prov.jpgDal centro di irradiazione primitiva del tumore è arrivata forse la cura. O forse no. Stona, in effetti, con qualunque presa di coscienza di cosa ci riserverà il prossimo biennio, questa ubriacatura euforica, questo saldo di fine stagione di completi azzurrati, questo facile corrugarsi delle fronti degli ex fascisti: un’Italia da operetta, al solito. C’è poco da stare allegri, i pericoli più seri per la tenuta democratica del Paese arriveranno a breve. Che il voto per la provincia di Milano sia assurto a emblema della sconfitta definitiva di Berlusconi è indicativo dello stato da avanspettacolo a cui si è ridotta in Italia l’analisi politica. Se un effetto ha avuto questa tornata elettorale, è quello di avere comunicato ufficialmente al magnate brianzolo che rischia sul serio di perdere la nazione. Vale a dire: l’unico effetto plausibile di queste europee ed amministrative è fare invelenire le colombe e non rendere candidi i serpenti. Il peggio sta per arrivare.

La provincia di Milano conta poco, almeno quanto a effettiva amministrazione dei poteri. Conta il consiglio comunale e la regione, contano cioè Albertini e Formigoni. Da qui non ci si schioda. A Milano il centrosinistra non ha in mano un nome che sia uno da presentare alla battaglia per il posto di sindaco, una lotta senza quartiere (nel senso che a Milano ce li scordiamo, ormai, i quartieri…) contro Fidel Confalonieri, candidato già designato da Berlusconi e dagli amici della Scala, cioè, secondo briantee intenzioni, il cuore culturale della palude meneghina. Si sussurra in ambienti ulivisti milanesi: il candidato, a questo punto, sarà Filippo Penati. Un’euforia che non è arte, ma arto, e precisamente l’eterno tallone d’Achille della sinistra. Quando, nel ’75, fu registrata l’avanzata rossa alle amministrative, il risultato fu sotto gli occhi di chiunque quanto alla gestione nazionale: credere che i risultati delle locali siano esportabili sul piano nazionale ha sempre ottenuto risposte assai cupe. Bisogna capire che le amministrative, nei capisaldi del reazionariato, sono prove in cui i cittadini si permettono di fottersene o di osare. Il coro di entusiasmi che proviene dal quartier generale di Penati non totalizza esattamente il medesimo peso delle lacrime sparse dallo headquarter della cabarettista Ombretta Colli. Berlusconi, sia su scala nazionale che locale, ha impostato queste elezioni come un referendum su di sé e i risultati del suo governo: è stato punito, ma si sospetta che il risultato negativo sia dovuto anche al fatto che il referendum non era tale – non avrebbe prodotto alcun risultato.
Il centrosinistra vince per i demeriti scandalosi del governo Berlusconi e non per la proposta effettiva di un modello alternativo e positivo di gestione della cosa pubblica da parte del centrosinistra. Il Cavalier Banana fa da paravento alle magagne progressiste, ma è chiaro che, al momento, l’Ulivo non ha la forza propulsiva per imporsi. Riporto soltanto una delle voci di corridoio che si rincorrevano in affidabili ambienti questa settimana: se Prodi non va, allora Montezemolo. E’ uno stile politico (si fa per dire…) che abbiamo già visto sfilare, un prêt à porter imbarazzante, un compromesso insostenibile, non augurabile nemmeno ai peggiori nemici. Il rischio effettivo: una sinistra pallida e tecnocratica, che monta sull’entusiasmo dirigenziale dopo una vittoria di otto punti nella provincia milanese.
D’altro canto, è vero che Milano, sul piano simbolico, riveste un valore altissimo per Berlusconi. Milano è la broda primordiale in cui è nato, prosperato e si è affermato il progetto impolitico berlusconiano. Vorrei che fosse chiaro, rispetto alla tronfia allegria delle élites (Rosellina Archinto e Inge Feltrinelli che rinunciano al week end per votare Penati e mobilitano i loro parquet: sul Corriere di venerdì), che il voto milanese è la solita anomalia di mezza stagione. Quando il gioco si farà duro, voglio vedere le lobby dei commercianti, dei taxisti e degli interessi finanziari cosa faranno. Le élites milanesi sono quelle, non le listelle di legno lucidate col Fabello in zona Brera.
Chi avesse scordato l’icona più surrealista del recente passato politico milanese, cioè l’ex assessore Philippe Daverio, è stato oggi costretto a riesumarne la memoria sempre grazie al Corriere. In una patafisica intervista sul quotidiano di via Solferino (la cui direzione viene data insistentemente per moribonda), il farfallato gallerista, già in quota Lega, osserva come la Lega conti ancora a Milano (e in effetti, alle europee/provinciali, ha totalizzato l’8.5% in città), ma sia destinata a un declino generazionale, non acquisendo nuovi voti anche se non perde quelli conquistati. Probabilmente sarà vero, ma una Lega a così alte percentuali in città e addirittura al 70% a Sondrio ancora spaventa o, se non altro, contribuisce a potenziare la situazione di anomalia in cui versa attualmente il nord Italia.
Chi poi, oltre Daverio, avesse scordato Villetti, ex direttore dell’Avanti craxiano, è stato costretto a riesumarne anche la di lui memoria. E’ intervenuto oggi con un commento più ridicolo del farfallino assessoriale: “Tira un nuovo vento del nord e Nenni ci ha insegnato che il nord anticipa la tendenza generale con significativo anticipo”. A me Nenni non ha insegnato nulla, ma mia nonna mi ha impartito una lezione popolare arcinota: non fare i conti senza l’oste, in particolare quando questi fa cucinare i bambini nella sua trattoria.