di Daniela Bandini

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Stefano Ferrio, Il profumo del diavolo, Marsilio 2004, pp.529, € 18,00.

Se ce la fate a leggere, anche in fretta, distrattamente, precipitosamente, le prime 20 o 30 pagine, questo libro sarà vostro. Il racconto comincia con un rapimento, con un crimine odioso perpetrato nei giorni mistico-consumistici di Natale all’interno di un centro commerciale del vicentino. Non lascerete mai più la mano di vostro figlio o dei vostri nipotini per nessun motivo, non applaudirete più alle patetiche contorsioni di clown e acrobati o alle nostalgiche note di zampognari poco ispirati, pena stringere il vuoto, un vuoto compatto, segnato dall’assenza di un’altra mano da stringere.


Tu scendi dalle stelle” per raggiungere l’inferno. I Wandering, gli Erranti. Categoria delinquenziale, quasi fenomeni isolati, “un individuo su diecimila nell’età compresa fra i venti e i cinquant’anni è un potenziale Wandering”. Serial killer imprevedibili nei loro rapporti sociali corretti e formali, forse un po’ maniacali ma assolutamente affidabili, statisticamente rigorosi nelle efferatezze compiute con altrettanta meticolosità. L’energia creativa di un individuo dedicata interamente alla morte e alla sua glorificazione.
Veronica è nelle mani di un Errante, anzi, del capo supremo degli Erranti e ha solo 5 anni. In questo mondo rovesciato, dove l’inferno è emerso dalle tenebre per regnare sulla terra, anche gli angeli fanno il loro ingresso. Sono angeli malconci e pieni di contraddizioni, non si espongono come dovrebbero per risollevare i destini del mondo, ci provano ma la nausea ha il sopravvento, si alzano e si accasciano nuovamente sul letto, sensibili come sono alle fluttuazioni umorali del nostro mondo. Uno di questi angeli si chiama Claudia Palumbo. Verrebbe davvero la voglia di strattonarla e di gridarle: “Ehi! Muoviti! Lo sai che c’è un sacco di lavoro da fare là fuori?”
Claudia ha una particolarità sorprendente, che le farà perdonare molte cose. E’ “un naso”. Una persona in grado di riconoscere un odore, una sfumatura di essenza, una traccia tra migliaia di tracce e di identificarla. Di seguirla. Gli incontri di Claudia non sono con la simmetria gradevole o meno del profilo umano, ma con i suoi effluvi: “… Il vecchietto sessantenne che sa di zenzero, una nonnina al caffelatte, un vù cumprà dall’inconfondibile strascico di Afriche, una coppia di caramellosi fratellini con la mamma dalla pelle d’argilla, un distinto professionista inzuppato di aromatico Xeryus Givenchy”.
E l’odore del diavolo? Beh! Il profumo del diavolo è inconfondibile: mirra. Poi c’è l’odore dell’ambiente, quello che rifuggiamo nelle mattine d’inverno sperando di ricacciarlo nelle tenebre al più presto, quello della provincia e delle zone industriali appiattite dalle nebbie e dagli alberi spogli; un trauma per Claudia Palumbo. Gli odori e le coltri chimiche che intasano l’aria non le permettono di respirare, ma solo di vomitare l’ammasso esagerato di fumi e veleni.
Claudia, l’Errante Melanicus, il Commissario Francesco Ambrosetti. Ci sono tutti i protagonisti di questa autentica discesa nell’abisso di ciò che consideriamo peccato, tabù, limite, espiazione.
L’Errante Melanicus è una figura talmente grandiosa, maestosa, nera, orrendamente sadica, da lasciare senza fiato. Costruito con la meticolosità dell’appassionato, questo personaggio rasenta la perfezione nel suo genere. Ecco il suo iter, la “prefazione” al suo carattere, così descritto: “Perché l’unico scopo dell’arte era secondo lui l’elevazione al cielo degli dei. O meglio, delle forze che gli antichi chiamavano dei. Da qui la pratica della sopraffazione, il culto dell’arricchimento, la necessità del sacrificio, la redenzione dell’umano attraverso l’atto superumano dell’opera d’arte”. Sì, perché questo archetipo demoniaco, questo super serial killer, si prefigge di riscattare con la tortura e la deprivazione sensoriale sistematica la violazione del limite imposto dalla nostra percezione psichica e di farne opera d’arte. In una delle vittime, orrendamente mutilata e devastata nella psiche nei mesi di prigionia cercherà di cogliere l’aberrazione massima: il sorriso della speranza, della liberazione. Quel sorriso lo colpirà talmente da inciderglielo per sempre nella carne, con un lungo sfregio di coltello.
Questo è per inquadrare il nostro demone, che come ogni demone è circondato da fastidiosi e pericolosi adoratori, ai quali le pur tremende disgrazie che affliggono gli uomini e la storia sembrano non bastare a placare la sete di sangue. Persone che si ritrovano in luoghi sacrificali dove “qualsiasi presenza umana è cancellata dall’odore della vita che fugge”. Tutto è merce e tutto è mercato, anche quello degli orrori. Siti internet con foto di persone torturate, impiccate, violentate, stupri, sodomie… E l’arte. Sì, l’arte, il ritratto sublime, quello composto dalle viscere e dagli umori del nostro corpo, dal vermiglio del sangue, dalle cornee, dai capelli, anche da quelli talmente soffici e biondi da far pensare a delle piume, come quelli di Veronica.
E’ pesante da aprire quella porta, ma una volta entrati bisogna sgranare gli occhi e registrare. Si salverà la bambina? E quel sangue, quella doccia di sangue che inonda gli adepti festanti dall’alto di una “vergine di Norimberga”, è il suo? La folla che accompagna l’evento con macabre danze scomposte, ritmate da musiche vibranti e ossessive, eccitando l’atmosfera allo stremo, è forse l’incarnazione aberrante di un’opinione pubblica rispettabile che legge la cronaca nera? E Claudia, presa dal richiamo del dovere e della coscienza e, suo malgrado, da quello più imprevedibile e inaspettato dell’euforia che si compia lo scempio, riuscirà a guardare ancora la serenità di un tramonto sulla spiaggia e la luminosa presenza di dio? Di un dio qualunque, capace di cancellare l’orrore e armonizzare il corpo con la mente: il vero miracolo, credo, di ogni dio. E la pace, dopo tanto sangue, la resa del demonio, vederne l’immagine sottratta allo stereotipo della violenza: angelo dell’inferno, che non aspiri che al paradiso…
Un romanzo grandioso, assolutamente.