pennac3.gifIn questi giorni una slavina mediatica si è abbattuta sull’Italia: telegiornali, trasmissioni radiofoniche, quotidiani e settimanali sono crollati a valanga su chi desiderasse (o meno) sapere qualcosa sullo scandalo umano e giudiziario che ha coinvolto Cesare Battisti. Abbiamo assistito a fenomeni notissimi di distorsione informativa, a “sfoghi cutanei” di chi evidentemente covava rancori mal sopiti, a processi sommari condotti sull’onda di un pietismo che viene ormai utilizzato quale maschera privilegiata per mistificare intenti elettorali e desideri di vendetta. Mentre in Francia, al di là delle allucinazioni del quotidiano governativo Le Figaro (sorta di emanazione di un Feltri d’Oltralpe), si assisteva a una straordinaria mobilitazione civile, qua da noi si assisteva all’opposto: una straordinaria manifestazione incivile. In poche ore, i media italiani hanno restituito un ritratto che più falso e tendenzioso non si può: gli intellettuali francesi ridicolizzati e sbertucciati come se fossero una massa di idioti; i massimi esponenti del Partito Socialista francese ridotti a una gang di pagliacci in cerca di un pugno di voti: il Consiglio comunale di Parigi trattato come la Spectre; decine di migliaia di firmatari dell’appello per Battisti insultati impietosamente. battistilibero.gifIl tutto, condito con gli elementi più vistosi e ripugnanti dell’informazione di regime: due, quattro, cinque spietate esecuzioni attribuite allo scrittore italiano; il suo nome inserito nell’affaire delle nuove BR; episodi della sua vita inventati di sana pianta. All’indomani della scarcerazione di Battisti ci è capitato di dovere smentire persino La Stampa, che si inventava un riarresto dell’autore di Cargo sentimentale.
Le cose stanno diversamente, come è ovvio. E, a testimoniarlo, sono gli stessi francesi – e qualche residuo di sanità mentale da parte del giornalismo italiano, quello che non è schierato. Non sono testimoni di poco conto, quelli che citiamo: da Daniel Pennac (nella foto a sinistra) al direttore di Le Monde Edwy Plenel fino allo storico Pierre Milza . In particolare Daniel Pennac ha spazzato il campo da ogni dubbio, in un’intervista su Repubblica: “L´amnistia è il contrario dell´amnesia. Si tratta di chiudere una porta per permettere agli storici di capire un periodo in maniera meno passionale. Mi è difficile ammetterla sentimentalmente, soprattutto se si immaginano le vittime. Il problema non deve però essere considerato dal punto di vista affettivo”.

Pennac non si sottrae nemmeno alla delirante accusa che i media italiani hanno scatenato contro gli intellettuali francesi, rei di avere preso posizione a favore di Battisti poiché in ballo c’è uno scrittore: “La mia presa di posizione – ha dichiarato Pennac – è al cento per cento francese, è legata al clima giudiziario del mio paese. A fine gennaio, quando Alain Juppé è stato condannato per i finanziamenti al suo partito, in base a una legge da lui stesso votata, abbiamo visto il capo dello Stato commentare il verdetto, Juppé rimangiarsi quel che aveva detto, le più alte autorità dello Stato dire che lui è una delle persone più utili alla Francia. Passano pochi giorni e un italiano protetto dalla dottrina Mitterrand viene arrestato tredici anni dopo una sentenza che gli è stata favorevole. Tutto ciò è un duplice attacco allo Stato di diritto. In questo paese c´è un clima giudiziario pessimo. In me non c´è nessuna volontà di far lezioni agli italiani”. L’analisi di Daniel Pennac è lucidissima: tanto da sciogliere il nodo emotivo che qui in Italia si è utilizzato per impedire un dibattito onesto su Battisti e sugli Anni Settanta: “Non difendo chi ha ucciso, né l´idea di omicidio. Si paga anche con l´esilio. Io sostengo una giurisprudenza che è stata creata nel 1985 da Mitterrand, ma non si può assimilarlo a una sorta di carta bianca data al crimine, in generale o in particolare”. Il che avvicina al cuore del problema, che è il riconoscimento reale di quanto avvenuto nei Settanta: una guerra civile che, come tutte le guerre civili, non può trascinare i propri spettri dilanianti a trent’anni di distanza da quei tragici fatti: “Con la Repubblica – sostiene Pennac – l´amnistia è diventata qualcosa di necessario alla concezione repubblicana della pace sociale. C´è l´esempio della Comune, ma più vicino a noi c´è anche l´amnistia dei membri dell´Oas, che si sono battuti con le bombe e con la violenza contro l´indipendenza algerina. Ma quattro anni dopo la fine della guerra sono stati amnistiati. Erano di estrema destra, hanno ucciso: non ammetto che abbiano ammazzato, ma si dovevano amnistiare”.
plenel.gifUna delle personalità di spicco che hanno preso posizione a favore di Cesare Battisti, in Francia, è Edwy Plenel (nella foto), il direttore di Le Monde. Proviamo pensare al direttore del Corriere della Sera che si mobilita per denunciare uno scandalo giuridico. Qui in Italia, Le Monde è stato fatto oggetto di pesantissimi insulti da parte di molti editorialisti, anche di sinistra. Ecco, proprio dal Corsera, l’opinione di Plenel sul caso Battisti: “Ciò che sorprende è l’accanimento contro questo mondo di vinti, improvvisamente trasformato dal governo Berlusconi in spauracchio terrorista. È il rifiuto di voltare pagina […] Come se, in questo intestardimento, si dicesse un’altra cosa, ben al di là dell’insistenza sugli atti attribuiti a questo o a quello: l’impossibilità di pensare, prima ancora di eventualmente giudicare, la violenza venuta dal basso, la sua genesi, le sue ragioni, il suo contesto. Segnata da una lunga rivolta operaia, l’Italia degli anni Settanta fu insanguinata anche da un altro terrore, anonimo, nato dall’incrocio occulto tra i servizi dello Stato e le filiere d’estrema destra, universo torbido che ebbe il suo prolungamento nell’enigmatica loggia P2 della quale il berlusconismo è una delle eredità. Diritto e memoria non vanno d’accordo che nella complessità. In un’epoca in cui la guerra ridiventa banale, non dimentichiamo che la violenza politica nasce dalla brutalizzazione delle società, tanto quanto dagli spiriti illuminati”.
Edwy Plenel pone l’accento proprio sul processo di rielaborazione storica di cui gli italiani sono stati privati, grazie alla pervicacia di una politica che, come ha sottolineato Erri De Luca, “ha costruito carriere” mantenendo vivi e irrisolti i fantasmi degli Anni di Piombo. Ed è proprio uno storico francese a spiegare quale esito è necessario che conduca un riesame serio di quanto successe. Si tratta dell’accademico Pierre Milza, ordinario di Storia contemporanea alla Sorbona e intervistato anch’egli dal Corriere della Sera: “La questione non può essere affrontata soltanto dalla Francia. L’Italia non dovrebbe limitarsi a dire: ridateci Battisti. Ogni stagione della storia, anche la più buia e violenta, è stata superata con un processo di riconciliazione e di amnistia. E’ giusto quindi riaprire il discorso sugli anni di piombo e riflettere sul destino di una persona come Cesare Battisti che, dopo vent’anni, finirebbe in un carcere a vita”.
Nulla di pelosamente emotivo e nemmeno di preventivamente ideologico, dunque, nell’impressionante mobilitazione che in Francia ha sensibilizzato la pubblica opinione sullo scandalo a cui Cesare Battisti è stato sottoposto. Semplicemente, una richiesta di giustizia autentica: non di ingiustizia elettorale (che sia forzitaliota o leghista non conta). Ciò che viene ribadito è il bisogno, per tutta l’Europa, che l’Italia si allinei ai protocolli civili con cui la storia viene metabolizzata per non essere dimenticata, anche se essa è tragica. Senza un dibattito risolutivo che conduca all’amnistia, rischiamo di vivere gli Anni di Piombo per un futuro indefinito – e di farli vivere a tutta l’Europa.