Un racconto (vero) di Wu Ming 1

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Mitomania [fr. mythomanie, comp. del gr. Mythos e -manie, ‘-mania’, 1930] s.f. (psicol.) Tendenza a falsificare la realtà tramite racconti fantasiosi non veritieri per attirare l’attenzione su di sé.
(Vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli)

Cialtrone [etim. incerta; 1527] s.m. (f. -a) 1. Individuo spregevole, scorretto, privo di serietà, inaffidabile. […]
(sempre lo Zingarelli)

1. Prologo

Serata di giovedì 17 giugno, passeggio per via del Pratello, di ritorno dal comizio del neo-sindaco Cofferati in Piazza Maggiore. Comunque vada d’ora in avanti, sono euforico e leggiadro per la disfatta del Pchèr alle comunali. Incontro Antimo e Luigi, due colonne portanti del marxismo meridionale trapiantato a Bologna.
Luigi mi fa (testuale): – Mentre cagavo, ho letto un attacco violentissimo contro voi Wu Ming.
– Ah, sì? E dove?
Mi fa il nome di un settimanale musicale, testata gloriosa fondata nel ’77.

So che nei mesi scorsi quella rivista ha puntato l’indice contro chi pubblica con l’Einaudi, in quanto da qualche anno assorbita nel gruppo Mondadori, il cui pacchetto di maggioranza appartiene all’Egoarca. Questo farebbe di noi (e Valerio Evangelisti, Dario Fo, Marco Paolini, Sabina Guzzanti, Paul Ginsborg, Ivano Fossati, Giulietto Chiesa… Theodor Wiesengrund Adorno…) dei “collaborazionisti”, i veri nemici del popolo. Che dire? Quando si tratta di lotte da portare avanti, ogni soggetto (compresa quella rivista) ha il diritto di stabilire le proprie priorità. Purché si lotti.
Penso: sarà la stessa solfa di sempre, capirai… e dimentico la cosa.
L’indomani mi telefona un amico, e nomina la stessa rivista: – Ti porto la fotocopia di una lettera uscita su ‘sto numero, mi sa che t’interessa…
Bòna lé, brîsa rånpr i quajón, con ‘sta storia dell’Einaudi…
– Non è mica solo quello, è la lettera di uno, dice che voi e Evangelisti l’avete minacciato, vi paragona ai nazi che perseguitavano gli ebrei, e dice che gli avete fatto paura, che ci aveva i brividi. Sembra davvero un fulminato.
– Ma va’? Porta ben qui, allora, ché son curioso.

2. Flashback

20 aprile 2004, poco dopo mezzogiorno. Nella casella e-mail di Wu Ming arriva il seguente messaggio, debitamente firmato. Poiché – a differenza di altri – non sopporto le gogne, chiamerò il mittente col nome convenzionale di “Stefano”, d’ora in poi S.:

Vict-lombroso.jpgS. “Sono un coglione. Mi sono fidato. Alla cieca, per una volta, senza alcun dubbio. Avevo in mente il caso Carlotto e tanto mi bastava, oltre al vostro parere. Poi ho visto il Battisti. Assassino e faccia da culo. Condannabile anche soltanto per l’antipatia. Da pigliare a calci, oltre che da tenere dietro le sbarre vita natural durante. Non mi meraviglia che una faccia cosi’ possa pensare la morte (altrui) come un evento naturale, nell’ordine delle cose, in nome delle sue paturnie.
Mi sono sentito una merda. Ho appoggiato uno cosi’, Diobono. Mi faccio schifo. Ma un po’ di schifo, sia chiaro, me lo fate pure voi. Da oggi basta Giap. Di ‘sta sinistra, che nemmeno sa riconoscere una faccia di cazzo e definirla tale, posso benissimo farne a meno.”
[grassetti miei]

– Ohibò! E chi è questo becero seguace di Lombroso? – mi chiedo.
Rileggo l’anatema soffermandomi su ogni frase.
Parte con l’implicita asserzione che siamo gente di cui non ci si può fidare; prosegue con una scarica di insulti, una condanna sommaria a motivazione fisiognomica, un’esplicita apologia delle punizioni corporali in carcere e una difesa dell’ergastolo; si avvia verso il finale con l’affermazione che facciamo schifo (anche se… solo “un po’”), seguita dalla richiesta (legittima) di non ricevere più la nostra newsletter, per concludersi con la lamentazione contro ” ‘sta sinistra” (quale?), colpevole di non seguire anch’ella le teorie dell’augusto scienziato positivista, autore di indimenticati capolavori quali La donna delinquente, la prostituta e la donna normale o Gli anarchici. Psicopatologia criminale d’un ideale politico.
Chiunque è libero d’essere in disaccordo con ciò che scriviamo sul caso Battisti. Non per questo deve comunicarlo grugnendoci in faccia.
Così, poco dopo le 14.00, rispondo senza remora alcuna:

WM1 “Che dire? Se l’antipatia è argomento buono per giustificare un processo interamente basato su testimonianze contraddittorie di un pentito che riferisce cose orecchiate, più una mostrificazione massiva che prescinde da qualunque argomento, più una totale non-volontà di riflettere su cosa sia stata l’Emergenza, le leggi speciali, le carceri speciali… beh, allora gente come te è meglio perderla che trovarla. Se non ti cancelli da Giap lo faccio io, e mi vergogno pure che tu sia stato iscritto e quindi ci sia stato – per quanto indiretto – un legame tra me e te, come provo una certa nausea etica che, in calce a qualsiasi cosa, il tuo nome sia stato associato al nostro.”

Io m’immagino: morta lì, pari e patta. Chi scrive una tale sequela di insulti, non è certo interessato al dialogo. E invece il tizio risponde alle 15:

S. “Nessun problema per la cancellazione: gia’ fatto. Comunque prima concedimi due parole d’addio: l’antipatia resta un criterio, banale e sottopelle quanto vuoi, di giudizio. Di certo non basta per chiudere qualsiasi caso, ma e’ un serio indizio su cosa stia dietro ad una persona.
Quanto alla riflessione sulle leggi e sul periodo dell’emergenza, beh, mi pare proprio un altro argomento (peraltro io c’ero e credo di poter vantare quantomeno una testimonianza personale): un conto e’ il giudizio storico e un conto quello personale. Mi pare difficile mettere sullo stesso piano un Battisti ed un Curcio (il primo che mi viene in mente…).
Altrettanto difficile e’ accomunarli sotto l’ombrello di un medesimo parere storico-politico, che in ogni caso va sempre e comunque elaborato e portato avanti.
E’ anche per questo che mi ero fidato alla cieca, ed anche per questo che mi sono dato del coglione. A me prima che a voi. Resti evidente a futura memoria.
P.S. Mi spiace che che tu ti debba vergognare della mia presenza su Giap, anche perche’ ho seguito e sostenuto i vostri progetti con convinzione sin dall’inizio, ben prima che vi sbattessero come fenomeni su molte pagine culturali. Mi spiace anche che due di voi siano venuti a presentare ’54’ nella piccola biblioteca comunale che gestisco, con reciproca soddisfazione: spero che l’onta e la ‘nausea etica’ non siano troppo pesanti da sopportare. Un abbraccio.”

Rileggo con attenzione: la stessa persona che ha esordito insultandoci e proponendo “argomenti” di cui si vergognerebbe financo l’eroico alleaten Galeazzo Musolesi, ora rivendica il diritto a un commiato, svicola sulle questioni reali dicendo che lui “c’era” (‘mbeh? C’ero anch’io: ero alle elementari), rifiutando un paragone (Curcio-Battisti) che nessuno di noi ha mai fatto, infine togliendosi occhiali e naso finto per dire: “Ma come mai mi schifi? Ci siamo già conosciuti, vi ho invitati etc.” Come per dire: ti ho preso in castagna.
Infine mi abbraccia. Boh.
Ok, quando uno insulta io lo mando a quel paese, ma se costui vuole argomentare, per quanto bislacco sia l’approccio, non c’è problema: argomento anch’io, anche perché la (faticosa) linea di Wu Ming è: “massima disponibilità. Opachi verso i media, trasparenti verso i lettori”.

WM1 “Giusto per farti capire da cosa dipende la nausea.
L’antipatia non è un argomento. L’abbiamo scritto anche sull’ultimo Giap spedito ieri sera: ‘La repressione andrebbe valutata sulla base della pericolosità del repressore, non dell’antipatia del represso’.
Secondo te come mai lo stesso Carlotto (il faro che, nella notte, ti ha condotto sulle rive dell’appello per Battisti), a ogni presentazione dell’ultimo romanzo, fa l’esempio di Battisti come esempio di grave disinformazione mediatica sui temi della colpa e del perdono? E perché ha firmato l’appello lui stesso?
Il paragone tra Curcio e Battisti lo stai facendo tu, non io. Per me sono due casi diversissimi: uno ha rifiutato in blocco il processo perché non riconosceva la giustizia borghese, l’altro afferma che la sentenza che lo condanna all’ergastolo è ‘un cumulo di menzogne’.
Curcio non è stato condannato sulla base di testimonianze di pentiti, perché quando si pentì Peci (il primo di una lunga lista) lui era già in galera da anni.
Battisti invece è stato condannato sulla base della deposizione di un esponente dell’ultimissima leva di pentiti, Pietro Mutti, che si è fatto vivo nell’81 e ha raccontato fatti del ’79 colmando i buchi con frottole (alcune riconosciute come tali già in sede d’istruttoria) e ‘sentiti dire’.
Io ho il sospetto che tu non abbia letto niente della documentazione che, faticosamente e contro una marea montante di forcaiolismo, ci siamo sforzati di produrre sul caso Battisti come paradigma del ritorno dell’emergenza e dei suoi non-risolti. Se Battisti viene estradato, questa decisione peserà sul futuro di centinaia di persone, i rifugiati italiani in Francia e le loro famiglie, persone che hanno avuto asilo grazie all’iniziativa di Mitterrand. Mitterrand mise al lavoro sugli atti processuali italiani un comitato di giuristi, che si misero le mani nei capelli. Anche questo lo spieghiamo nell’ultimo Giap. Ma evidentemente, comminare sentenze sommarie in base a tiramenti di culo costa meno fatica che cercare di informarsi su una campagna d’opinione che è sì impopolare ma proprio per questo è rivelatrice.”

Intorno alle diciotto e trenta, rieccolo:

S. “Caro Roberto, hai ragione su tutto, a livello politico e ideologico non posso che inchinarmi. Esiste pero’ un piano differente, purtroppo – o per fortuna – piu’ immediato, piu’ legato all’istinto, e per questo piu’ potente di ogni ragionamento.
Io ho letto voi ed il Corriere. Di certo l’ho fatto poco e male, ma ho provato lo stesso a farlo perche’ volevo tentare di capire il piu’ possibile.
Poi pero’ Battisti l’ho sentito parlare, e l’ho visto. E li’ di filtri comunicativi ce n’erano ben pochi (il montaggio, il taglio delle inquadrature, niente che pero’ mi potesse davvero condizionare nel profondo). E li’ ogni tentativo di raziocinio si e’ dovuto arrendere. Il ragionamento storico viene intaccato solo in parte, ma quello umano non accetta ragioni. In questo senso, di sicuro molto piu’ che in altri, non “merito” di continuare a far parte della famiglia di GIAP. Continuero’ a sostenervi dall’esterno. Non e’ detto che sia meno utile. Pero’, davvero, non chiedetemi di accostarmi a brutta gente come Battisti. Scusa la semplificazione, che costringe a litigare tra noi. Un abbraccio.”

Mi sforzo di capire e ancora una volta disseziono il testo.
Inizia con una formula di cortesia, poi c’è un’ironica diminutio auctoris (“non posso che inchinarmi”), poi si avventura in un paralogismo dall’odore destrorso/vitalistico: fa un’apologia dell’emotività sbracata definendola “più potente” del ragionamento, come se qui si stesse parlando di “potenza” anziché di verità e giustizia; ammette di essersi informato male, come capitava, e rivendica di essersi arreso di fronte alla necessità del raziocinio, per affidarsi al puro “istinto”. A me pare paccottiglia nazista, rosenberghiana. Termina con una seconda diminutio, dice che non sarà meno “utile” sostenendoci “dall’esterno”, purché non gli si chieda di associarsi a Battisti. Ma che cazzo, glielo abbiamo ordinato noi di firmare l’appello? Di nuovo, mi abbraccia.
– Questo è uno psicopatico -, mi dico. Come a volte mi capita, penso a John Lennon e Mark Chapman. Siccome ho pazienza, gli rispondo, ricorrendo anch’io alla formula di cortesia:

WM1 “Caro S******, se avessimo ragionato così, non avremmo fatto la battaglia per i Bambini di Satana, e mentre la facevamo eravamo bersaglio di attacchi furibondi, salvo poi scoprire che avevamo perfettamente ragione, che i BdS erano vittime di una gravissima montatura che non colpiva solo loro ma i diritti di tutti noi. Assolti in primo grado e in appello perché il fatto non sussisteva, risarciti dallo Stato per l’ingiusta detenzione.
Negli USA, avvocati neri dell’American Civil Liberties Union hanno difeso il Ku Klux Klan, perché a essere minacciato non era quest’ultimo bensì il Primo Emendamento della Costituzione.
Non condivido il tuo giudizio umano su Battisti perché è fuori contesto. E’ un uomo travolto da qualcosa di enorme, obiettivo di una campagna d’odio, coi nazisti del Bloc Identitaire che cercano di organizzare linciaggi davanti al suo portone, coi giornalisti che lo braccano e gli estorcono frasi che poi vengono riportate distorte etc. In questa fase Battisti non è in grado di esprimersi chiaramente, di comunicare quello che prova e cosa pensa di tutta questa storia, il suo errore sta nel provarci. Dovrebbe lasciar parlare i suoi avvocati e le persone che gli vogliono bene, come la sua compagna, le sue due figlie, gli inquilini del suo stabile. E’ il consiglio che gli hanno dato tutti.
Ad ogni modo, se per te rimanere iscritto a Giap significa essere associato a ‘brutta gente’, pazienza. Lavati le mani che hanno toccato i nostri libri, lavati gli occhi che li hanno letti, e vai con Dio.”

Poi scrivo a Valerio Evangelisti, gli dico che questo tizio si dà del coglione per aver firmato l’appello, che si è pentito della cosa, e quindi per correttezza andrebbe cancellato. Gli giro la prima mail di S.
Il tizio mi risponde alle 15:37 del giorno dopo:

S. “Sei davvero convinto che Battisti appaia in questo modo per cause esterne? Che non sia proprio cosi’? Figli, amici e mogli non sono scudo o ragione d’indulgenza. Lo so bene, perche’ altrimenti anche io sarei salvo in automatico, destinato al mio bel paradiso senza alcuno sforzo. Una rete d’affetti dovrebbe rafforzare, smussare l’isteria che sta in ognuno di noi.
Se fossi un giudice giusto riconoscerei delle attenuanti generiche ma, temo, non di piu’.
In quanto al finale permettimi soltanto di dirti che e’ letteratura, pure buona, ma letteratura. Non ho da lavare ne’ mani ne’ occhi, se non per prepararli meglio a leggere i libri che vanno letti (compresi i vostri).
Non ho davvero niente da cancellare, se non una mia sciocca fretta nell’accettare un appello che non faceva per me. Ripeto: MIA sciocca fretta. Un abbraccio.
P.S. Mo’ mi disprezza pure Evangelisti (mail di oggi). Non e’ che ci stiamo tutti quanti abituando a vivere in perene trincea e senza mai subire una critica?”

Il post scriptum mi lascia perplesso, devo chiedere a Valerio che cazzo gli ha scritto, ma prima, di nuovo con pazienza, analizzo la lettera.
Inizia rispondendo a una cosa che non ho affermato, cioè che “figli amici e mogli” dovrebbero essere “ragione d’indulgenza” (???). Prosegue sostituendosi al giudice, termina con la solita diminutio e il solito abbraccio. Chiedo a Evangelisti cosa gli ha scritto. Mentre attendo la risposta, scrivo a S.:

WM1 “Non so cosa ti abbia scritto Valerio, ma il tono della tua mail iniziale non era un tono da critica: usavi parole pesantissime (‘assassino’, ‘faccia da culo’, ‘pigliare a calci’, ‘coglioni’) e giudizi tranchants e superficiali, giudizi che a chi si sta sbattendo da mesi perché ci si confronti sugli argomenti, ripeto, sugli ARGOMENTI, hanno dato molto fastidio.
Il fatto stesso di affrettarti a cancellarti da Giap come *conseguenza* di quei giudizi, come se la nostra newsletter e il lavoro che c’è dietro fossero cose sporche, *contaminate* dal nostro impegno per un ‘assassino’ e come se su Giap si parlasse solo di Battisti, è una cosa per cui io stesso fatico molto a mantenere un tono di confronto. Ognuno è liberissimo di cancellarsi, ma le tue motivazioni sono scoraggianti per chiunque decida di sfidare il conformismo.
Se poi ti sorprendi che ti si risponda a tono e ti si disprezzi di un disprezzo uguale e contrario a quello che riservi a chi ti è antipatico, vuol dire che non sai stare al mondo. Se fossi un giudice non ti darei nemmeno le attenuanti generiche.”

Alle 18:46, eccolo che mi risponde, con una stucchevole sfilza di diminutiones:

S. “Hai ragione, Roberto: il tono della mia prima era furioso. Pero’ ripeto, soprattutto nei miei confronti e verso Battisti.
Sono consapevole di aver esagerato nei toni e altrettanto consapevole di meritare (quasi tutte) le mazzate che mi sono arrivate.
Come ti ho scritto ieri mi sono cancellato da GIAP perche’ ritengo di non meritarmi il posto, nel senso che ogni mia visione politica e’ da sempre fortemente inquinata da elementi istintivi e prelogici. Non saro’ mai capace di ragionare, quindi e’ bene che abbassi la cresta e mi limiti a ‘sentire’.
Il che, come ho detto, seguita ad includere la lettura dei vostri libri e di quelli di Evangelisti.
Ti saluto e lascio spazio ad interventi piu’ razionali ed importanti del mio. Un abbraccio.”

Nel frattempo mi risponde pure Valerio. Si è limitato a informare S. di averlo cancellato dal novero delle firme pro-Battisti, e a congedarsi scrivendo “Con profondo disprezzo”.
E certo, che pretendeva con quella mail piena di ingiurie?
Mi inoltra la risposta di S.:

EvanPh4.jpgS. “Eh no, Valerio, non corriamo. Nessun disprezzo. Le parole pesano, e cosi’ e’ davvero troppo semplice: il disprezzo lo si deve meritare attraverso un minimo di costruzione, magari guardandosi in faccia e parlandosi. Altrimenti e’ solo un passaggio di consegne, cosa troppo immediata per avere un valore.
Il disprezzo si dovrebbe concedere a chi non ha coraggio, a chi non esprime mai il suo pensiero. Io invece l’ho fatto due volte, sia prima che dopo, facendo prima un gesto dettato unicamente da un ragionamento politico, dopo da un impeto umano, solo di pelle. Cosi’ adesso mi becco la doppia rampogna (sostenitore di terroristi + nemico del popolo).
Credo ci voglia piu’ coraggio a dar contro ai tuoi simili che non a spalare merda sugli avversari. Questo e’ quello che mi sono sentito di fare, aldila’ di qualsiasi calcolo e ragionamento. Se la conseguenza sara’ ‘perdere’ sia te che i wu ming me ne dispiaccio, ma resto convinto che fosse un rischio da correre: sara’ sempre meglio che belare insieme al branco senza avere l’energia di contestare neppure coloro che stimi.
Se ho fatto l’errore di disprezzare chi non conosco se non per via indiretta (Battisti), mi aspetto qualcosa di piu’ da una persona intelligente come te. E me lo aspetto, se vuoi, non soltanto per l’intelligenza, che quella magari e’ roba volatile, ma per la tua faccia.
La tua faccia non e’ di quelle che sputano sugli altri senza una ragione. Se poi mi concedi un parere su Battisti, credo che sia un assassino. Le prove ed i processi tarocchi contano poco, perche’ e’ osservando lui, ascoltandolo, che comprendi la facilita’ con cui uno cosi’ puo’ accettare l’idea che la morte degli altri non sia un’aberrazione. So che si tratta soltanto di una sensazione, e di questa debolezza mi posso scusare con me stesso, forse con te. Ma di certo non con lui.
Nessun disprezzo, insomma. Tienilo buono per altre occasioni, per favore. Non mancano davvero. Un abbraccio.”

Mi convinco di avere di fronte una persona seriamente disturbata. Inizia dicendo che le parole pesano, come se non fosse lui quello che ha esordito con gli insulti; fa capire che qualcuno (amici? colleghi? datori di lavoro?) lo ha accusato di essere “sostenitore dei terroristi”, e questo spiegherebbe un certo pepaculo; definisce “belare insieme al branco” il fare controinformazione sul caso Battisti, come se i conformisti fossimo noi e il 99,9% degli organi di informazione non avesse condotto una massiccia campagna demonizzante, disseminando menzogne e ricorrendo ai più volgari espedienti per pilotare lo sdegno contro il “nuovo vecchio mostro”; fa il deluso, dice che si sarebbe atteso di più; ripropone il criterio fisiognomico, prima come captatio benevolentiae verso Valerio (del tutto fuori luogo: se c’è uno che ha la faccia da pendaglio da forca, quello è proprio il mio collega), poi come immonda lode della giustizia sommaria (forse su base eugenetica?); fa tutto un predicozzo finto-oggettivo su come amministrare il disprezzo, come se fosse lui a decidere per chi deve provare disprezzo il prossimo; infine, il solito sudaticcio abbraccio.
Il giorno dopo, 22 aprile 2004, poco dopo l’ora di pranzo, faccio un tentativo estremo, perché, ripeto, sono una persona paziente, uno che si vanta di essere umile:

WM1 “Proviamo a rileggere tutto lo scambio, poi a riazzerare il contatore. Vedrai che, davvero, non potevamo risponderti in modo diverso. Dall’altro ieri non fai che ripetere che il tuo criterio di valutazione è fallato e ne sei consapevole, però non ti sposti di un millimetro da dove ti trovi. Alterni in modo maldestro diminutio auctoris e discorso ex cathedra. Hai attaccato dicendo che di noi non sapevi che fartene, poi hai rettificato dicendo che ci avresti ‘appoggiato dall’esterno’. Oscilli troppo. Se qualcuno ti ha dato del ‘sostenitore di terroristi’, non è su di noi né su Cesare Battisti che devi rifarti. Sei maggiorenne e vaccinato. Davvero, prova a riazzerare poi rifatti vivo.”

Fine. Nessuna risposta, mai più.
Comunque, io rileggo tutto lo scambio ed esclamo:
– Porco dio, sembro Habermas! Anzi… Sembro Prodi!
Datemi un antiemetico.
Decisamente troppo dialogante, è questo il mio difetto. Sopravvaluto la capacità di confronto degli interlocutori.
E, sommando i tempi di lettura e scrittura, ho perso almeno due ore, quando tra due settimane devo consegnare il romanzo.

3. Torniamo all’oggi

Passa qualche mese, consegno il romanzo, il mondo va avanti e arriviamo alla famosa fotocopia.
Chi ti ritrovo su quelle colonne, se non S.?
Leggo e non credo ai miei occhi. Un resoconto distorto, falso (non so se più mitomaniaco o cialtronesco) del nostro scambio di aprile, e come risposta la consueta, immancabile scarica di insulti e insinuazioni contro di noi.
Molti riferimenti (ad articoli e lettere apparse sui numeri scorsi) non li capisco, perché non sono un lettore di quella rivista. Una cosa che capisco è però questa: ho gravemente sottovalutato i disturbi caratteriali del mio interlocutore. Ecco il premio per aver voluto discutere, dovevo fermarmi al primo vaffanculo e ignorare il resto. Segue il testo (i grassetti, al solito, sono miei).

Insegna-antiebraica.jpg“Caro Massimo, non mi sono mai rivolto a te, anche se mi è capitato di non essere dalla tua parte. Lo faccio ora. Solidarietà, si potrebbe definire. Ed ascolto. Sul caso Battisti hai trovato le parole giuste. Tutte. Io ho toccato con mano l’atteggiamento degli intellettuali che premono perché Battisti sia libero e sereno: essendo iscritto alla mailing-list dei Wu-Ming [sic] mi sono stupidamente fidato, e ho sottoscritto l’appello senza conoscere bene il caso. Qualche giorno dopo, però, ho visto in faccia Battisti, e ho capito di aver fatto una cazzata, di star proteggendo un assassino. Mi sono vergognato, come pare non sia più di moda. Nessun ragionamento, nessuna documentazione, soltanto la sua faccia e la sua voce. Quello che diceva era persino meno importante di come lo diceva. Allora ho scritto ai Wu-Ming [sic] per dir loro quanto ero stato idiota, e quanto lo fossero (almeno in parte) pure loro. Apriti cielo: risposte tipo ‘Ci fa schifo che tu abbia condiviso anche solo in parte il nostro cammino’ e altre dichiarazioni roboanti dello stesso tenore. Poi Evangelisti, su loro segnalazione, mi ha depennato dalla lista dei firmatari (cosa che, essendo io uno che non tenta di correggere a posteriori i propri sbagli, non avevo neanche chiesto…). Il tutto condito da toni da scomunica nei miei confronti. Anche lui mi intima di star lontano dai suoi libri, come se il solo fatto di leggerli possa in qualche misura contaminare chi li ha scritti. Beh, che tu ci creda o meno, per qualche giorno ho avuto persino paura. La similitudine tra questi personaggi e coloro che incitavano a ‘segnare’ le case degli ebrei mi è apparsa evidente, stridula. Le stesse parole, la stessa aura di superiorità. Lo ammetto, io non ragiono tanto. Mi affido di più ai sensi. Finora il cervello mi ha quasi sempre tradito [l’avevamo subodorato, NdR]. Il tatto, la vista, l’udito invece no. A costo di sembrare un lombrosiano. Le mie parole non erano quindi molto tenere, ma lo sfogo di uno che si sente preso in giro e sente pure di averne tutta la colpa. Però da parte loro mi aspettavo più lavoro di cervello, magari uno spiraglio di ‘forse ci stiamo sbagliando’. Invece niente. Ho capito come si poteva sentire, trent’anni fa, Calabresi. Viene da tremare. Allo stesso modo le lettere che ti davano contro mi sono parse ideologiche, come se bastasse, per proteggere un assassino, la voglia di non fare un favore alla destra. Come dici tu, alle vittime regaliamo giusto la patente dei fessi, alle famiglie inchiodate la qualifica di chi se lo meritava perché stava nel posto sbagliato al momento sbagliato. Insomma, voglio farti i complimenti per il coraggio. Avere un’ideologia non può significare soltanto giocare a chi sputa più forte sulla tomba del nemico. Forse nemmeno ragionare, ma almeno ‘sentire’, e saper indirizzare la propria pietà dalla parte buona [segue indirizzo e-mail].

Allibito, leggo la risposta redazionale, firmata “mdp”:

“Tranquillo: non fanno paura, fanno solo ridere. Dietro l’apparenza giacobina e leninista, sono dei piccolo borghesi attenti ‘al 27 dello stipendio’, agli affarucci con Berlusconi, alle amicizie mafiose con cui scambiare raccomandazioni e prefazioni, al perdonismo cattolico e vittimista. Sono dei Giuliano Ferrara con meno dignità: quello, almeno, s’è dimesso da comunista prima di trovarsi un altro padrone, piduista.’ [fate conto che abbia grassettato ogni parola]

4. Epilogo

Ricorro anch’io alla diminutio auctoris: ben mi sta, il coglione sono io, che perdo tempo a rispondere alla gente, a cercare di ragionare e far ragionare, anche quando l’interlocutore mi ha detto e ripetuto di non essere in grado di farlo e di non volerlo fare (meglio seguire “l’istinto”).
Ben mi sta. Dovevo fare come Valerio: “con profondo disprezzo”, e bòna.
Poi penso: io conservo tutte le mail che spedisco e ricevo. Le ripesco e ci faccio un racconto. Che dico: uno psicodramma epistolare. Un breve ma intenso viaggio nell’angoscia, nell’insicurezza, nella meschinità di un mitomane, e un apologo sugli inconvenienti dell’esser troppo disponibili.

Grazie dell’attenzione.

Wu Ming 1, 19 giugno 2004 blacklisted.jpg