lecarre73.jpg[Oggi compie 73 anni John Le Carré, il massimo autore mondiale di spy story. Lo omaggiamo con un significativo intervento di parte cubana, che rivela una trasformazione inattesa del personaggio apologetico della democrazia occidentale da Guerra Fredda]

Un altro John le Carré?
di Rolando Pérez Betancourt
Considerato da molti come il più grande scrittore di “spy story” di tutti i tempi, l’inglese John le Carré, con la pubblicazione del suo ultimo libro, Amici assoluti, si è trasformato in un appestato per l’ala conservatrice britannica che per anni ha fragorosmanete applaudito i suoi gialli anticomunisti.

Per quasi 40 anni le Carré si è servito della Guerra Fredda per scrivere i suoi romanzi, con i quali il “mondo democratico”, grazie agli agenti di talento e ben preparati del servizio segreto, si contrapponeva alle “sinistre manovre” del comunismo internazionale. Una carriera di successi che arrivò dopo il suo primo romanzo, La spia che venne dal freddo, scritto con vissuti raccolti durante la costruzione del muro di Berlino e quando l’autore lavorava a Bonn come diplomatico.
Di fronte alle insinuazioni sulle sue storie che venivano definite “esperienze molto vicine”, le Carrè negò sempre di essere appartenuto ai serivizi segreti del suo paese. Negazione che pochi anni fa, lui stesso ha fatto a pezzi aprendo una porta veritiera sulla sua vita.
Sin dai tempi in cui era studente universitario fu reclutato per spiare i suoi compagni, soprattutto quelli che avevano una simpatia smisurata per l’Unione Sovietica. Così, l’educato ragazzotto di Eton, con un posto nel Ministero della Difesa e più tardi nel Foreign Office, fu per metà della sua vita — “e per convizione”, secondo quanto dichiarato — un uomo con due facce, di cui la principale era per l’M6 “al serivzio di sua Maestà”.
John le Carré, stretto in uno scenario di un mondo che non considera più “un teatro umano” con cui nutrire le sue storie, rivede la tenace ideologia del bene contro il male, non dal punto di vista dello scrittore arricchitosi con i suoi libri e che “vedeva tutto con gli occhi di colui che aveva appena avuto accesso alla realtà”, come ha recentemente dichiarato in un’intervista pubblicata nel giornale Le Monde. Da un po’ di tempo a questa parte, la partecipazione di le Carré ai dibattiti internazionali di questa ardente Terra che oggi invoca con urgenza la lucidità umana, fa pensare alla decorosa posizione di qualcuno che si dibatte e si rifiuta di continuare ad andare avanti alla cieca, impacciato dalle vecchie convinzioni ideologiche di una macchina con troppi detriti di morte sulle spalle.
Già alla fine dello scorso anno, partecipando al dibattito globale di Open Democracy sull’invasione dell’Iraq, le Carré rispondeva: “Gli Stati Uniti sono entrati in uno dei loro periodi di follia storica, ma a quanto ricordo, questo è il peggiore. Peggiore del maccartismo, peggiore della baia dei Porci, e a lungo termine, potenzialmente ancora più disastroso della guerra del Vietanam”.
Per l’ex diplomatico, ex spia e scrittore di bestseller, la trama che ha davanti a sé si presenta molto chiara: “Questa guerra imminente era già stata pianificata anni prima che Osama bin Laden attaccasse, ma è stato Osama a renderla possibile. Senza Osama, la giunta di Bush avrebbe continuato a cercare di spiegare gli aggrovigliati temi come quello sul modo con cui è riuscita a vincere le elezioni; sull’Enron; sui suoi svergognati favori a coloro che sono troppo ricchi; sul suo irresponsabile disprezzo verso i poveri del mondo, verso l’ecologia e verso una quantità infinita di trattati internazionali derogati unilateralmente. Forse dovrebbe anche spiegarci perché appoggia Israele nel suo costante disprezzo per le risoluzioni della ONU”.
Non è strano che i conservatori che un giorno decorarono John le Carré, oggi lo ripudino per la sua partecipazione attiva contro l’egemonismo degli Stati Uniti e dei suoi scudieri, e critichino ferocemente il suo ultimo libro in cui “il Maestro della spy story”, in altri tempi considerato tale da quegli stessi, fa risuscitare due vecchi agenti degli anni sessanta e li porta nel presente per inserirli in una trama dominata dai problemi della globalizzazione, del terrorismo e dell’invasione dell’Iraq. Un romanzo definito dal suo autore, un’urgenza politica (“ho avuto l’impressione di non avere mai scritto prima tanto a caldo e dettato dall’ira come questa volta”) e che mette gli Stati Uniti alla gogna.
Nella recente intervista a Le Monde, le Carré critica Tony Blair: “Si è ingannato o lo hanno ingannato sulle informazioni che hanno giustificato la guerra in Iraq… una sensazione di sgradevolezza si è insinuata nell’ordine mondiale, qualcosa che è guidato dalla follia puramente ideologica”.
L’autore spiega che il suo libro contiene l’idea che con la menzogna si può distruggere e che l’ingiustizia può trionfare anche sulle persone intelligenti. Le Carré si lamenta del fatto che dopo la Guerra Fredda “avremmo potuto fare molto, ma nessuno ci guidò e il libero commercio venne esportato in tutto il mondo”. “Gli esperti hanno calcolato che permettere che gli africani accedano all’acqua potabile costerebbe venticinque milioni di dollari ad ogni paese di quel continente. Ci sono cose che si possono fare e che secondo me costituiscono un vero inzio di risposta alla guerra contro il terrore. Più si accentuerà il libero mercato, il potere delle società commerciali… più aumenteranno la miseria e le uccisioni”, ha affermato le Carré. E sugli ultimi due anni lo scrittore ha detto: “Improvvisamente, i paesi dell’ex blocco dell’est hanno abbracciato il capitalismo con lo stesso fervore con cui altri avevano aderito al comunismo. Quello che dopo si è verificato è stata la conseguenza di questo fallimento, del fallimento dell’immaginazione e dell’altruismo, della mancanza di visione, di saggezza e del senso comune… bisogna trovare nuove forme di protesta e d’espressione popolare”.
Un altro John le Carré?
Rispondere alla domanda con precisione matematica non è poi così importante. Lo è di più esprimere un desiderio personale: lunga vita e molti libri a questo le Carré che si affaccia.

[da Granma Internacionàl]