di Federica Vicino

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Padre Bruchner si raccolse in preghiera, il rosario stretto nella destra, la sinistra avvinghiata al passamano, e ancora scale e scale — nemmeno fosse, la sua, una discesa agli inferi. Non sapeva se e quanto ancora avrebbe resistito. Si affidò all’unica risorsa di cui disponeva: la preghiera. Ripeteva il rosario, biascicandolo fra le labbra molli, in un latino maccheronico impastato della lingua bastarda di quei posti. Il freddo era insopportabile, ma lui continuava a sudare: rivoli oleosi gli rigavano la fronte. Eppure continuava a scendere. Mosso da chi sa quale forza interiore. Il sepolcro emanava un tanfo rancido, di un’indistinta materia organica in decomposizione. Gli bruciava nelle narici. Ma proseguì.
Si ritrovò all’imbocco di un tunnel, e di questo non si sorprese. Buio a perdita d’occhio. Sempre abbrancando il rosario, si avviò. Era una galleria scavata nella pietra, così umida da trasudare liquido putrescente dalle pareti. La sua architettura presentava una certa discontinuità; di tanto in tanto delle voragini laterali si aprivano sull’imboccatura centrale di quell’immane budello. Sembravano salti nell’ignoto. Neri d’un nero incomparabile alla più buia e disperata delle notti. Già da un po’, padre Bruchner avvertiva una strana sensazione: un pulsare di vita segreta, che si dimenava nelle venature della pietra. Si sentì come accerchiato. Ma proseguì.


Una delle aperture laterali, riluceva. Strano. Padre Bruchner vi s’arrestò dinnanzi. Concentrò tutta la sua attenzione su quanto i suoi sensi riuscivano a trasmettergli. Luce remota e rossastra, odore di zolfo, un cupo rimbombo, come di tuoni. Strano. Quel buco l’attraeva; quello e non altri. Strinse ancor di più il rosario, si piegò sulle ginocchia e vi entrò. Una fitta nebbia rossastra gli si diradava davanti. Fu scosso dal terrore. Un animale saltava nella penombra gassosa; un ammasso rattrappito, che tuttavia non si sarebbe potuto definire altrimenti, se non umano. L’animale emetteva uno strano verso gutturale, ritmato e regolato nel ritmo sul rimbombo di poco fa, che ora appariva per quello che era: un suono ossessivo di tamburi. Padre Bruchner sgranò tanto d’occhi e invocò l’Altissimo; si segnò, con la mano tremante — una, due, tre volte. Quel gesto ipnotizzò l’animale, che si eresse di colpo in tutta la sua figura. Lunghi capelli, e braccia e gambe, e ventre e seni di donna — tutti sciolti in una nudità da bestia. Animalesca nei modi, ma indiscutibilmente umana: padre Bruchner aveva di fronte una donna! Si ritrasse, divorato dal terrore. Ricordò i moniti della sua guida spirituale, nel metterlo in guardia contro i mille diversi, orribili modi di manifestarsi del maligno. Un’immagine più raccapricciante dell’altra s’erano cementate nel suo animo, fino a radicarvi la certezza che fuochi e tamburi e donne che ballano alla luce delle fiamme fossero una manifestazione terrena di Satana.
La donna-animale sembrò leggergli nel pensiero: strabuzzò tanto d’occhi, diede un grido e fuggì a perdifiato verso la danza satanica che il frate aveva finora solo sognato. In realtà aveva avuto paura del saio. Padre Bruchner non si perse d’animo: seguì l’animale fuggitivo, convinto di essere vicino alla sua méta. E convinto che quella méta potesse finalmente essere ciò che cercava.
Il budello di sassi e melma sbucava in una grotta dal soffitto basso. Il pavimento era ricoperto di sabbia di uno strano colore rosso; qui molte donne-animale dilaniavano i loro corpi in una oscena nudità a ritmo di invisibili tamburi. Nello scorgere l’intruso, fuggirono fra grida di terrore, spinte e scivoloni. I tamburi tacquero.
Padre Bruchner tirò un sospiro. Di colpo si rasserenò. Cercò con lo sguardo fra le stalattiti di tufo: una sola donna-animale era rimasta immobile, e lo fissava. Il frate si volse verso di lei; si era avventurato in quel viaggio con una sola certezza nel cuore: nonostante non l’avesse mai vista era sicuro che l’avrebbe riconosciuta. E così fu.
La donna-animale, tuttavia, gli si rivelò in tutto e per tutto inaspettata. Inaspettata nell’aspetto, nei gesti e nelle movenze; soprattutto, inaspettata nel comportamento. Senza battere ciglio, tese i polsi verso il frate; camminò, fissandolo negli occhi, fino a portarsi al suo cospetto, e qui, sempre offrendogli i polsi, pronunciò le seguenti parole:
– Sei qui per prendermi?
Padre Bruchner ebbe un tuffo al cuore. E’ il demonio, pensò, il demonio tentatore. E già sentiva una forza immane infonderglisi nelle membra, attraverso il crocefisso che teneva al petto; il potere assoluto del bene sul male, che fluiva attraverso il rosario, nelle sue ruvide mani di uomo, maledetto demonio tentatore…
E con quelle stesse mani era pronto a colpirla, inginocchiati vile bestia! Inginocchiati di fronte al potere, il sommo potere della preghiera, che svela il subdolo inganno! Lucifero che induce in tentazione!
E già era sul punto di imporle le mani, di allontanarla con i segni benedetti dell’eucarestia, quando altre parole scaturirono limpide dalla bocca della donna- animale:
– Fa’ di me ciò che vuoi. Non mi importa. Ma non fare del male alle altre che sono qui.
Padre Bruchner volle scrutare a fondo nei suoi occhi, e lo fece accostandosi al viso della donna-animale come mai aveva fatto in vita sua con un essere di sesso femminile. Trattenne il respiro, mentre quello di lei fluiva morbido, trascinandosi dietro un profumo di fiori recisi. Ebbe un fremito, che ricacciò nel buio dell’anima. Pietà? — si domandò. E quella, come se avesse potuto leggergli dentro, aggiunse:
– Non voglio la tua pietà per me, ma per loro. Io no, ma loro sono innocenti.

Il generale Auheller aveva stabilito il suo alloggio nel Municipio del paese. Arrivando, con il codazzo dei suoi ufficiali, vi aveva trovato solo un vecchio custode. Si era fatto consegnare le chiavi. L’aveva mandato via con due incarichi da svolgere, in fretta e senza discutere: primo, rimediare una donna del paese in grado di cucinare per lui e per i suoi ufficiali; secondo, rimediare la quindicina. Prostitute. Senza fare obiezioni e di volata. Il vecchio custode era corso via con tutta la fretta che il suo povero fisico ancora gli consentiva. Non aveva trovato né l’una né le altre. Per disperazione aveva iniziato a piangere.
In chiesa, aveva cercato il conforto del parroco, padre Zohnerer, ma invano. La perpetua gli disse che padre Zohnerer era salito al convento degli Oblati, per una questione urgente, e che non si sapeva quando sarebbe tornato. Il vecchio custode cedette allo sconforto. Piangeva ancora a dirotto, quando rimise sulle spalle la mantella, rassegnato ormai all’idea di tornare al Municipio a mani vuote e di andare così incontro al suo destino. La perpetua lo richiamò a sé:
– Tieni questo. — gli disse, e gli mise in mano un calendario — Padre Zohnerer si è raccomandato di appenderlo dentro al Municipio, in un punto bene in vista.
Il vecchio custode prese passivamente il calendario, ancora tutto scosso dai singhiozzi di poco prima. Mentre si allontanava, la perpetua aggiunse:
– Non preoccuparti per le donne. Di’ ai soldati che arriveranno.
– E se poi non arrivano?
– Arriveranno.

La donna-animale si lasciava condurre attraverso il budello nero del sepolcro, quasi con docilità. Padre Bruchner la teneva per un braccio, ma sapeva che non avrebbe mai tentato la fuga. Tuonando come il Padreterno, prima di portarla via, aveva preteso che si mettesse qualcosa addosso. Da quel momento, aveva improntato il suo atteggiamento alla più granitica severità. Le si era rivolto di rado, e sempre con ringhiante distacco. L’aveva pungolata con occhiate sprezzanti; nel toccarla si era mostrato quasi schifato. In realtà aveva paura. Non del buio limaccioso di quell’antro, o di una improvvisa e violenta reazione di lei… in quegli istanti temeva soprattutto se stesso. Il frate si impose il controllo. Si impose di pensare a quella donna come ad una bestia. Nient’altro. Nemmeno come preda avrebbe potuto spegnere l’istinto carnivoro del maschio che sottomette la femmina. E padre Bruchner, nonostante l’età, non era ancora pronto a rimuovere gli istinti.
Giunti ai piedi della scalinata elicoidale, che risaliva dalla catacomba fino all’imboccatura di un miserabile pozzo, il religioso dovette fermarsi per recuperare il fiato e le forze. Allora, in un attimo di debolezza, invidiò l’energia giovanile di lei. Con una spinta, la costrinse ad addossarsi alla parete della caverna, che trasudava melma e altri immondi liquami. La donna-animale obbedì e rimase immobile a lungo, con gli occhi bassi, nel punto in cui il frate credeva di averla costretta. Pochi istanti furono sufficienti a Bruchner per comprendere che non sarebbe in alcun modo riuscito a staccarle gli occhi di dosso. Ci ragionò su. L’aveva immaginata diversa da com’era. Più bella e meno graziosa. Il suo sguardo limpido non lo inquietava meno della sua magrezza spettrale. A vederla così, quasi si sarebbe rammaricato per il poco riguardo con cui l’aveva trattata.
Tremendo, il demonio! — pensò. E con questo si riebbe. Si ritrovò meno rabbioso di prima e più fiducioso sul buon esito della sua missione. Per consolarsi si volse a guardare nella direzione che la donna-animale, da sotto le sopracciglia, spiava: il fondo buio della caverna. Nessun rumore di tamburi era più riemerso, da quando il frate aveva compiuto il sacrilegio e sradicato l’animale dalla sua insana terra oscura.
– Non sei fuggita come le altre. — mormorò Bruchner, allora, come rincuorato — Non hai paura di me?
Per rispondergli, la donna-preda gli levò in faccia uno sguardo tagliente, inondato di luce. Strano. Un animo dannato non ha luce, dentro. Strano.
– No. — fu la risposta.
– E come mai?
Ci fu un lungo sospiro. Poi la donna-animale-preda mormorò:
– Dies medetur.
– Dies… medetur… — ripetè Bruchner, non senza meraviglia — Il tempo risana. Già, certo: dies vulnerat, dies medetur.
Nello spazio di un silenzio, i loro occhi si incontrarono.
– A quando risale la tua condanna?
– 1494.

Al calar del sole, quando già il vecchio custode si sentiva con un piede nella fossa e una raffica di mitra nel petto, al Municipio si presentò la perpetua di padre Zohnerer. Disse che la cuoca era lei, e chiese che cosa i rispettabilissimi signori ufficiali volessero mangiare per cena. Quindi cercò con gli occhi il calendario che aveva affidato al vecchio. Lo scorse appeso accanto al crocefisso ed alla coccarda comunale. Scambiò con il concittadino un’occhiata di intesa, allo scopo (naturalmente vano) di tranquillizzarlo. Si congedò dagli impettiti ufficiali con un inchino popolano; ricomparve un’ora più tardi, con una cesta colma di ogni ben di Dio, dal pollo al vino. Salsicce, uova e formaggio. Uno schiaffo alla miseria della guerra. Da quelle parti si era cenato con lombrichi e topi, negli ultimi tempi. La fame aveva abbrutito gli animi non meno del terrore. Il vecchio custode si offrì di sparecchiare, e così potè almeno avere il privilegio di spolparsi gli ossi. Divorò pelle e cartilagini, aglio soffritto e rosmarino; grattò l’olio incrostato sul fondo della teglia; bestemmiò la malafede del parroco, che guardava languire i suoi fedeli e intanto custodiva simili tesori. E adesso era anche sparito! Proprio nel momento più nero!

– E da allora — trasalì il vecchio frate — non hai ancora riscattato la tua anima?
Stavolta la donna-animale preferì tacere. Con un impercettibile moto di stizza, si scostò appena dalla parete dell’antro; ma Bruchner le abbaiò prontamente contro:
– Non azzardarti a muoverti, rinnegata! In ginocchio! In ginocchio, ho detto! Giungi le mani e prega!
Dovette costringerla così con la forza. La docilità della donna-animale si era come dissolta.
– Prega! — gridava ora Bruchner, travolto da una furia insospettabile. — Prega! Segnati e prega!
Le sue urla propagavano nella caverna e nel pozzo una sinistra eco.
La donna-preda appariva, piuttosto, passiva; ma pure in quella condizione, trovò una forza disarmante e tirò fuori dalle viscere un soffio, che letteralmente raggelò il povero frate.
– Questo mai. — disse.
Allora la debolezza umana si materializzò in tutta la sua miseria: padre Bruchner colpì la donna con forza, facendola crollare a terra. Poi rimase a contemplarla per alcuni, lunghissimi secondi. Respiravano entrambi pesante.
– Avrei dovuto saperlo. — blaterò il vecchio, quando riuscì a riaversi — Avrei dovuto saperlo…
Si incamminarono, su per l’immonda scalinata: il frate si fece precedere. Per sicurezza, allacciò un capo del suo cilicio attorno al polso della preda… così lo scoprì orrendamente segnato. Ebbe un tuffo al cuore. Questo mai… Adesso aveva capito.
La conformazione del pozzo era strana: il budello si attorcigliava su se stesso, quasi fosse un interminabile guscio di lumaca. Alla melma che ricopriva le pareti della caverna, giù in basso, s’era sostituita ora una terra greve e dura, incrostata di livide pietre. A dispetto della profondità del pozzo, e contro ogni verosimile previsione, padre Bruchner riusciva ora ad andare più spedito, nonostante si stesse inerpicando in salita. Il fango aveva imbrattato le misere vesti della donna-animale, che ora aderivano quasi con perversa precisione al suo corpo minuto ma solido. E soprattutto nudo. Il frate incuneò lo sguardo dove potè, sempre riscuotendosi in gran segreto, e sempre richiamandosi al controllo e invocando l’Altissimo perché non lo inducesse in tentazione.
– Quale fu l’accusa? — ansimò dopo una buona manciata di scale.
Era convinto che parlare gli sarebbe stato d’aiuto; ascoltare la voce della preda avrebbe contribuito a farla somigliare meno ad una preda.
Per tutta risposta, la donna si arrestò sui suoi passi.
– Siete un inquisitore? — domandò.
– No — sospirò Bruchner, un po’ sollevato — sono un esorcista.
Ora la preda sgranava tanto d’occhi.
– Siete venuto fin quaggiù a prendermi per un esorcismo?
– No.
Il frate salì uno dei due gradini che lo distanziavano dalla ragazza (adesso, finalmente, quell’essere immondo gli pareva null’altro che una ragazza). Così furono faccia a faccia, e Bruchner potè razionalizzare di essere enormemente più alto e più grosso rispetto a lei.
– Perché rifiutasti l’abiura? — le chiese, in tono persino amichevole.
Aveva capito.

Padre Zohnerer dovette fare appello a tutte le sue energie, per non cedere allo sconcerto. La visione era sconvolgente. Padre Bruchner parve materializzarsi dal nulla nel buio della cripta; grondava sudore e lerciume, ma si reggeva ancora sulle sue gambe — e per questo c’era di che ringraziare Dio. Nella destra stringeva il rosario, nella sinistra il suo cilicio: teso e duro. All’altro capo della corda, fu appena possibile intravedere una figura scarna che barcollava. Nello stesso istante della sua apparizione, tutte le candele che bruciavano nella cripta si spensero. L’essere legato al cilicio, levò quindi due occhi tondi e grandi, che sprigionavano una luce azzurrognola.
– Eccola… – sussurrò Zohnerer.
Gli altri frati erano annichiliti. Nel vedere la donna-animale caddero ginocchioni a terra e iniziarono a pregare.
Lei, la preda, si ritrasse, strattonando il cilicio. Per la prima volta, da che Bruchner l’aveva trovata, sembrava impaurita. Un freddo insopportabile inondò di colpo i sotterranei del convento.
Zohnerer non ci badò. Era necessario stabilire un controllo razionale assoluto sulla situazione. Si fece il segno della croce; impugnò il suo crocefisso (quello di tanti esorcismi) e lo impose alla donna-animale. La reazione fu così terribile, da disorientare anche lo stesso Bruchner. La ragazza tentò disperatamente di divincolarsi, quasi fosse stata attraversata da una lama arroventata; gridò; crollò al suolo e si raccolse con le gambe al petto e la testa fra i gomiti. La scena suscitò a sua volta un’inaspettata, quanto sconvolgente, veemenza nei frati, che iniziarono a indirizzarle contro i loro anatemi, come stessero scagliando pietre. Zohnerer vide i loro occhi infiammarsi di una furia selvaggia, le loro bocche contorcersi nell’invocare l’Altissimo e nel ripetere la formula del rituale esorcistico per allontanare la bestia. Saliva, sudore, umori corporei di chi sa quale natura in molli rivoli grondavano dalle cappe dei sai, nonostante l’incubo del freddo. In quel crescendo di carnivora estasi, con la preda che ormai si divincolava a terra sotto la ferocia divina dei frati, quasi fosse divorata da una fiamma invisibile, padre Bruchner ruppe ogni indugio: facendosi largo a gomitate, si gettò a terra, a proteggere col suo corpo malmesso, ma imponente, la piccola donna-animale.
– Fratelli! — tuonò Zohnerer.
La danza macabra si arrestò all’istante. Tanto che, con un filo di voce, il parroco potè aggiungere:
– Fratelli, controllo. La bestia è in nostro potere, ma non dobbiamo compiacerci di questo.
Si accostò al groviglio umano che ansimava a terra, nel quale con difficoltà, ora, si sarebbe distinto fra Bruchner e la sua preda-animale. Un’occhiata bastò ad intimare al frate di ritrarsi.
La donna, rannicchiata vicino ad un austero altare di pietra grezza, si dondolava un poco in avanti e mandava dei singhiozzi sommessi. Nondimeno, quando avvertì la vicinanza dell’esorcista, sfiorando con le labbra il pavimento, mormorò:
– Perché mi fate questo? Ho già pagato per la mia colpa. Perché mi fate questo?
Zohnerer la ignorò.
– Alzati, Estrella. — le ordinò.
Quel nome, pronunciato con fermezza, ferì l’aria. La donna-animale si irrigidì. Levò gli occhi, a cercare il volto di colui che ancora la indicava con quell’identità dimenticata. I suoi occhi adesso luccicavano. Si alzò. E rimase ferma, scossa solo da un impercettibile tremore. Accennò un’occhiata alla folla di frati che, nonostante il generoso -e ambiguo- intervento di padre Bruchner, le incombeva addosso.
– Di cosa mi si accusa? — chiese.
– Fa’ silenzio. — le intimò Zohnerer.
Con un gesto colmo di enfasi mistica, il prete sollevò il suo crocifisso e lo piantò a mezz’aria, davanti al volto della donna-animale. Quindi aggiunse:
– Verrai con me e mi obbedirai senza discutere. Sono io il tuo padrone, adesso. Satana non può nulla contro di noi, per salvarti.
Avvertì un formicolìo all’altezza dei reni e nel basso ventre; il sangue gli pulsava imperterrito nelle tempie; una forza animale si propagava dalle natiche all’inguine; lo aggredì un’ira che si sarebbe detta funesta. Fra i denti, grugnì:
– E non provare a tentarmi, bestia.
D’istinto, volse lo sguardo a padre Bruchner, che ancora osservava a bocca aperta l’incredibile scena.
– Gli uomini sono deboli. — soggiunse — ma la volontà di Dio sa renderli inattaccabili.

– Dovrete confessarvi, purificare la vostra anima, padre Bruchner. — mormorò Zohnerer.
L’altro gli sedeva di fronte, stretto in pochi, miseri stracci, impensierito, spossato.
Prima di accostarsi alla donna-animale, la perpetua si era segnata e raccomandata a Dio. S’era imposta di non guardarla mai negli occhi. L’aveva accompagnata in una stanzetta angusta, con le sbarre alle finestre ed una pesante porta di legno chiusa solo dall’esterno da un chiavistello. Lì, come padre Zohnerer le aveva ordinato, aveva messo un lavatoio, una brocca con dell’acqua, un pezzo di sapone e degli abiti.
– Lavati e vestiti.
Furono le sue parole, le uniche che riuscì a rivolgere alla donna-animale. Ebbe fretta di allontanarsi da lei; soprattutto, ebbe fretta di chiudere la porta, di tirare il chiavistello e piantarvi dentro il lucchetto. Solo allora si sentì in salvo. Risalì in casa, dove trovò i due religiosi che parlottavano in tono grave.
– Dovrete confessarvi, purificare la vostra anima, padre Bruchner.
– Non è la prima volta che il maligno riesce a tentarmi. — ribadì l’altro, con una certa singolare tranquillità — E non sarà l’ultima.
– Avete avuto pietà di quell’essere: vi siete lasciato irretire.
– Ho trovato inammissibile il rito del predominio. Quei frati erano dominati dall’istinto e non dalla ragione
– Se non riesce a colpire direttamente, il maligno cerca di provocare indirettamente delle reazioni che indeboliscano le sue vittime. Paura, eccitazione, pietà, aggressività… sono tutti canali che tenta di percorrere per conquistare e sconfiggere gli animi deboli. Il vostro atteggiamento nei confronti della donna-preda, padre Bruchner, e quello dei padri oblati, erano equivalenti, se non addirittura speculari. Entrambi, in entrambi i casi, inammissibili.
La perpetua si insinuò in quella conversazione con la discrezione di chi è di casa.
– Eccovi le chiavi del ripostiglio. — mormorò, abbandonando nella mano di padre Zohnerer la doppia chiave del lucchetto. — La bestia è lì dentro. Andate a prenderla voi: a me fa paura.
– Portaci del vino. — le sorrise Zohnerer — Sarà una lunga e difficile notte. E fa un freddo d’inferno.
La donna si avviò, con una vaga smorfia di disapprovazione disegnata in viso.
– Perpetua?
– Cosa c’è, padre?
– Anche a noi la bestia fa paura.
I due religiosi si scambiarono un’occhiata di intesa, mentre la donna si allontanava scrollando le spalle.
– Che bisogno c’era… – borbottava fra sé, ma in modo che le sue parole fossero bene udibili – Vorrei sapere che bisogno c’era.
E continuò a ripeterlo anche mentre sistemava due bicchieri scompagnati sul tavolo e versava il vino.
– E’ una brava donna. — si sentì in dovere di spiegare Zohnerer, quando se ne fu andata.
Bruchner rispose con un sorriso. Accostò il bicchiere alle labbra tremanti e fece un lungo sorso. Non aveva smesso di pensare alla donna-animale nemmeno per un istante.
– Sicuro che non scapperà? — chiese, riscoprendosi improvvisamente inquieto.
– L’avete vista, padre. La bestia è debole. E spaventata.
– Sarà pronta?
– Terminate di bere il vino. Poi andrete a prenderla. La condurrete dove sapete e lì la lascerete. Indicatele il riferimento cronologico. Senza dimensioni spazio-temporali, la bestia non è in grado di agire.
– E’ stato sistemato?
– In bella vista: la perpetua ha detto che non si può non notarlo.
– E lei, la donna-preda, come lo riconoscerà?
– Oh, non temete, lo riconoscerà! E’ il calendario dei frati.
Ci fu un silenzio. Troppo breve e troppo lungo nello stesso tempo. Bruchner era attraversato da un fremito che controllava a stento. Un’idea sbagliata di cosa sbagliata, nel momento sbagliato, nel posto sbagliato. Temette che il parroco potesse avvertire il suo disagio, sicchè, senza nessuna reale necessità, riprese a parlare.
– E voi di quanto tempo avete bisogno? — chiese.
– Come vi ho già detto, dovrebbero bastarci tre ore.
– E lei, Estrella, ce la farà in tre ore?
– Dovrà farcela.
Bruchner terminò il vino, trangugiando un lungo sorso. Padre Zohnerer gli consegnò le chiavi del ripostiglio.
– Che Dio vi accompagni e vi protegga, padre Bruchner. — mormorò in tono conciliante — Siate prudente.
Si abbracciarono.
– Siate prudente anche voi.

Ripulita e vestita, Estrella aveva un aspetto candido di fiore in boccio, che avrebbe turbato chiunque.
Padre Bruchner dovette raccogliere le forze, per intimarle di uscire dalla sua cella improvvisata e seguirlo. La donna-animale esitava, e così il frate fu costretto a prenderla per un braccio e trascinarla via. Fu costretto a toccarla. La stretta fu così energica, che la piccola preda emise un guaito sommesso. Per quanto la si potesse avvertire istintiva e selvaggia, sacrilega tentatrice, bestia ipocrita e multiforme, quel che continuava a trasparire dai suoi grandi occhi azzurri era un senso di terrore e smarrimento.
– Sarò giudicata di nuovo? — domandò, con un filo di voce.
Bruchner si arrestò sui suoi passi. Era notte fonda e il buio sembrava averli stretti in una morsa.
– Dovrai obbedirmi, nient’altro. — le rispose.
E avrebbe ripreso il suo cammino in quello stesso istante, se Estrella non avesse soffiato, ricacciando in gola le lacrime.
– L’obbedienza mi ha condotto sul rogo, padre Bruchner. Proprio l’obbedienza ai frati col saio e il cilicio, come te.
Stavolta la schiaffeggiò con violenza.
– Non azzardarti mai più a… – si interruppe.
Gli ronzavano in testa strani pensieri. Idee bislacche, per un vecchio religioso come lui. Padre Zohnerer si era sbagliato sul conto di Estrella. Non aveva alcun dubbio su questo.
– Quale fu l’accusa? — le chiese dopo un lungo silenzio.
– Stregoneria, naturalmente.

Zohnerer sballonzolava in abiti così inusuali per lui da indurlo all’imbarazzo. Si allacciò il cravattino; abbottonò la giacca, predisponendosi al sorriso di circostanza.
Chiese a Dio di perdonarlo per quell’assurda mascherata, e infilò gli scarponi oblunghi. Sotto il tendone regnava la confusione più assoluta. Prima di infilare i guanti bianchi, il parroco battè più volte le mani e richiamò i bambini all’ordine e al silenzio. Erano troppi, e troppo piccoli, per riuscire a farli tacere. Tirò un sospiro e, senza accorgersene ,chiamò in causa perfino la buona sorte. Mise il naso rosso. Cercò gli occhi, terrorizzati, del signor Hingdennard. Anche lì, mascherata in dirittura d’arrivo; si augurò che riuscisse a suonare la fisarmonica, come aveva sempre fatto nelle feste di paese. Di più: si augurò che riuscisse ad apparire quel che in realtà non era: un musicista vero.
Giù in paese, la soldataglia ospite rumoreggiava. La stazione ferroviaria era presidiata sin dal mattino. Non sarebbe stato facile far passare di lì un finto circo di bambini. Meno che mai un finto circo di bambini ebrei.

Estrella si riscosse.
– Cosa accadrà loro, se i militari li scoprono?
Quella storia la stava turbando, e padre Zohnerer si era definitivamente e decisamente sbagliato sul suo conto. Bruchner tirò un respiro corto, prima di mormorare:
– Li bruceranno.
Lei ebbe un tuffo al cuore.
– Ancora? — le sfuggì detto. — Accade ancora questo agli ebrei?
Nessuna risposta.
Si guardarono. Un’anima dannata e un frate esorcista — che duo! Si guardarono ancora.
– Devi riscattare le tue colpe, Estrella. — soggiunse il vecchio.
– Quali colpe? — si lamentò la donna-animale — I frati mi chiedevano di pulire i pavimenti del convento e io pulivo. Mi chiedevano di scendere di notte nelle loro celle, e io scendevo. Mi chiedevano di spogliarmi: mi spogliavo. Mi chiedevano di allargare le gambe…
– Basta! Adesso basta!
– Obbedivo. Padre, io obbedivo agli ordini che mi davano quelli come te. Questa è la mia colpa?
– La lussuria è una colpa, Estrella! La fornicazione è una colpa! L’uso indiscriminato del proprio corpo è una colpa! Il piacere della carne è una colpa! Queste sono le tue colpe.
– Un mattino un domenicano ospite del convento arriva in biblioteca all’improvviso: mi trova che leggo un libro. Avrei dovuto ramazzare, invece leggevo. E per giunta in latino. Un libro di poesie di un popolo antico, che per lui era sacrilego… lui stesso mi trascinò sul rogo.
Questa, dunque, era la colpa.

Il vecchio custode sudava freddo. Un soldatone lentigginoso lo teneva sotto tiro, e il suo malcelato terrore era ora oggetto di scherno da parte dei sottufficiali. Ma tutto questo era niente, rispetto al crescente senso di attesa che aveva bruscamente spento i buoni propositi suscitati dalla cena succulenta, saporita e abbondante.
Dov’era dunque la tanto attesa quindicina? Dov’erano le donne?
Non sapeva più che dire, se non ribadire che sarebbero arrivate, di lì a poco. Sul suo onore e sulla sua vita. Soprattutto quella. Deglutì e si maledisse.
Sentì la terra letteralmente franargli sotto i piedi, quando sulla porta del municipio comparve Estrella. In effetti svenne.
Fra la meraviglia generale, la bestia avanzò con passo leggero ma sicuro. Si piantò al centro della stanza, dove poco prima gli ufficiali avevano cenato. Era avvolta in un mantello di tessuto nero. Ne scostò appena un lembo: si intuì, in un istantaneo bagliore, il corpo nudo, sotto.
– Ho sentito che qui c’erano dei maschi. — aveva un sorriso di belva appena a fior di labbra — ma ora che sono venuta, in effetti non ne vedo neanche uno.
Si piantò con forza in faccia al generale Auheller e soggiunse:
– O sbaglio?

Il treno sferragliò sul binario uno. Il sibilo della frenata tagliò in due la notte. Zohnerer prese i due bambini più piccoli per mano.
– Coraggio, questo è il nostro treno. — esclamò con voce chiara.
Due soldati passeggiavano fra le rotaie, fumando.
– Hingdennard! — si affrettò ad aggiungere Zohnerer — Un po’ di musica, prego! O qui finisce che ci addormentiamo tutti!
La fisarmonica gracchiò qualche nota sconnessa. Il prete-clown spinse sul treno con energia gli ultimi due bambini, proprio nell’istante in cui i due soldati gli si paravano davanti. Sorrise e si produsse in un beffardo inchino.
– Pagliacci sulla scena e pure nella vita, eh? — gli ridacchiò in faccia uno dei due soldati.
Lo scostò con uno spintone.
– Sbrigatevi a partire, che è meglio. — gli intimò poi, in tono molto meno ironico — Il nostro glorioso paese non ha bisogno i gentaccia come voi.
Zohnerer inciampò sul gradino del vagone, ma cercò di riprendersi.
– Sissignore. Grazie, signore. — avevano detto le sue labbra, fuori da ogni controllo.
La locomotiva si rimetteva faticosamente in moto, quando dal buio sbucò fuori padre Bruchner. Si scambiarono il cenno d’intesa che padre Zohnerer si era a lungo augurato di vedere. Era filato tutto liscio.
Quando la costrinsero a forza sul tavolo, Estrella torse gli occhi, in cerca del riferimento temporale che pure doveva esserci. Dovette sforzare la vista, dibattersi, guardar meglio; colpa dello stupore, che si impossessò di tutta la sua persona. Udì il lamento della locomotiva che lasciava la stazione e riconobbe il segnale. Con le mani ossute dovette avvinghiarsi al bordo del tavolo, mentre il maschio Auheller le vomitava fra le gambe colpi secchi di autentica ferocia. Dovette sporgersi e guardare ancora. Lesse sul calendario; non ci credette; lesse di nuovo.
Lesse: nell’anno del Signore 1943.