di Aldo Pigoli
ostaggiiraqx.jpg[da Equilibri.net]
Dall’organizzazione di colpi di Stato alla gestione pre e post-bellica in Iraq, mercenari e consulenti privati della sicurezza sono sempre più presenti ed attivi, in un panorama internazionale che fatica a riconoscerne l’esistenza ed a inquadrarne le attività.

Il 7 marzo 2004, le autorità di sicurezza dell’aeroporto di Harare, in Zimbabwe, hanno sequestrato un Boeing 727. L’aereo trasportava, oltre a diverso materiale bellico, 65 mercenari di varia provenienza, che avrebbe dovuto raggiungere un altro commando già presente in Guinea Equatoriale, per prendere possesso del palazzo presidenziale di Malabo (la capitale del Paese) e spodestare il presidente guineano Theodore Obiang Nguema, sostituendogli il leader dell’opposizione in esilio. Responsabile dell’operazione Nick Dutoit, un sudafricano di 48 anni, trafficante di armi e di diamanti. Lo stesso giorno, le autorità dello Zimbabwe hanno arrestato Simon Mann, un ex membro delle forze speciali inglesi Sas, è uno dei massimi dirigenti della Executive Outcomes (Eo), la più importante società di mercenari conosciuta al mondo anche se non più attiva da anni, nonché fondatore assieme a Anthony Buckingham di Sandline International, società britannica sorta dalle ceneri di Eo, e famosa per il suo intervento nella guerra civile in Sierra Leone, a fianco delle truppe governative, nel 1997.

Il 31 marzo, nella città irachena di Fallujah, 4 operatori di sicurezza della società statunitense Blackwater Security Consulting (BSC) sono stati trucidati dalla folla mentre a bordo dei loro fuoristrada percorrevano il famigerato “triangolo sunnita”.
Questi due episodi ravvicinati hanno portato nuovamente alla ribalta una questione spesso sottovalutata o addirittura sconosciuta: la presenza privata nei conflitti contemporanei.
Da un lato, infatti, sebbene apparentemente appartenenti ad un passato che la maggior parte dell’opinione pubblica considera remoto, i mercenari sono invece una costante in molte delle recenti guerre, in Africa come nel resto del mondo. Dall’altro, essi, non rappresentano che un aspetto, benché importante e peculiare, di un fenomeno molto più complesso delle odierne relazioni internazionali: la privatizzazione della guerra e della sicurezza, che vede nel conflitto iracheno il suo massimo esempio. L’orribile massacro di Fallujah ha così attirato l’attenzione sulla componente privata presente in Iraq, dove i “consulenti di sicurezza” sostituiscono i militari regolari in molti dei loro compiti.

Mentre l’attenzione generale è attratta dai cosiddetti conflitti asimmetrici (come quello iracheno) e dal fallimento del sistema collettivo di tutela della pace e della sicurezza internazionale delle Nazioni Unite, dietro le quinte si assiste alla lenta ma incessante espansione dell’intervento privato nella gestione della sicurezza e dei conflitti a livello globale (del quale i mercenari tout court garantiscono il continuum, costituendone allo stesso tempo la genesi e le espressioni più estreme ed incontrollate!).
Questo intervento è sempre più ramificato e tentacolare e interessa quasi ogni aspetto collegato con le attività collegate alla sicurezza di Stati, multinazionali, Istituzioni Internazionali ed Organizzazioni non Governative. Lo studio dell’attività mercenaria, passata e presente, mette in evidenza non solo l’evoluzione di questo fenomeno, ma ne fa emergere i principali attori. Così, al fianco dei mercenari tradizionali, a livello internazionale operano società private e vere e proprie multinazionali della sicurezza, che sono destinate, nel giro di pochi anni a detenere un vero e proprio monopolio nella fornitura di alcuni servizi militari e di sicurezza, un tempo di esclusiva competenza degli Stati.
Si tratta delle Società Private Militari e di Sicurezza, meglio conosciute come Private Military and Security Companies (comunemente definite PMC) e dei Military and Security Contractors (MSC, più generalmente chiamati Contractors), giganti economici statunitensi che assistono la grande macchina bellica di Washington fornendogli ogni tipo di servizio di supporto: logistica, Intelligence, manutenzione dell’arsenale bellico, etc… Questi soggetti, spesso collegati tra loro, sebbene con origini diverse, sfuggono ai numerosi tentativi di classificazione ed è difficile delimitare i confini delle loro attività, definendone le caratteristiche peculiari che li distinguono. Tuttavia, rappresentano ciò che potrebbe tranquillamente venire definita come una “rivoluzione nella gestione della sicurezza internazionale”.
In un mondo che fatica a rispondere alle molteplici sfide e minacce alla pace ed alla stabilità, mercenari, PMC e Contractors si candidano, ognuno a suo modo e con scopi spesso assai differenti, a gestire la sicurezza a livello internazionale.

I mercenari

L’attività mercenaria trova le sue radici in un passato assai remoto. Fin dai tempi antichi, infatti, nella storia dei conflitti militari civili ed internazionali, si è fatto ricorso a truppe non regolari, assoldate per rispondere a necessità contingenti e dissolte una volta terminata l’esigenza bellica.
Dagli eroi delle Guerre del Peloponneso, rese famose dagli scritti di Tucidide e Senofonte, agli italici soldati di ventura, ai violenti Lanzichenecchi e, infine, ai più nobili Samurai, vi sono infiniti esempi di come individui, gruppi o armate di combattenti siano stati assoldati per scopi bellici o di sicurezza nel corso dei millenni.
Sebbene manchi una definizione unica e onnicomprensiva delle varie realtà mercenarie, essi hanno rappresentato una costante in quasi tutti i conflitti combattuti nel passato. Da questo punto di vista pertanto, il mercenariato non è assolutamente da considerare un fenomeno marginale della storia militare. Anzi, l’analisi storica delle relazioni militari, porta ad evidenziare che l’elemento “privato” è di gran lunga superiore a quello “istituzionale”, ed è con l’avvento dello Stato nazionale e degli eserciti di leva che la gestione di guerra e sicurezza diventa “pubblica”.
Anche nel ventesimo secolo, comunque, in un mondo caratterizzato dai grandi eserciti nazionali, i mercenari hanno svolto un ruolo fondamentale per le sorti di molte guerre. In entrambi i conflitti mondiali, ad esempio, la loro presenza è stata più volte rilevante e molti sono gli episodi che li videro protagonisti di cui è riportata testimonianza (si pensi ad esempio ai piloti aerei di unità come la “Squadriglia Lafayette”).
Ma è soprattutto durante il periodo della decolonizzazione e con particolare riguardo al continente africano che il fenomeno mercenario ha avuto la sua apoteosi, assurgendo a vera e propria epopea, con tanto di personaggi eroici entrati nel mito.
L’Africa ha rappresentato il luogo dove l’attività mercenaria si è maggiormente affermata, trovando nei molti e lunghi conflitti che dagli anni Cinquanta ad oggi ne hanno infiammato la storia un vero e proprio “terreno di coltura”.
La vicende dei mercenari in Africa subsahariana, hanno inoltre largamente contribuito a dare una connotazione fortemente negativa al fenomeno mercenario, soprattutto a causa della crudeltà ed efferatezza di molti personaggi e ancor più del loro aperto razzismo nei confronti delle popolazioni indigene.
Dall’ex Congo belga, passando per le isole Comore e Seychelles, fino ai recenti e tristemente famosi episodi in Angola e Sierra Leone, i mercenari sono stati spesso elementi decisivi nel decidere le sorti di un conflitto.
Personaggi come Mike “Mad Max” Hoare, Christian Tavernier e Bob Denard hanno cavalcato l’epopea della decolonizzazione e hanno rappresentato quel continuum tra passato e presente che ancora oggi fa parlare di mercenari.
Bob Denard, ad esempio, è considerato il “grande vecchio” dell’attività mercenaria. Dal tentativo di appoggiare i ribelli congolesi contro il presidente Mobutu, nel 1967, al fallimento dei preparativi dell’ennesimo golpe alle isole Comore, l’ormai ultrasettantenne militare francese ha segnato la storia di molti conflitti, attività di guerriglia e colpi di Stato africani.
Il nome di Bob Denard è legato ha uno degli ultimi episodi di intervento mercenario “vecchio stile”. Nel dicembre 2002 alcune inchieste svolte presso i tribunali di Verona e di Torre Annunziata portarono a smascherare e bloccare sul nascere un tentativo di colpo di Stato per rovesciare il presidente delle Comore, Azali Assoumani. Bob Denard venne accusato di aver reclutato, organizzato ed armato una forza mercenaria (tra l’altro formata da ex personale militare e dei Servizi di Italia e Francia), in violazione della legge 205 del 1995, che vieta l’attività mercenaria. Inoltre, il vecchio mercenario francese è stato accusato di traffico internazionale di armi e di altri reati ad esso connessi.
Lo stesso episodio, citato all’inizio, dell’aereo fermato in Zimbabwe è emblematico per descrivere come attualmente si manifesta l’attività mercenaria tout court, e di come essa mantenga le proprie peculiari caratteristiche rispetto all’evoluzione avvenuta negli ultimi decenni della privatizzazione della sicurezza e della guerra.
Quanto accaduto rappresenta solo uno dei tanti episodi di attività mercenaria che sfuggono al controllo delle autorità statali e di quelle internazionali e che tutt’oggi trovano spazio e ragion d’essere nelle numerose situazioni d’instabilità politico-militare di molte regioni del globo.
L’attività di questi “soldati di ventura”, tuttavia, è quasi sempre stata caratterizzata da una sostanziale anarchia, sia nell’organizzazione della struttura utilizzata, sia dal punto di vista relazionale.
Un mercato limitato e frammentato, e l’assoluta peculiarità degli interventi richiesti facevano si che l’attività primaria svolta dai soggetti operanti nel settore fosse limitata al reclutamento del personale necessario, al suo addestramento ed al suo utilizzo nelle operazioni di volta in volta richieste.
Da questo punto di vista, l’offerta privata di servizi militari ha subito una radicale trasformazione: essa è passata da un modello ben conosciuto a livello internazionale, che si potrebbe definire tradizionale, rappresentato dalla figura del soldato mercenario, al più moderno esempio delle società militari private, i cui leader non sono più i temerari ed affascinanti “capitani di ventura” che hanno proliferato durante gli anni Sessanta e Settanta (anche se alcuni di questi personaggi calcano ancora la scena internazionale), ma vestono i panni di veri e propri businessmen, attori di un mercato, quello della sicurezza, sempre più globalizzato ed integrato.

Le Private Military Companies

Tale evoluzione ed il coinvolgimento massiccio di alcune PMC in alcuni conflitti degli ultimi anni, hanno fatto emergere l’esigenza, di approfondire la conoscenza del settore in questione e, soprattutto, di definire i soggetti che lo compongono. In particolar modo, da parte di alcuni governi occidentali (e specificamente l’iniziativa del governo britannico, del febbraio 2002, un Green Paper dal titolo “PMC: Option for Regulations”), si è avvertito il bisogno di procedere ad una classificazione delle varie tipologie di soggetti ed attori coinvolti.
Oggi si tende ad inserire gli attori operanti nel settore privato dei servizi militari in un unico grande contenitore definito dal termine Compagnie Private di Sicurezza e Militari (Private Security and Military Companies, PMC).
In teoria vi sono diversi modi di classificare l’attività mercenaria e, più in generale, la privatizzazione della sicurezza. Alcuni di questi prendono in considerazione la natura dei soggetti operanti, altri le funzioni da essi svolte, altri ancora il settore in cui essi operano, altri, infine, i fruitori finali dei servizi. La maggior parte degli esperti del settore ha cercato di effettuare una combinazione dei criteri sopra esposti. Il più comune è quello che individua tre categorie fondamentali:

1. i mercenari tout court, ossia individui che combattono per puro profitto economico, assoldati da governi legittimi ma, più spesso, da movimenti ribelli armati (Rientrano tra questi non solo i tradizionali gruppi mercenari guidati da leader come Christian Tavernier, Mike Hoare, ed il francese Bob Denard, ma anche la “Legione Bianca”, formata da combattenti serbi e assoldata dal dittatore zairese Mobutu nel 1996-97 per combattere i ribelli di Laurent Kabila);

2. le Private Security Companies (PSC), società impegnate nella fornitura di servizi di sicurezza al mondo pubblico e privato, ma che non intervengono direttamente nei conflitti armati;

3. le Private Military Companies (PMC), caratterizzate da un ampia gamma di attività, le più estreme delle quali comportano il supporto alle operazioni militari sul campo o, addirittura, l’intervento diretto.

Questa suddivisione, comprende anche la fattispecie dei mercenari, lasciando intendere che le altre due categorie non comprendano al loro interno individui o gruppi mercenari. Alcune realtà maggiormente vicine al mondo delle PMC, invece, propongono una classificazione che, escludendo a priori la categoria mercenaria, divide il settore della sicurezza privata in tre soggetti a seconda del grado di utilizzo della forza armata nell’ambito delle loro attività. E’ il caso del International Peace Operations Association (IPOA), un istituto statunitense che opera da vero e proprio Think Tank del settore dei servizi militari. Nel suo commento ufficiale al Green Paper britannico, l’IPOA proponeva la seguente distinzione:

Military Service Providers (MSPs)
NSPsNonlethal Service Providers PSCsPrivate Security Companies PMCs Private Military Companies
Mine ClearanceLogistics & SupplyRisk consulting Industrial Site ProtectionHumanitarian Aid ProtectionEmbassy Protection Military TrainingMilitary IntelligenceOffensive Combat
PA&EBrown & RootICI of Oregon ArmorGroupWackenhutGurkha Security Guards Executive Outcomes (Active)Sandline International (Active)MPRI (Passive)

Lo stesso Green Paper britannico individua 5 categorie: i mercenari, i volontari, il personale straniero incorporato nelle forze armate regolari, le società che si occupano della sicurezza delle imprese industriali, ed infine, le PMC vere e proprie.
Va evidenziato, che queste ed altre classificazioni, pur garantendo un discreto grado di chiarezza, presentano consistenti limiti. Infatti, una ripartizione rigida dei vari soggetti implicati nelle attività mercenarie, come la maggior parte di quelle proposte, rischia di imbrigliarne la descrizione. Ciò va a tutto svantaggio della comprensione di un settore caratterizzato da un altissimo livello di duttilità e flessibilità ed i cui contorni tendono a sfumare in realtà che trascendono l’ambito puramente militare e quello della sicurezza tout court. Questa complessità contribuisce a generare numerose perplessità in merito alla natura del fenomeno stesso. Per citarne solo alcune:

· quali sono i confini tra una PSC ed una PMC, ossia, quando si può parlare di partecipazione attiva in un conflitto armato e quando, invece, di semplice assistenza logistica alle forze in campo?;
· è possibile che una società nata come fornitrice di servizi di sicurezza, quali la protezione di impianti industriali, soddisfi nel tempo richieste più specificatamente connesse con attività militari?;
· ed oltre, che caratteristiche devono possedere le PMC ed i loro dipendenti per non essere considerati dei meri mercenari?

Vista la difficoltà di fornire una risposta esauriente a tali interrogativi, appare preferibile accedere ad una visione più fluida del fenomeno, che consenta di delineare, non tanto delle caratteristiche specifiche, ma un terreno di coltura entro il quale il mondo della sicurezza privata si può sviluppare, soprattutto in considerazione del fatto che i soggetti e le realtà con le quali le PMC vengono in contatto non sempre rientrano nelle varie classificazioni citate e, soprattutto, che molti dei personaggi che in passato svolgevano attività di tipo mercenario, formano la struttura portante dei consigli d’amministrazione delle varie PMC.
Per quanto riguarda le attività più direttamente connesse con l’uso della forza, uno spazio particolare merita la distinzione riguardante i fruitori dei servizi delle PMC. Spesso, per distinguere le attività di una PMC da quelle di natura espressamente mercenaria, si è soliti puntare l’attenzione sul cliente finale. Per molti esperti del settore, una PMC rivolgerebbe i propri servizi solo a governi legittimi, organizzazioni internazionali quali le Nazioni Unite, movimenti di liberazione internazionalmente riconosciuti ed appoggiati. Questo genere di approccio dovrebbe poter evitare, con ogni probabilità, situazioni, già accadute in passato, in cui società private siano state implicate in tentativi di colpi di Stato, o in contravvenzioni a disposizioni internazionali, quali gli embarghi sulla fornitura di armi o altri materiali, oppure, infine, nella violazione dei diritti umani. Gli esempi più noti sono quelli delle PMC Sandline ed Executive Outcomes, le cui attività sono legate principalmente ai conflitti in Sierra Leone ed Angola. I loro interventi hanno sollevato numerose critiche a livello internazionale e sono stati oggetto di studio e di indagine da parte sia delle Nazioni Unite, sia degli organismi preposti alla tutela dei diritti umani ed al rispetto del diritto internazionale, in generale.
Tuttavia, anche questo tipo di classificazione potrebbe risultare del tutto priva d’effetto qualora una PMC accettasse nel proprio statuto di rispettare tali principi per poi agire in violazione degli stessi attraverso altre società ad essa collegate (com’è accaduto in più di un’occasione in Sierra Leone, Angola e Repubblica Democratica del Congo ed in altri Paesi). La presenza di Simon Mann (fondatore della britannica Sandline) tra gli organizzatori del fallito golpe in Guinea Equatoriale conferma questa tendenza ed accresce timori e perplessità.
Anche in questo caso, quindi, appare più opportuno guardare all’ambiente in cui nascono, crescono e si riproducono tali soggetti, e alle attività che le vedono impegnate.

Le moderne PMC sono realtà strutturate ed articolate, la maggior parte delle quali assume le sembianze di ordinarie società di servizi, con i propri manager, i propri consulenti ed il proprio personale dipendente.
Le loro competenze coprono un’ampia gamma di esigenze. Esse vanno da quelle più direttamente legate al settore della sicurezza, a quelle espressamente concepite per supportare azioni militari sul campo.

Riassumendo, i servizi offerti dalle PMC riguardano principalmente:

· Consulenza (pianificazione operativa e ristrutturazione degli organici delle Forze Armate);
· Addestramento militare (rivolto agli addetti alla sicurezza, alle truppe regolari, e in alcuni casi, ai corpi militari d’élite);
· Supporto logistico (ad esempio nel caso di servizi di natura non esclusivamente militare o operativa, ai quali sempre più spesso ricorrono i comandi militari, i governi, le Organizzazioni Internazionali e non Governative).

Inoltre, esse possono riguardare attività di tipo prevalentemente bellico (rifornimento di armi, attività di Intelligence, attività di Polizia militare, trasporto di personale militare e materiale bellico, sostegno diretto alle operazioni militari.)
Non vanno dimenticate, infine, le attività tipiche di situazioni post-belliche (il monitoraggio post-conflitto ed elettorale; lo sminamento; la bonifica NBC, etc…). Fino ad oggi, le uniche PMC direttamente coinvolte in operazioni militari sul campo sono state le britanniche Sandline e Gurkha Security Group, e la sudafricana Executive Outcomes. Tuttavia, un numero non quantificabile di PMC ha svolto attività strettamente connesse con l’uso della forza armata in contesti di guerre civili e di conflitti internazionali.

La fine della Guerra Fredda e la riduzione degli organici degli eserciti nazionali hanno messo a disposizione del mercato della sicurezza privata un numero consistente di professionisti nel settore militare. Ciò ha contribuito ad innalzare notevolmente la qualità dei servizi proposti; il personale oggi alle dipendenze della maggior parte delle PMC è dotato di un alto livello di professionalità, di una grande esperienza sul campo, nonché delle conoscenze necessarie per poter utilizzare le tecnologie e le apparecchiature più sofisticate. Grazie all’enorme potenziale che possono dispiegare in termini di strutture, competenze e know-how, le PMC stanno soppiantando, poco a poco, la responsabilità primaria dello Stato nel provvedere sia alla sicurezza in generale, sia a determinati servizi riguardanti la protezione delle attività commerciali all’estero ed altre forme di interessi nazionali, di natura economica e non.

Il business internazionale della privatizzazione della sicurezza

L’aumento della domanda di sicurezza a livello internazionale costituisce un’opportunità economica a cui le PMC difficilmente possono rinunciare.
Si è così assistito all’interazione di queste realtà con sempre nuovi soggetti. Non sono più gli Stati istituzionalmente deboli ad essere i principali clienti delle PMC, ma anche i governi dei Paesi occidentali, le Istituzioni Internazionali, il mondo della cooperazione non governativa e delle organizzazioni umanitarie.
Le PMC, inoltre, operando su scala globale grazie ad un mercato in continua espansione, entrano spesso in contatto con multinazionali attive nel settore petrolifero e minerario e che, a causa delle situazioni di instabilità politico-militare in cui solitamente operano, necessitano di strumenti di sicurezza a protezione dell’incolumità dei propri dipendenti e a garanzia e tutela degli impianti.
Ma non solo: la privatizzazione della sicurezza si è dimostrata anche un ottimo investimento dal punto di vista finanziario. Negli ultimi anni, infatti, l’attività internazionale delle PMC è stata principalmente rivolta alla creazione di veri e propri network economici internazionali, con stretti collegamenti con vari settori del mondo dell’economia, soprattutto della Information Tecnology, e dell’alta finanza. (Molte sono, infatti, le PMC affiliate a società quotate in borsa). Negli Stati Uniti, ad esempio, si sta assistendo ad una rapida espansione di tale fenomeno, con l’acquisizione di PMC da parte di grandi aziende del settore IT. Quasi sempre, queste operazioni riguardano società con stabili rapporti con l’amministrazione statunitense, caratterizzati dalla fornitura di servizi e consulenze in svariati settori, quali quello informatico, dell’Intelligence economica e militare, quello aerospaziale e, con un sensibile incremento dall’11 settembre ad oggi, della sicurezza militare. Proprio la minaccia del terrorismo internazionale e la difficoltà dei vari sistemi statali (Stati Uniti in primis) a rispondere alle sfide da esso provenienti in ambito di sicurezza civile e militare, hanno contribuito ad imprimere una spinta robusta alla crescita di quello che sempre più esperti chiamano il settore delle multinazionali della sicurezza.
Un esempio su tutti è quello rappresentato dalla società Dyncorp.
La Dyncorp è una delle più vecchie PMC statunitensi (negli Stati Uniti si preferisce usare il termine più generico di contractors): con più di 23.000 dipendenti e tecnici dislocati in 550 sedi e uffici nel mondo, la DynCorp è un colosso finanziario che solo nel 2002 ha fatturato 1.359 milioni di dollari.
Buona parte dei suoi contratti riguardano forniture di servizi e know how al governo degli Stati Uniti e alle varie agenzie nazionali (Cia, Fbi, Dia) nonché alle Forze Armate. Ha un giro di affari di 2.3 miliardi di dollari, cifra che ha attirato gli appetiti di molte grandi corporations internazionali. Nel febbraio 2003, infatti, la Dyncorp è stata acquisita dalla Computer Sciences Corporation, Csc, una delle compagnie leader mondiali dei servizi IT.

I Military and Security Contractors

Gli Stati Uniti sono il principale esempio di come la responsabilità di provvedere alla tutela di persone, capitali e infrastrutture, in patria come all’estero, stia rapidamente passando nelle mani del settore privato. Ad un numero sempre maggiore di società, infatti, vengono affidati compiti di primaria importanza nella gestione della sicurezza, non solo da parte di grandi aziende e multinazionali, ma anche a livello governativo ed istituzionale in generale.

Anche le Forze Armate statunitensi fanno sempre più affidamento ai servizi di PMC e Private Military and Security Contractors (MSC). Dal 1994 al 2002, il Dipartimento della Difesa statunitense ha stipulato più di 3.000 contratti con società militari private statunitensi. Presenti in oltre 50paesi, producono un fatturato globale di circa 100 miliardi di dollari l’anno. Veri e propri giganti dell’economia, come la Halliburton attraverso la sua affiliata Kellogg Brown & Root, forniscono il supporto logistico a quasi tutte le missioni militari statunitensi. Altre società hanno assunto la responsabilità di gran parte delle attività di reclutamento e addestramento delle Forze Armate USA, inclusi i programmi di addestramento dei corpi della Riserva.
Durante la recente guerra in Iraq, ad esempio, il rapporto tra i dipendenti di società appaltatrici private e personale militare impiegati nel Golfo è stato, approssimativamente, di 1 a 10 (da 5 a 10 volte il rapporto esistente durante la guerra del 1991).
In pratica, i combattenti privati sono il contingente più numeroso in Iraq dopo quello statunitense. Sono circa 15.000 e guadagnano in media 1.000 dollari al giorno. Provvedono ai compiti più delicati, come nel caso della scorta di Paul Bremer, il governatore americano.
Hanno organizzato e gestito i war-games ed i campi d’addestramento prima dell’invasione, mentre durante il conflitto i dipendenti di numerosi MSC si sono occupati sia della logistica che del supporto tecnologico necessari alle forze della coalizione anti-Saddam. Tra i vari compiti, ad esempio: la revisione e la manutenzione di armi ed equipaggiamenti, compresi quelli più sofisticati, come i B-2 Stealth, i cacciabombardieri F-117 Night Hawk e gli aerei da ricognizione U-2. Inoltre personale privato ha contribuito alla gestione delle missioni in cui sono stati impiegati i velivoli UAV (Unmanned Aerial Vehicle) Global Hawk .
Non va dimenticato, infine, il ruolo che queste società private stanno giocando tuttora in Iraq, occupandosi della formazione e dell’addestramento delle milizie, della polizia e delle Forze Armate post-Saddam (ci si riferisce in primo luogo a gruppi quali Dyncorp, Kroll, Vinnell e Blackwater/BSC).
I quattro “civili” trucidati a Fallujah facevano parte di un gruppo di circa 400 “consulenti” dipendenti della BSC, società statunitense con sede nella Carolina del Nord, in una tenuta che è una vera e propria area militare, con poligoni di tiro per ogni genere di armamenti. La stessa società, nel 2002, ha stipulato un contratto con il Pentagono per 35 milioni di dollari per addestrare i corpi scelti della marina statunitense.

Infine, i dipendenti di alcuni MSC stanno sostituendo il personale militare statunitense nella formazione e nell’addestramento delle Forze Armate di paesi stranieri, come nel caso dei programmi ACRI e ACOTA, sviluppati dal Dipartimento di Stato USA per migliorare le capacità militari degli Stati africani, in particolare per quanto riguarda la creazione di forze di reazione rapida e unità, a livello di battaglione, per missioni di peacekeeping (attività che vedono impegnata la società MPRI), oppure per garantire il controllo delle frontiere in attività di lotta al terrorismo (come la Pan Sahel Initiative, che vede attive in Niger e Ciad la società Pacific Architects & Engineers, PA&E, di Los Angeles)

PMC e Peacekeeping

L’espandersi del campo di azione delle PMC è arrivato addirittura ad interessare anche un settore da sempre di competenza esclusiva dello Stato e delle Istituzioni Internazionali: quello del mantenimento della pace. Da questo punto di vista sta sempre più emergendo la prospettiva di sfruttare i servizi delle PMC in attività di peacekeeping, per sopperire alle carenze manifestate in questo settore dalle Istituzioni Internazionali e Regionali e, soprattutto, per svincolare gli Stati dai relativi obblighi e dalle conseguenti responsabilità.
Pertanto, in concomitanza con lo sviluppo della privatizzazione della sicurezza, negli ultimi anni si è andata sempre più diffondendo l’idea di utilizzare personale e strutture delle PMC nelle missioni di peacekeeping. In particolare, le maggiori società statunitensi ed internazionali, stanno conducendo un’opera capillare di pressione politica ad alto livello, sfociata nella creazione di una vera e propria lobby facente capo all’Associazione per le Operazioni di Pace Internazionali (la già citata International Peace Operations Association – IPOA).
L’IPOA è un’organizzazione che ha sede negli USA, sovvenzionata dalle società militari private, il cui scopo dichiarato è quello di aumentare il ruolo del settore privato nel campo del mantenimento della pace. Secondo i sostenitori di tale iniziativa, le PMC potrebbero costituire uno strumento fondamentale per quanto riguarda il mantenimento della pace in diversi ambiti.

A) Innazitutto, esse potrebbero realizzare operazioni di supporto generico. Alcune PMC forniscono già i propri servizi per quanto riguarda il trasporto, le comunicazioni, e la logistica per le operazioni militari di molti Stati, primi tra tutti gli USA. Anche nel Regno Unito si sta assistendo allo stesso fenomeno, con 1.100 dipendenti della società Control Risks Group che hanno preso parte alla recente guerra in Iraq a fianco delle truppe regolari britanniche.
Queste funzioni, inoltre, sono quelle dove emergono maggiormente le carenze delle strutture militari dei Paesi meno sviluppati. Assegnando questi servizi a collaboratori esterni e creando una standardizzazione dell’intero sistema di peacekeeping delle Nazioni Unite, si potrebbe ottenere una sinergia tra l’azione dei contingenti ufficiali e l’opera fornita dal settore privato. Un primo passo in questa direzione è rappresentato dai stipulati tra le stesse Nazioni Unite e le società PA&E e International Charter Incorporated of Oregon per la fornitura di supporto logistico e aereo alle forze di peacekeeping in Liberia e Sierra Leone.

B) PMC e MSC potrebbero addirittura fornire una “Forza di reazione rapida”. Unità “noleggiate” ad hoc potrebbero servire da “Truppe d’élite” all’interno dei contingenti ONU in operazioni di pace regolarmente autorizzate dal Consiglio di Sicurezza. Di fronte a situazioni di grave instabilità politico-militare, nelle quali i “Caschi Blu” non si dimostrino all’altezza dei compiti e l’inattività degli Stati impedisca l’invio di nuove forze, le PMC potrebbero fornire una struttura flessibile e facilmente impiegabile. L’IPOA ha sostenuto diverse proposte di questo tipo, ad esempio nel caso delle operazioni dell’ONU in Burundi e nella Repubblica Democratica del Congo.

C) Affidando le operazioni di peacekeeping a strutture private. L’opzione più controversa e foriera di polemiche è quella che prevede di assegnare completamente lo svolgimento delle varie operazioni alle PMC. Il caso a cui si fa più spesso riferimento per giustificare tale visione è quello del genocidio ruandese del 1994. Lo stesso Kofi Annan, allora a capo dell’Ufficio per le Operazioni di Peacekeeping (PKO) delle Nazioni Unite, prese in considerazione l’opportunità di assoldare truppe mercenarie per fronteggiare la grave crisi militare ed umanitaria in atto (nella fattispecie rappresentate dai dipendenti della sudafricana Executive Outcomes, che secondo quanto riportato da diverse fonti, avrebbe offerto una forza d’intervento pronta in due settimane ad un costo di circa 30 milioni di dollari al mese). Tuttavia, l’attuale Segretario Generale dell’ONU ammise la necessità di rinunciare a tale ipotesi, ritenendo i tempi non ancora maturi per tale scelta (e l’opinione pubblica internazionale non pronta ad accoglierne favorevolmente impiego e conseguenze).

E’ indubbio che l’affidamento di una missione di mantenimento della pace a strutture appartenenti al settore privato significherebbe trasformare radicalmente la natura e gli strumenti dell’intero settore del peacekeeping. Ciò comporterebbe una serie di variabili il cui impatto sulla realtà interessata nonché sull’intero sistema delle relazioni internazionali sarebbero difficili da calcolare a priori. Tuttavia, è altrettanto vero che tragedie come quella ruandese costituiscono delle ferite ancora aperte, tanto più che la Regione dei Grandi Laghi è tuttora piagata da conflitti armati e guerre civili, che gli interventi delle Nazioni Unite faticano a risolvere e ad arginare.

Queste prospettive, mostrano che il tema della privatizzazione delle funzioni militari abbia ormai raggiunto una diffusione capillare a livello globale che giustifica tutta una serie di approfondimenti e studi. Due aspetti in particolare, oltre a quelli già affrontati, meritano un approfondimento ulteriore: le connessioni di compagnie private della sicurezza con il mondo dei traffici internazionali illeciti (in particolare quello delle armi) e la regolamentazione dell’attività mercenaria e della privatizzazione della sicurezza a livello internazionale.

Attività mercenaria, PMC e traffico internazionali illeciti

Il reperimento delle armi, e la loro diffusione è uno degli aspetti salienti delle attività illecite alle quali possono partecipare mercenari e società private militari.
La connessione fra mercenari e traffici illeciti è molto stretta, così come ha più volte sottolineato il peruviano Enrique Bernales Ballesteros, Incaricato Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per indagare sull’utilizzo dei mercenari nei vari conflitti armati. Secondo quanto riportato nei suoi rapporti all’Assemblea Generale dell’ONU, sono molte e varie le forme di associazione criminale che coinvolgono i mercenari e le loro attività e principalmente il traffico illecito di armi. Mercenari sono infatti spesso presenti nelle operazioni di traffico illecito. Inoltre essi vengono ingaggiati come piloti o ingegneri di volo per il trasporto di armi, come intermediari nella vendita di armi o come istruttori nell’uso delle armi e del materiale bellico venduti, e nell’addestramento di truppe e gruppi paramilitari.
Le occasioni di contatto fra i trafficanti di armi e i mercenari si sono accresciute negli ultimi anni, soprattutto in relazione alla crescente tendenza di queste ultimi a svolgere un ruolo cruciale negli esiti dei conflitti interni in Paesi come la repubblica Democratica del Congo ed altre realtà africane e non. L’importanza “strategica” di queste connessioni è tale che i network della criminalità internazionale e i maggiori operatori illeciti del settore degli armamenti hanno sviluppato, e tendono ad approfondire, rapporti stabili ed organici con i soggetti connessi all’attività mercenaria.
I punti di convergenza fra il commercio delle armi e il business dei mercenari si sono, quindi, moltiplicati favorendo non soltanto la contiguità fra i mercati leciti ed illeciti, ma anche l’ingresso di soggetti economici ed imprenditoriali operanti in settori apparentemente lontani sia da quello della produzione e vendita degli armamenti, sia da quello militare e della sicurezza. Questa sovrapposizione di interessi economici è sfruttata e stimolata ampiamente dai grandi network criminali internazionali, che attraverso i legami con i mercenari (ed anche con alcune società militari private) ottengono una serie di reti relazionali nei paesi di sbocco del traffico di armi, comprendenti membri delle istituzioni politiche ed amministrative e delle Forze Armate ed esponenti delle élites economiche. Ciò è tanto più vero se si pensa che l’universo mercenario annovera sempre più spesso ex membri dei servizi di Informazione e Sicurezza, provenienti soprattutto dalle fila dell’ex KGB, ma anche dal Mossad e da analoghe strutture di Paesi occidentali.
Nel recente passato, un esempio evidente ed allarmante di come operi questo sistema di alimentazione del traffico internazionale di armi è stato offerto dai rapporti intercorsi tra alcuni personaggi implicati nelle vicende dell’Angola. In particolare, il traffico di armi in Angola si sarebbe svolto sulla base di un connubio fra esponenti di spicco della criminalità organizzata russa, ex membri dei servizi segreti e di Intelligence, principalmente israeliani, e personaggi politici occidentali. Il caso dell’Angola è stato svelato dalle indagini effettuate dai giudici francesi, che hanno portato alla scoperta di una serie di insospettate connessioni fra gli ambienti politici francesi e soggetti della criminalità internazionale coinvolti nei traffici di armi e diamanti. Lo scandalo maggiore è quello noto come “Angolagate”, che ha portato all’arresto del figlio dell’ex Presidente francese François Mitterand.
Il caso dell’Angola ha mostrato la presenza di connessioni sempre più strette fra il traffico di armi, il circuito delle materie prime da offrire in contropartita dell’approvvigionamento e l’attività mercenaria. Tali legami non sono più basati, oggi, soltanto sul semplice incontro fra domanda ed offerta e, quindi, sullo schema classico del mercato, sia pure funzionante con modalità talvolta complesse e sfuggenti. Attualmente, si può dire che si sia verificata una sorta di sovrapposizione tra i mercati, leciti ed illeciti, delle armi, delle materie prime e della sicurezza. Tale sovrapposizione è visibile soprattutto con riferimento a molte realtà interne di Paesi africani, ma non sarebbe limitato solo a tale contesto. Tale commistione di interessi ha addirittura favorito, in diversi casi, quelle cellule del terrorismo internazionale che, soprattutto dopo l’11 settembre, hanno dovuto diversificare le proprie fonti di accesso alle risorse e ed all’approvvigionamento delle armi. Il mondo dell’Intelligence di tutti i Paesi occidentali, sulle tracce di Bin Laden e dei componenti di al Qaeda, è sempre più attenta al traffico illecito di armi, la cui mappatura è ritenuta uno strumento utile ad individuare i canali di rifornimento utilizzati, in modo da ricostruirne, con un buon margine di approssimazione, le reti terroristiche. Un esempio di quanto stretti siano tali connessioni è dato dall’opera di personaggi come Viktor Bout, Leonid Minim, Sanjivan Ruprah e Arkadji Gaydamak, tra i principali esponenti del traffico internazionale di armi e dello sfruttamento delle risorse minerarie, molto legati ad alcuni gruppi del mondo della privatizzazione della sicurezza.
Un esempio su tutti di come alcuni di questi personaggi operino è dato dalle dinamiche sviluppatesi nel conflitto nella Repubblica democratica del Congo. Nelle regioni orientali di questo vasto Paese il legame tra a) sfruttamento delle risorse economiche a fini speculativi; b) traffico internazionale di armi; c) permanere dell’instabilità militare; d) presenza di Pmc, ha dato vita ad un sistema autoalimentante, in cui mercenari e PMC giocano un ruolo primario. Le numerose prove emerse da studi condotti dalle Nazioni Unite, da enti di ricerca governativi locali e da organizzazioni internazionali indipendenti, fanno emergere in maniera evidente l’esistenza di un vero e proprio “mercato di guerra”. Si parla in questi casi di commercial war, dove lo sfruttamento delle risorse economiche di un paese è solo lo strumento attraverso il quale si costruiscono veri e propri network, dotati in un elevato grado di complessità, in cui a traffici leciti si sovrappongono attività illecite, quasi sempre su scala internazionale, spesso in violazione di norme di diritto internazionale, come gli embarghi sul commercio di determinate risorse minerarie o, ancora peggio, sul traffico di armamenti. Le attività organizzate per sfruttare le risorse economiche del paese in conflitto sono solamente il primo livello di una struttura più ampia e articolata. Esse servono non solo a finanziare i belligeranti e ad arricchire i vari operatori, bensì, a mantenere e sviluppare tutta una serie di altre realtà che contribuiscono a mantenere attivo un network di illegalità nel quale possono proliferare ed arricchirsi anche soggetti legati al settore della privatizzazione della sicurezza.

Mercenari, PMC e regolamentazione internazionale

Questi aspetti e la presenza massiccia di forze armate private nella maggior parte dei conflitti militari scoppiati dall’inizio degli anni Novanta ai giorni nostri, ha sollevato numerosi dubbi per quanto riguarda le implicazioni politiche, economiche ed umanitarie dell’utilizzo di truppe mercenarie in situazioni di crisi politico-militare. In particolare, l’attenzione internazionale si è incentrata sul ruolo, spesso cruciale, svolto dai mercenari nell’influire sulle sorti di un Paese in conflitto, e sui numerosi spillovers derivanti dalle loro attività. Tali conseguenze riguarderebbero, in particolar modo, la minaccia alla sovranità di uno Stato, lo sfruttamento delle sue risorse economiche e naturali e la violazione dei diritti umani, soprattutto nel caso, assai frequente, di un conflitto interno.
L’evoluzione vissuta dalle PMC negli ultimi anni ed i continui mutamenti nel contesto della sicurezza internazionale, hanno reso necessario rivedere la disciplina normativa riguardante l’attività mercenaria nelle sue varie forme e manifestazioni. La regolamentazione delle PMC, delle loro attività e delle società ad esse collegate suscita particolare interesse nella Comunità Internazionale anche e soprattutto per la prospettiva ampiamente discussa, come visto in precedenza, di un possibile utilizzo delle PMC in azioni di prevenzione dei conflitti e mantenimento della pace.
La trattazione dell’attività mercenaria nel diritto internazionale ha origini antiche, soprattutto per le strette connessioni con le materie del diritto dei conflitti armati e del diritto umanitario. Essa però ha ricevuto un significativo impulso solo durante il Ventesimo secolo ed, in particolare, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Tuttavia, nonostante i notevoli sforzi prodotti per individuare una definizione universale dei mercenari e delimitarne gli ambiti di azione, la loro posizione giuridica, sia a livello nazionale che internazionale rimane tuttora ambigua. In particolar modo, essa è ancora largamente ispirata allo stereotipo del mercenario quale soldato professionista prestatore di attività militari in territorio straniero.

Attualmente, a livello internazionale vi sono tre strumenti principali atti a regolare l’attività mercenaria:

· L’art. 47 del I Protocollo aggiuntivo delle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1977;
· La Convenzione dell’Organizzazione per l’Unita Africana per l’Eliminazione dell’Attività Mercenaria in Africa (CEMA), del 1977;
· La Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite contro il Reclutamento, l’Utilizzo, il Finanziamento e l’Addestramento dei Mercenari, del 1989.

In particolare, la Convenzione del 1989 è l’unico strumento applicabile universalmente nei confronti delle attività mercenarie e delle PMC. Essa è stata elaborata come riposta all’espansione delle attività mercenarie ed all’evoluzione dei soggetti ad essa connessi. Ha come principale obbiettivo quello di richiamare il divieto, presente nella Carta delle Nazioni Unite, all’utilizzo e la minaccia della forza contro l’integrità politica e territoriale degli Stati. La sua maggiore utilità è quella di fornire un punto di riferimento internazionalmente accettato, per l’opera legislativa interna degli Stati che l’hanno firmata. Tale documento è entrato in vigore solo il 20 ottobre 2001. Esso soffre di numerosi limiti, soprattutto per quanto riguarda il problema della definizione di attività mercenaria e non prende in considerazione la categoria delle PMC e, tantomeno, può essere utilizzata nel regolare l’attività del settore della sicurezza privata, così come esso si è evoluto.
Anche per quanto riguarda la legislazione interna dei singoli Stati si riscontrano gravi lacune. Pochissimi Stati (in particolare il Sudafrica) hanno prodotto documenti normativi ad hoc ed innovativi, mentre nella maggior parte dei casi continuano a permanere strumenti vetusti o addirittura normative adattate successivamente alla materia in questione pur essendo state concepite per ambiti diversi (esempio gli USA)
Per questi motivi è avvertita da molti la necessità, a livello nazionale ed internazionale, di ridefinire giuridicamente l’intero settore della privatizzazione della sicurezza, tenendo in considerazione non solo le trasformazioni sin qui avvenute, ma creando un alveo giuridico ed interpretativo più ampio e duttile, in modo da poterne comprendere evoluzione e sviluppi futuri.
In quest’ottica era stata intesa sia l’opera del Relatore Speciale delle Nazioni Unite Ballesteros (si pensi al rapporto del 2002 “The Use of Mercenaries as a Means of violating Human Rights and impending the Exercise of the Right of People to Self-determination”) e l’iniziativa del Green Paper del governo britannico del febbraio 2002 (“PMC’s: Options for Regulation”). Entrambi questi esempi, tuttavia, non sono stati ulteriormente sviluppati non venendo trasformati né concrete iniziziative politico-diplomatiche, né in opere di codificazione giuridica.

Conclusioni

Il settore della privatizzazione della sicurezza è un ambito delle relazioni internazionali in continuo progresso e trasformazione, che sarà senz’ombra di dubbio uno dei principali argomenti di interessi negli anni a venire.
Appare importante studiare ed analizzare i vari aspetti che lo caratterizzano (attività mercenaria, PMC e peacekeeping, regolamentazione internazionale, etc…), riuscendo a distinguerne le caratteristiche costanti e le linee evolutive. Da questo punto di vista è opportuno affrontare l’intero settore con un approccio globale, scevro da luoghi comuni o da preconcetti che sicuramente non ne aiutano la comprensione e la definizione.
La comunità internazionale deve tener conto del mutamento avvenuto nei modelli della sicurezza internazionale, soprattutto alla luce della natura delle minacce che deve affrontare, la maggior parte dei quali riguardano realtà interne agli Stati, e del crescente problema del terrorismo internazionale e riflettere questo nei meccanismi di risoluzione dei conflitti che pone in essere.
Considerando PMC e MSC, quello che appare mancare è una loro legittimazione formale, una regolarizzazione normativa delle loro attività e il controllo della loro forza militare.
In particolare, la probabilità che attori privati diventino uno strumento nella risoluzione dei conflitti, sembra oggi un’opportunità remota, ma cresce la percezione che in futuro ne venga previsto l’utilizzo, anche e soprattutto nel settore del mantenimento della pace.
Infine, non va sottovalutata la costante sostituzione dei “consulenti della sicurezza” ai militari regolari nella preparazione, nella gestione e, talvolta, nello svolgimento stesso dei conflitti. Quello dell’Iraq è un esempio da prendere in considerazione con grande attenzione e senso critico, soprattutto per le implicazioni future di tale fenomeno.