva un’infinità di tempo da perdere: “L’esame è andato bene. Consideriamolo concluso. Ora possiamo parlare.” Classica frase da Cermugnati in sede di esame. Quasi che fino a quel momento si fosse gesticolato. E poi, quasi insensibilmente, dalle questioni di alta teoresi filosofica si passava ai suoi bassi problemi familiari. Lì era un vero disastro. Per lui, le esigenze pratiche della vita quotidiana erano oscuri trattati di teologia extraterrestre. Non che io invece… ma di necessità ho dovuto fare virtù. La virtù tuttavia è sempre una grossa perdita di tempo. E così la tesi languiva. Certo, molte esperienze mi hanno aiutato a capire in che mondo vivo. Però, quando si lavora, che fatica a fine giornata tornare a casa e buttare giù due righe!
Per non parlare poi di quando mi sbattevo all’Arcobaleno. Lavorare tutto il giorno e poi, la sera, scrivere. Con un aiutino certo. Quantomeno una canna. Quantomeno. Lavorare e scrivere, scrivere e lavorare. Dormire? Mica tanto. E poi, come se non bastasse, lottare. Sì. Lottare per migliorare le nostre condizioni di lavoro. Un po’ retrò, a dire il vero. Però era faticoso lo stesso, anche se retrò. C’era una forza istintiva, tuttavia, una potenza inespressa anche in quei conflitti passatisti all’Arcobaleno. I visi dei miei compagni di allora, quasi non li ricordo. Sono sfumati. Una massa indistinta, più che una moltitudine. Tranne il viso di Lucia, i suoi capelli rossi, corti e sbarazzini, i suoi occhi verdi un po’ a mandorla. Un metro e sessanta di energia nucleare ecocompatibile. È un po’ di tempo che non la sento. Quasi quasi la chiamo. No è meglio di no. Adesso non ce la farei a sostenere una discussione con lei. Sono troppo sfragnato. Tanto ogni volta è sempre la stessa storia. Ogni volta provo a spiegarle quello che a me è apparso chiaro dopo l’esperienza dell’Arcobaleno. Ma lei figurati, da quell’orecchio non ci sente!
Oggi per essere contro non bisogna più opporsi, direttamente o dialetticamente come nella modernità. Per essere contro con efficacia bisogna assumere posizioni oblique, diagonali, sghimbesce. Oggi le battaglie si vincono con la sottrazione e con la defezione. Dobbiamo semplicemente evacuare i luoghi del potere. Ma forse le mie parole non bastano. Forse bisogna mettere le cose in modo diverso. Con più chiarezza, più forza. Forse… ma sì, Antonio Monti e il suo amico statunitense Michael Hunt potrebbero darmi una mano. Prima, sfogliando l’indice, mi è parso di vedere un paragrafo interessante. Chissà. Vediamo, vediamo. Eccolo qui, è proprio questo.

“Nell’epoca moderna la pratica dell’internazionalismo si è espressa assai chiaramente nei cicli internazionali di lotte. Il ciclo si costituiva ogni volta che le notizie di una rivolta venivano comunicate ed adattate a sempre nuovi contesti.
Nel passaggio al postmoderno i cunicoli strutturati della talpa, con cui Marx ha metaforicamente descritto i cicli di lotta proletari, sono stati sostituiti dalle infinite ondulazioni del serpente.”

Eh no aspetta, questo è troppo. Mo’ state esagerando! Va tutto bene, ma la talpa e il serpente no! D’accordo le scoperte simultanee, ma questo è troppo. Forse ho capito male, forse ricordo male. Che sia solo un déjà vu. No, non sono rincoglionito fino a questo punto. Almeno non credo. Fammi controllare. Dove cazzo è la mia tesi? Cristo stava qui sul tavolino. Ah, eccola sotto il vassoio. Ecco, è questo il punto. Fammi rivedere che cosa ho scritto:

“…i cuniculi strutturati dalla talpa, con cui Marx ha metaforicamente descritto i cicli di lotta proletari, sono stati sostituiti dalle infinite ondulazioni del serpente. Le lotte più radicali e potenti degli ultimi anni del XX secolo non hanno infatti indotto un ciclo di lotte, poiché i bisogni e i desideri che esse esprimevano non potevano essere tradotti in altri contesti.”

Cazzo, Imperium e la mia tesi sono identici! Come è possibile?

2. L’arcobaleno elettrico, ovvero la produzione industriale informatizzata

No. Non è possibile. Non può essere. Ci deve essere una spiegazione. Due testi assolutamente uguali. Devo capire che cazzo è successo. Qui mi fanno il culo a striscioline piccole piccole piccole, che non posso dire di no. Mi accusano di plagio. Se lo racconto a Ottavia non ci faccio certo una bella figura: penserebbe anche lei che ho copiato. Lucia invece si limiterebbe a lanciarmi la solita accusa di onanismo celebrale. Se poi lo scopre Cermugnati, non mi fa manco laureare.
Ma aspetta un attimo. Cermugnati. Proprio lui. Mi aveva detto che avrebbe provato a parlare della mia tesi a Monti. Poi non mi ha fatto sapere più niente. Quando gli ho accennato alla cosa ha fatto finta di nulla. Ora che ci penso, sembrava anche un po’ scocciato. Certo, a quello gli capita spesso di essere scocciato. E se fosse stato proprio lui? Ma dai, non è possibile, è un pazzoide, ma non uno stronzo. E poi, perché mai avrebbe dovuto farlo? D’altronde anche se fosse lui il colpevole che gli vado a dire? Ci ho messo tanto a farmi assegnare la tesi, se gli faccio il pezzo me lo ritrovo inevitabilmente in culo. Beh, magari aspetto la laurea e poi mi vendico. Vendetta tremenda vendetta. Calma, andiamoci piano con le conclusioni. Bisogna indagare. Avere qualche prova, o almeno uno straccio d’indizio. Comunque un piccolo riscontro si può sempre avere anche subito. Quasi quasi lo chiamo e tra una cazzata e l’altra gli parlo di Imperium. Vediamo come reagisce.
Digitiamo: C E R M U G N A T I. Ok. Chiama. È libero. Sì, libero di fare lo stronzo. Ma mo’ lo sistemo io.
– Pronto Professore, buongiorno, sono Emilio Periglio. La chiamo per sapere se per caso ha avuto tempo di leggere la seconda parte della mia tesi.
– Volevo farlo oggi, ma temo che non ne avrò modo. Sono tornato da Bologna e ho scoperto che mi sono entrati i ladri in casa.
– Oddio, mi dispiace, hanno fatto molti danni?
– No, non mi pare, anche se devo ancora controllare, sono rientrato da poco e sto aspettando che arrivi la polizia. Ieri sera ho deciso all’ultimo momento di trattenermi da mia madre. Ma tutto sommato è meglio così. Se ero in casa chissà che cosa poteva accadere. Non dovevano essere dei professionisti. Giusto qualche sbandato, altrimenti non sarebbero venuti da me. Che brutto periodo! Ho dovuto anche dare un’occhiata a molte cose arretrate, non ho avuto il tempo di leggere ciò che mi ha inviato.
– Professore, mi scusi se la trattengo al telefono nella situazione in cui si trova, ma le volevo fare un’ultima domanda: ha letto il libro di Hunt e Monti.
– No, c’è l’ho qui sullo scaffale. Ho soltanto dato un’occhiata all’indice. Quando avrò tempo… ma adesso ho altri problemi.
– Mi pare ci siano cose interessanti, anche in relazione alla mia tesi.
– Be’, immagino di sì, Monti produce sempre cose molto suggestive. Anche se scrive così tanto che uno fa fatica a seguirlo. Sta sempre una ristrutturazione capitalistica avanti a tutti gli altri.
– Ma lei ha contatti diretti con Monti?
– Perché me lo chiede?
– Un po’ di tempo fa, non si ricorda? mi aveva detto che lo avrebbe dovuto incontrare. A un convegno. Poi non se ne è fatto più nulla.
– Ah sì, è vero. Non ho avuto modo di parlargli. Era accerchiato da uno stuolo di ammiratori.
– Be’, magari adesso gli si potrebbe mandare una bozza della mia tesi. La potrebbe trovare interessante. Forse si potrebbe pensare di pubblicare qualcosa sulla rivista Ketteposse. Che ne pensa?
– Mah, non saprei, comunque quella rivista non mi sembra un gran che.
– La conosce bene?
– Non proprio. Mi è capitato di sfogliarla ogni tanto. Poi una volta, qualche tempo fa, mi hanno chiesto un articolo su Marx, l’amore e le macchine. Io gliel’ho inviato. Tutto qui…
– Tutto qui? Allora non facciamo neanche un tentativo?
– Ma insomma Periglio, ci ha messo tanto di quel tempo per iniziare a scrivere la tesi e ora le è venuta tutta questa fretta! Bisogna fare attenzione: chi cerca di bruciare le tappe rischia di bruciarsi… in senso accademico, s’intende.
– Che vuole dire?
– Niente di particolare. Solo che esistono delle gerarchie, dei tempi che vanno rispettati. E se glielo dico io mi può credere. Appena qualcuno alza la testa, di questi tempi, c’è sempre qualcun altro pronto a tagliargliela. L’accademia è un brutto posto, mi dia retta, c’è chi è disposto ad ammazzare la madre pure di fare una pubblicazione prima di un altro.
E bravo stronzo! Quasi quasi sono contento che gli sono entrati i ladri in casa. Loro non lo sanno, ma forse sono andati a rubare proprio nella casa del ladro. Che è diventato pure un maestro di equilibrismo politico-accademico.
Se n’è sempre fregato e ora: “se glielo dico io mi può credere”. Credo proprio che sei uno stronzo! Prima mi mandava senza remore allo sbaraglio. Ora mi invita alla calma e alla pazienza. Mi ha fatto pure intervenire ad un convegno un paio d’anni fa. Pensa tu! “Mi hanno chiesto un articolo”, “tutto qui”. Ma che mi ha preso per scemo? Magari non c’entra nulla con il plagio, però qualcosa di strano ce l’aveva. Comunque non mi pare di saperne molto più di prima, praticamente sto al punto di partenza. Anche se…
Cazzo! Cos’è questo rumore? Mi fa venire il mal di testa. Deve essere l’allarme di una macchina. Fanculo gli allarmi, le macchine, i loro padroni e i loro ladri. Fanculo tutti. Cristo maiale che mal di testa! Questa sirena del cazzo mi sta entrando nel cervello.

Che palle questo fischio non finisce più. Si è incantato? Abbiamo capito, cazzo! Abbiamo capito: il Collettivo Montaggio a valle ha bisogno dei pezzi. Ma che vi credete, mica stiamo a grattarci la pancia. Anche qui in Verniciatura rischiamo di rimanere a secco. Fanculo l’aumento del ritmo. Fanculo l’Arcobaleno e tutte le sue macchine!
Il pannello elettrico ci comunica che ad Amsterdam, a Zagarolo e a Mestre sono stati ordinati 78 veicoli elettrici, di cui 32 decappottabili e 17 con tettuccio apribile.
Speriamo che i collettivi Lastratura e Stampaggio ci aiutino a mantenere i tempi di consegna. E via, fatta anche questa! Controllo di qualità, ehm, Paolo dice che non va. Pietro non tiene il ritmo, non va. Ecco Eleonora con lo spruzzetto. Presto, presto se no il Collettivo Assemblaggio rimane a secco e suona la sirena. Concentrazione, furbizia, virtuosismo neoartigianale, controllo, precisione, vai, vai compagna Eleonora, fatto, olé. Questa portiera la firmiamo noi con il nostro nome d’arte: Collettivo Capitan Harlock.
Fammi provare Capitano un’avventura dove io son l’eroe che combatte accanto a te, pulsante, spruzzo, abile giravolta, uatàh! sono un ballerino postfordista, fammi volare Capitan senza una meta tra i pianeti sconosciuti per rubare a chi ha di più. Egalité, cooperation, créativité! Altro che taylorismo! Altro che forza lavoro funzionalmente attivata solo dal capitale! Avanti ciccini, avanti, facciamo vedere di cosa è capace Capitan Harlock. Viemmi sotto cofano, che ti faccio un tribal come si deve. Siamo noi la fabbrica ontologica in cui tutti i rapporti di potere si intessono in un’unica trama. Siamo noi l’imprenditore collettivo, NOI, non voi omunculi incravattati detentori di pezzi di carta quotati in borsa. Mi fate pena, e andiamo, olé, sì, sì, lo so Eleonora, questo pezzo non è un gran che, ma è Pietro, forse oggi non sta bene, guarda che occhiaie che ha! Valore, e sì anche la teoria marxiana pagava il suo pegno alla tradizione metafisica. Oramai il mondo è andato fuori misura. E voi nani politici dell’esistere mi state ancora al valore? Io vi piscio in faccia. Nel postmoderno non vi è più una scala affidabile per misurare il valore, la creazione del valore ha luogo oltre misura, il non-luogo è il nuovo luogo, il luogo definito dall’attività produttiva che si rende autonoma da qualsiasi estrinseco regime della misura. Ecco gli aggiornamenti delle commesse: 50 vetture a Berlino, 245 a Napoli, 45 a Lisbona. Un tipo che mi piacerebbe conoscere ha ordinato un modello decappottabile con le facce dei Cugini di Campagna. Del resto è facile: ti colleghi ad Internet e scegli la tua Arcobaleno: modello, accessori, sponsor (Greenpeace, Amnesty International e Legambiente per i più pezzenti), colore, disegni e via personalizzando. E noi te la facciamo su misura. Come in una Pentecoste secolare, i corpi si mischiano con gli ingranaggi, una contaminazione, un meticciato con le macchine. Lo sfruttamento consiste ormai nell’espropriazione della cooperazione, in un fragile parassitismo di grigi possessori di pezzi di carta. Pensano di essere i padroni di questo mondo: che orribile illusione! In realtà, siamo noi i padroni del mondo, noi che lo generiamo continuamente con il nostro desiderio.
Perfetto adesso abbiamo preso il ritmo giusto. Se continua così a quei display gli spacchiamo il culo. Ahia, una sirena, ho parlato troppo presto. Il problema è su a monte, allo Stampaggio. Qui è tutto bloccato. Le scocche cominciano a passare sulla linea B. Porca miseria sembra di vedere le comiche: lì gli operatori si muovono come pupazzetti impazziti. Fine, non c’è più niente da verniciare né da griffare. Da noi è tutto bloccato e anche sulla linea B suonano le sirene.
– Fermiamo tutto, basta, i ritmi sono insopportabili.
– Lucia ma che dici? Se non ce la fai, bastava dirlo, guarda mi sarei staccato io dalla mia unità per sostituirti.
– Che cazzo dici tu!
– Ha ragione Lucia, anch’io non ce la faccio più.
– D’accordo, vi capisco, ma ci riuniamo tutte le settimane per decidere l’assetto delle turnazioni, delle pause, e adesso abbiamo bloccato tutto. È un disastro, che figura ci facciamo con gli altri turni. Non è giusto che quelli dello stampaggio abbiano bloccato tutto.
– Guarda che sulla linea B, si sono fermati tutti, anche quelli a valle.
Se ne stanno andando tutti dalle postazioni di lavoro. E io che faccio? So solo che mi sento un po’ rincoglionito. Un po’? Ora ci mancava solo che si mettessero a litigare. Avanti ragazzi non è il caso in questo momento di rinfacciare aiuti dati e mai ricevuti. Guarda Lucia come saltella da un capannello all’altro. Sembra un ragazzino da telefilm americano: capelli rossi, lentiggini e scarpe da ginnastica. Vabbe’, seguiamo la folla. Magari lì all’entrata sta succedendo qualcosa d’interessante
Ammazza quanta gente. Mai visto ‘sto atrio così pieno. Eccola là, lo sapevo. Lucia non poteva perdere l’occasione di fare il suo comizietto. Però non è per niente male. In piedi sul tavolo ha quasi una sua regalità. Ecco l’ha fatto di nuovo, si è sistema il ciuffo di capelli rossi dietro l’orecchio. Non so perché ma questo gesto lo trovo erotico. Però non si capisce un’emerita mazza, solo che è incazzata come una furia. Finalmente, ora che le hanno passato il megafono riesco a sentirla. Certo quell’aggeggio sembra uscito dal museo delle arti e tradizioni proletarie. Che c’è scritto sopra? Ah certo: COBAS. Dovevo immaginarlo.
– Nuove relazioni industriali, fine delle gerarchie, modello partecipativo, fabbrica arcobaleno. Quante altre buffonate si inventeranno per infiocchettare questa merda quotidiana che è la nostra vita qua dentro? Hanno creato questa fabbrica sul modello di Melfi, hanno fatto scomparire la catena di montaggio, ma il nostro lavoro è rimasto sempre lo stesso schifo, ripetitivo come sempre. Non c’è più il caporeparto che ci controlla né il tipo in camice bianco che dietro le nostre spalle ci cronometra perché ormai sono dentro di noi, siamo noi o almeno una parte di noi. Quella con l’occhio puntato sul display, quella che vive il suono della sirena come un’umiliazione, quella che gioca a fare il piccolo imprenditore in competizione con le altre unità, quella pronta a intervenire in ogni momento, a fare qualsiasi cosa purché il Santo Flusso non si interrompa. Mai, né di giorno, né di notte. A qualsiasi ritmo, a qualsiasi costo. Basta!

Era proprio potente Lucia, sembrava la Rosa Luxemburg della via Tiburtina. Certo, era un po’ vetero. Un po’? Si vede che il ricordo di quei giorni addolcisce la percezione del passato. Altro che un po’! Mi faceva incazzare, ma allo stesso tempo mi piaceva.