di Danilo Arona

Les_innocents.jpg
1) E’ nota l’irrisolta e stuzzicante querelle in sede critica a proposito di Giro di vite di Henry James. Racconto autentico di fantasmi o delirio allucinatorio dell’io narrante, l’istitutrice Miss Giddens? Domanda ovviamente retorica perché, come sottolineò a suo tempo Todorov, sta proprio sul confine dell’esitazione l’effetto di straniamento “fantastico” che si crea nel lettore. In più, come leggiamo nell’affascinante saggio di Giovanna Mochi Le cose cattive di Henry James (risalente al 1982, ma non datato), l’interpretazione di Todorov si può ben accantonare a favore del concetto di “allucinazione estetica”, laddove, per quanto convinti che i fantasmi siano soltanto allucinazioni della Giddens, essi sono in ogni caso ben presenti e nocivi alla stregua dei Tulpa tibetani divulgati da Alexandra David-Neel.

Come dire, che i mostri sono concretamente esistenti nel momento in cui si crede in loro e, che piaccia o meno, questa è di sicuro una pertinente metafora di quella parte di mondo patologico che convive con quell’altra che patologica non è. Perché, da un punto di vista psichiatrico e/o psicanalitico, la questione della nostra epoca devastata è quanto mai semplice e schematica: la malattia (mentale) ha preso il potere.
Ma torniamo al nostro romanzo e, soprattutto, alle sue ricadute cinematografiche.
Di queste ultime in Italia ne conosciamo tre: The Innocents (Suspense) di Jack Clayton (Gran Bretagna, 1961), The Nightcomers (Improvvisamente un uomo nella notte) di Michael Winner (Gran Bretagna, 1972) e The Turn of the Screw (Presenze) di Rusty Lemorande (Australia, 1992). E delle tre di solito soltanto la prima viene ricordata per la congrua forza suggestiva “jamesiana”. A onor del vero l’elenco è ben più lungo e, tra poco cinema e tante riduzioni per la TV, comprende i seguenti titoli:

The Turn of the Screw, (TV) di John Frankenheimer con Ingrid Bergman (Usa, 1959)
Le tour d’écrou (TV) di Raymond Rouleau (Francia, 1974)
The Turn of the Screw (TV) di Dan Curtis (Usa, 1974)
The Turn of the Screw (TV) di Petr Weigl (Germania, 1982)
Otra vuelta de tuerca di Eloy de la Iglesia (Spagna, 1985)
The Turn of the Screw (TV) di Graeme Clifford (Usa, 1990)
The Turn of the Screw — Die Drehung der Schraube (TV) di Claus Viller (Germania, 1990)
The Haunting of Helen Walker (TV) di Tom McLoughlin (Usa, 1995)
The Turn of the Screw, (TV) di Ben Bolt (Usa, 1999)
The Turn of the Screw di Nick Millard (Usa, 2003)

Un elenco al quale andrebbe aggiunto a onor di completezza il film The Others di Alejandro Amenabar, che è in qualche modo una rielaborazione assai libera e personale del Giro di vite di James. Da non dimenticare sono anche due film di Bava che occhieggiano, o qualcosa di più, alla lezione di James — la patologia è la porta d’ingresso per i fantasmi: Reazione a catena e Shock. E, per finire, dato che sono un po’ bizantino, non andrebbe neppure dimenticato un vecchio, bellissimo Altman, Images del ’72, con Susannah York che “vede” fantasmi in piena sindrome da Miss Giddens.

2) Dove sta l’assoluta e attualissima importanza del testo di James? Proverò a raccontarla alla mia maniera, affidandomi ai ricordi. Ho naturalmente visto prima il film di Clayton e poi, in epoca più tarda, ho letto il libro di James. Non sapevo quindi, all’età di dodici anni, che il film rispecchiava in modo quasi mirabile l’ambiguità e la “dialettica delle zone oscure” che caratterizzavano Giro di vite. Merito, fra gli altri, di Truman Capote che con lo sceneggiatore John Mortimer adattò mirabilmente il fedele testo teatrale di William Archibald, rappresentato nel 1950 (dallo stesso adattamento il compositore Benjamin Britten e il paroliere Myfanwy Piper trassero un’opera lirica quattro anni dopo). Di sicuro, a naso, quel film — che in prima visione venne vietato ai minori di sedici anni, ma che io riuscii a vedere, provocandomi “traumi primari” dai quali ancora non sono uscito — mi terrorizzava parecchio, ancora prima di vederlo. Il divieto (appunto), il manifesto in bianco e nero con Deborah Kerr e Martin Stephens che guardavano fuoricampo in alto “qualcosa di terribile” e, persino, lo stupido titolo italiano (inglese). Quando lo visionai, di sicuro fece il suo effetto. Ma ci fu un passaggio che mi provocò, a quell’età e in quell’epoca (Claudio Villa aveva vinto a Sanremo…), qualche problema, allorché la tremebonda e ipocrita Mrs Grose confessava a Deborah Kerr che “Miles era stato mandato via dal collegio perché di notte corrompeva gli altri ragazzi” (all’incirca) e la nostra istitutrice reagiva con un isterico rifiuto a crederci. Hai voglia di quanto è capace la fantasia di un dodicenne nell’elaborare uno dei più importanti “spazi vuoti” del testo di James. Hai voglia se poi si sentono frasi, prese di peso da libro, che recitano “Ci sono degli abissi, ci sono degli abissi!” o “Queste cose non fanno per me, signorina” (sempre l’infida Mrs Grose). Non ne sapevo ancora molto, anzi nulla, ma si trattava della poetica (e della tecnica) di un certo Val Lewon che negli anni Quaranta aveva dichiarato:
“Gli amanti del genere popolano l’oscurità di orrori molto più numerosi di quanti ne possono immaginare gli scrittori horror. Vi confiderò un segreto: se rendete lo schermo abbastanza buio, l’occhio della mente vi farà vedere qualsiasi cosa vogliate! Noi siamo grandi nel creare macchie d’ombra. Ricordate la lunga passeggiata nella notte nel Bacio della pantera? Molte persone sarebbero pronte a giurare di avere visto una pantera muoversi nella siepe dietro la ragazza, ma non è vero! Illusione ottica, macchie d’ombra.” (1)
Certo, diatriba classica, ripropostasi in anni più recenti dalla famosa scena dell’interrogatorio in Basic Instinct a proposito della vulva di Sharon Stone (si vede o non si vede per un secondo?), ma a dodici anni non esiste nulla di classico e di definito. Soprattutto perché il film, andando avanti, lasciava intravedere la tesi che i fantasmi di Quint e Miss Jessell tornassero a Bly per corrompere alla stessa maniera, stile collegio per intenderci, i due cherubinici Flora e Miles.
(Altro clamoroso spazio vuoto, che il Mereghetti così riempie: “Miss Giddens si convince che Flora e Miles siano succubi dei fantasmi di un guardiaccia e della sua amante, che ne usano i corpi per pratiche innominabili” (2) — che poi i fantasmi, incorporei, usino i corpi altrui per pratiche innominabili, ai pignoli potrebbe sembrare azzardato, ma glissons…)
Per quanto ambigui, due dati, man mano il film procedeva verso il suo emozionante finale, apparivano più o meno chiari: Quint e Miss Jessell, da vivi, avevano intrattenuto un rapporto con Flora e Miles, con conseguenze assai negative sui bambini; tra Quint e Miss Jessell c’era stato un analogo rapporto. La parola chiave era sempre quella, vittoriana e polisignificante: corruzione.
Alla fine del film, a dodici anni, capii che qualche conto non tornava a bella posta. Tutti i “buchi” nel racconto ci stavano ad arte. In piena tempesta freudiana e ormonale, pensai che Miles fosse un giovane porcaccione (proprio per quello moriva — i cattivi muoiono sempre alla fine del film), divenuto tale per colpa di un fantasma porcaccione. Le donne di contorno, okay, erano il contorno. Del resto Goffredo Fofi doveva ancora scriverla, la frase “i fantasmi uterini di Jack Clayton”. (3)

3. Scherzi a parte, come ogni buon appassionato di letteratura fantastica, mi sono dedicato nel corso degli anni a tentare di risolvere il mistero di Giro di vite. Logico che non ci sia riuscito, ma sono in buona compagnia del mondo. Perché quel mistero è il suo fascino, l’allegoria delle sue assenze, l’alterità del suo titolo, il gioco delle cornici, la repressione sessuale… insomma, un viticcio di edera che si centuplica all’interno del racconto per occultarci sempre, in posizioni prospettiche diverse, una parte del tutto. Una specie di enigma che viene dal passato (Giro di vite è stato scritto e pubblicato nel 1898) attorno al quale, nel tempo, si sono avvicendate alcune, curiose digressioni interpretative che a quegli “spazi vuoti” hanno proposto un tentativo di chiarimento. Due provengono dal mondo dei comics. La prima, pubblicata nella mitica serie “Horror” di Gino Sansoni (primi anni Settanta), riscritta da Alfredo Castelli, si concludeva con Miss Giddens che uccideva a forbiciate “ambedue” i bambini per liberarli dalle presenze di Quint e Miss Jessell, un po’ come in certa cronaca nera che si legge di tanto in tanto si ammazza qualcuno perché è posseduto dal diavolo — una tesi che sposava l’interpretazione tradizionale freudiana, ovvero che i fantasmi esistevano soltanto nella testa della sessualmente frustrata istitutrice. La seconda, un capolavoro, ad opera di Guido Crepax (4) , in cui l’azione viene spostata negli anni Venti-Trenta del secolo scorso e il cui senso è ben spiegato in questo frammento introduttivo di Emilio Tadini:
“Una vera e propria variazione su un tema, quella di Crepax — su un tema, d’altra parte, che si presta senza dubbio a molte variazioni. Chi vede nel racconto? E che cosa è visto? Giro di vite è soprattutto la messa in scena di una complicata trama di sguardi. Lo sguardo quasi frenetico dell’istitutrice, lo sguardo vuoto della governante, lo sguardo fisso e astratto dei bambini e, infine, gli avidi sguardi dei morti. E sono gli occhi dell’istitutrice che costituiscono, qui, il vero io narrante e che mettono in atto tutti gli altri sguardi. Nel racconto per disegni di Crepax, lo sguardo dell’istitutrice diventa uno sguardo lettaralmente visionario. E’ uno sguardo che produce immagini — una vera e propria macchina, in luce, di qualche desiderio oscuro, segreto. L’istitutrice vede ciò che non esiste, o meglio: vede cose che esistono soltanto nella dimensione fantasmatica del suo sogno….. nel sogno lei offre il proprio corpo agli spettri che lei stessa ha creato. E si convince di essere la vittima sacrificale destinata a salvare i due bambini da quel desiderio sessuale che in realtà — nella metà segreta del suo incubo — lei sta appagando su di loro, sulla figura alterata dei loro corpi… Nel suo racconto, James va ancora più in là. Senza dire nulla esplicitamente, James provoca, e lascia proliferare nel lettore — che se ne faccia carico lui, personalmente — le immaginazioni più turpi e più crudeli.”
Già, Flora e Miles come doppelganger di Miss Jessell e Quint. Ma, prima dell’arrivo di Miss Giddens a Bly, quali cose spaventose potevano essere mai accadute tra i quattro — che in realtà sono sempre e solo due? Ci prova, a suo modo, a fornirci una risposta Peter Straub nel 1979 con il suo capolavoro Ghost Story (5), dove inserisce una sua propria rielaborazione da Giro di vite, nella quale il verbo “corrompere” jamesiano è sostituito dal più diretto “toccare” e dove Quint si chiama Gregory ed è più di un giardiniere, ovvero un fratello maggiore morto che regala allo spazio vuoto del 1898 un profumo totemico d’incesto.
Il tentativo più organico di esegesi appartiene però alla storia del cinema. E, per quanto la possibilità di trarne un film coinvolgente sia stata letteralmente gettata alle ortiche dalla pesantissima mano di Michael Winner, il copione di The Nightcomers merita ancora oggi di essere segnalato per l’audacia e la personale interpretazione della storia originale.
In realtà lo scrittore Michael Hastings non fece altro che dar corpo a tutte le suggestioni che chiunque ha provato vedendo il film di Clayton. Fantasmi o meno della mente di Miss Giddens, Quint e Miss Jessell prima di morire erano entrati in contatto con Flora e Miles. Di che natura era stato il loro rapporto? Reale, sessuale, o soltanto immaginata?
Bene, Hastings riempie i buchi di James con gli stessi fantasmi pre-adolescenziali che mi si scatenarono dentro quando vidi The Innocents. Giardiniere e istitutrice (“Quella donna è l’orrore degli orrori, e lui anche” — Mrs Grose) intrattengono un violento rapporto sadomasochista, una perversa relazione sessuale, di cui si compiacciono voyeuristicamente Flora e Miles (prima innocenti e non visti testimoni, poi incitati dagli stessi adulti a spiarli) che prendono a imitarli e a rappresentarli nei loro comportamenti, in una sorta di scellerato doppione dei loro cattivi maestri. Quando la relazione tra Quint e Miss Jessell finisce durante un ultimo appuntamento organizzato malignamente dai bambini, questi ultimi decidono di applicare alla lettera il comandamento principale della rozza filosofia di Quint: a volte è possibile uccidere qualcuno per amore. Così, divenuti ormai ambigui ed evanescenti mostri, ammazzano i due, facendo annegare lei e colpendo lui con la freccia di una balestra… In effetti, come in ogni buon apprendistato del Male, è stato Quint ad insegnare a Miles a tirare con l’arco.
Il film terminava proprio dove iniziava Suspense: Miss Giddens arriva a Bly e si presenta a Flora e Miles che le rispondono con il più angelico dei sorrisi, ma, dietro ai loro occhi, la camera ci mostra in sovrapposizione i volti di Quint e Miss Jessell. Volendo, un ulteriore buco: sono posseduti? Sono divenuti loro? Non ha molta importanza, in realtà: Miss Giddens sta per vivere un’esperienza poco simpatica.
“C’erano nel libro di James” dichiarò Hastings ai tempi (6), “solo due o tre vere allusioni al fatto che Quint fosse il responsabile del mutamento mentale dei bambini. Non esiste una reale indicazione di cosa Quint abbia fatto, eccetto che tu credi che l’istitutrice soffra terribilmente e che nasconda delle cose ai bambini. Quando ho capito questo fatto e ho compreso l’opera, ho intuito che James non aveva in realtà una lunga dimestichezza coi bambini perché è noto che quanto più nascondi ai fanciulli, tanto più loro ameranno sperimentare. Ecco perché ho pensato che era del tutto possibile che Quint potesse averli influenzati in un modo macabro e irreversibile, perché quei bambini sono proprio perspicaci, furbi, sempre apparentemente innocenti. Ma, se tu li chiudi a chiave in una casa con dei servitori e una grande proprietà da percorrere e da scoprire tutti i giorni, non ci saranno mai dei segreti. I bambini li scopriranno, sempre.”
Giusto. Peccato che Hastings e Winner abbiano barato. I loro Flora e Miles, probabilmente per motivi di censura o — peggio — per tenere a bada quei fantasmi preadolescenziali di cui sopra, hanno quattro anni in più rispetto ai Flora e Miles di James. Tredici e quattordici anni invece che gli “originali” nove e dieci. Per forza tutto fila…
In realtà l’enigma di Giro di vite è ancora tutto lì. Così ha da essere: per ricordare a tutti che viviamo sempre di più in una società di simulacri (fantasmi?) e che, ogni giorno di più, “la malattia mentale al potere” tenta d’imporre un regime di dis-percezione della realtà all’interno di una griglia mediatica (Bly House) in cui molti corrono il rischio di smarrirsi.
Bambini turbati, donne allucinate, fantasmi diurni. Quasi un esperimento comportamentale di “reazione alla visione”, come se James avesse aperto inconsapevolmente una finestra sul futuro. E molte cronache contemporanee sembrano traboccare di “giri di vite”. Leggete bene tra le righe.

1) J.E. Siegel, Val Lewton: the Reality of Terror, Seckor & Warbury, Londra, 1972.
2) Paolo Mereghetti (a cura di), Dizionario dei film, Baldini & Castoldi, Milano, 1993.
3) Goffredo Fofi, Capire con il cinema, Feltrinelli, Milano, 1977.
4) Guido Crepax, Giro di vite da Henry James, Olympia Press, Milano, 1989.
5) Peter Straub, La casa dei fantasmi, Mondadori, Milano 1982.
6) Bill Harding, The Films of Michael Winner, Frederick Muller Limited, Londra, 1978.