di Wu Ming 1

“La vera questione politica posta dal terrorismo è sì sapere come vi si entra, ma soprattutto come se ne esce.”
François Mitterrand, 1985

“E’ noto che io sono per l’indulto. E’ una cosa notoria. E’ come chiedermi: ma lei ha i capelli bianchi? Certo. Sarei stato favorevole anche all’amnistia.”
Francesco Cossiga, La Repubblica, 31/07/1997

“Purtroppo ogni tentativo mio e di altri colleghi della destra o della sinistra di far approvare una legge di amnistia e di indulto si è scontrato soprattutto con l’opposizione del mondo politico che fa capo all’ex-partito comunista.”
Francesco Cossiga, lettera a Paolo Persichetti, s.d. [2002]

freedom.jpgL’appello per la liberazione di Cesare Battisti, arrestato a Parigi il 10 febbraio scorso, ha avuto in pochi giorni un sorprendente numero di adesioni. La sera di domenica 15 si era a quota 1360. Scrittori, registi, produttori cinematografici, deputati, docenti universitari, giornalisti, addirittura missionari, e “semplici” cittadini/e hanno voluto esprimere la loro solidarietà. [1]
Oltre a questo appello ne esistono altri, in italiano e soprattutto in francese, uno dei quali ha raccolto molte migliaia di firme. C’è anche una lettera aperta al presidente Jacques Chirac, firmata da alcuni scrittori. A Parigi è tutto un vorticare di iniziative, assemblee, conferenze stampa, e oggi (16 febbraio) c’è stata una manifestazione (non autorizzata) di fronte alla Santé. Quattro deputati (tre verdi e il trotzkista Alain Krivine) sono entrati e hanno chiesto di parlare con Cesare. Il ministro della giustizia Dominique Perben ha dato ordine di impedirglielo, cosa che pare essere illegale.
Per tornare in Italia, la casa editrice Derive Approdi ha mandato in ristampa il romanzo di Battisti L’ultimo sparo [qui la prefazione di Valerio Evangelisti], pubblicato nel 1998, e devolverà tutti i proventi alla difesa legale. Credo che tutti gli editori solidali con Cesare dovrebbero acquisire i diritti dei suoi libri non ancora pubblicati in Italia, o pubblicati ma fuori catalogo, e mandarli in libreria con la stessa clausola.
L’esame della situazione di Cesare da parte della magistratura francese sarà più lungo di quanto ci s’immaginava. Il problema principale è che, se il 3 marzo non dovesse essere accolta la domanda di libertà provvisoria presentata dai suoi avvocati, questo periodo lo trascorrerà tutto in galera. In calce a questo articolo c’è il conto corrente sul quale versare contributi per alleviare la sua situazione.

Nei giorni scorsi, qualcuno ha espresso legittimi dubbi e perplessità su questo caso e sull’ appello. Qualcuno altro ha detto e scritto vere e proprie idiozie, frutto di incancrenimento ideologico e/o disinformazione sui temi dell’emergenza e della giustizia. Con questo articolo vorrei mettere le cose in prospettiva per quanto mi è possibile, contribuire a fare chiarezza, senza il pesante linguaggio ideologico solitamente utilizzato per discutere di questi temi.
Per prima cosa farò un breve compendio della “Dottrina Mitterrand” e della situazione dei rifugiati italiani in Francia; dopo qualche cenno sul contesto in cui Cesare Battisti fu processato e condannato, descriverò il contesto di oggi, quello del nuovo “allarme terrorismo”, passando brevemente in rassegna alcune bufale propinateci dopo l’11 Settembre; nel paragrafo successivo cercherò di rispondere ai dubbi suscitati dall’appello, infine chiuderò con un personalissimo commento sullo stato delle libertà nel nostro Paese.
E’ un compito che reputo urgente ma che non è facile. Spero mi verranno perdonati i tagli con l’accetta e le inevitabili sbavature.

1. La “Dottrina Mitterrand” fino all’arresto di Persichetti

mitterrand.jpgNel 1984 viene ufficializzata la cosiddetta “Dottrina Mitterrand” (espressione imprecisa ma largamente utilizzata) sui rifugiati politici italiani. Più di un centinaio di reduci degli “anni di piombo” ottengono il permesso di restare in Francia. In cambio devono rendersi visibili alle autorità e rinunciare in modo inequivoco alla violenza politica. L’esplicito intento dello stato francese è concedere a costoro una via d’uscita dalla clandestinità, ma è altrettanto determinante il fatto che le autorità italiane presentino dossier raffazzonati e lacunosi. Caso dopo caso, si fa evidente che quelle persone hanno subito processi (basati sulle leggi d’emergenza del periodo 1975-82) che il diritto francese considera iniqui.
Per la comunità dei rifugiati, questa differenza di cultura giuridica diverrà un secondo livello di tutela, anche a prescindere dalla Dottrina Mitterrand.
La Francia non va idealizzata, sia ben chiaro, però là non esistono bizzarre fattispecie di reato come “concorso morale” o “compartecipazione psichica”. Al contrario, gli italiani sono abituati alla violazione di uno dei più antichi princìpi del diritto: “Cogitationis poenam nemo patitur” [Non si punisca nessuno per il pensiero].
Il codice penale francese, a differenza di quello italiano, non prevede uno sparverso di reati associativi distinti solo da trucchetti semantici che significano diversi anni di galera in più o in meno. Eclatante l’esempio degli artt. 270 e 270 bis, rispettivamente “associazione sovversiva” e “associazione sovversiva con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico”. La descrizione del reato è praticamente identica, solo che nel primo caso rischi da 5 a 12 anni, nel secondo da 7 a 15. Un lascito della legge n.15, 6/02/1980, meglio nota come “Legge Cossiga”.
In Francia è ben raro condannare un imputato in base alle dichiarazioni di un solo testimone. In Italia, invece, è consuetudine: tutti i processi del caso “7 Aprile” erano costruiti sulle deposizioni di Carlo Fioroni; le condanne a Sofri, Bompressi e Pietrostefani sono basate sulla chiamata in correità di Leonardo Marino. Una sola persona che accusa è ritenuta più credibile di decine di testimoni che scagionano. [2]
Infine in Francia, come accade in tutti i paesi europei e come è previsto dalla Convenzione Europea sui diritti umani del 1954, una condanna in contumacia non può diventare definitiva. Se un condannato par contumace si presenta o viene catturato, la sentenza è annullata e il processo si rifà in sua presenza.
Di contro, la prassi giudiziaria italiana in materia di contumacia è in totale dispregio del principio romano “Ne absens damnetur” [“Non si condanni un assente”]. La Corte Europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo, la Corte Costituzionale italiana e la Corte di Cassazione (a sezioni unite) hanno chiesto alla magistratura di rispettare la Convenzione Europea, che in teoria lo Stato italiano ha recepito con la legge n.848 del 4/8/1955. I tribunali se ne fottono altamente, e continuano a pronunciare condanne definitive in contumacia. Secondo il giornalista Stefano Surace, anch’egli vittima di questa prassi, in Italia sono 5000 i detenuti condannati in questo modo [3].
Tornando alla Francia: per diciotto anni non vi sono estradizioni, fino all’agosto 2002, quando Paolo Persichetti viene arrestato e rimpatriato, in base a un decreto d’esradizione firmato nel 1994 dall’allora primo ministro Edouard Balladur. E’ il segnale di un cambio di fase. Il guardasigilli Perben dichiara che d’ora in avanti le vicende dei rifugiati italiani saranno valutate caso per caso.

2. Dare a Cesare quel che è di Cesare

caesar.gifL’enfasi posta dal diritto penale italiano sui reati associativi (e in particolare sulla “fattispecie terroristica”) ha spesso portato i PM a fregarsene delle responsabilità individuali in fatti concreti, che hanno via via perso importanza a vantaggio del “fine ultimo”. Sovente si è processata prima l’ideologia degli imputati, vera base della “fattispecie terroristica”, e solo in seconda battuta i reati specifici di cui erano accusati.
A memoria di questa tendenza, andrebbe scolpita nel marmo una dichiarazione di un giudice istruttore del processo “7 Aprile” (spezzone romano), rilasciata al “Corriere della Sera” il 27/5/1979: “Stiamo cercando di ricostruire il percorso ideologico che ha portato l’imputato a commettere i gravissimi reati di cui è accusato… L’imputato non si è ancora accorto di questo e continua ad attendersi che gli venga contestato un fatto preciso”.
Il 5 luglio dello stesso anno, sullo stesso giornale si poteva leggere un’intervista a Pietro Calogero, titolare dello “spezzone veneto” dello stesso processo, in cui il magistrato definiva “ingenuo e sbagliato” pretendere “prove di fatti terroristici specifici”.
Tra l’altro, questo ha portato alla progressiva scomparsa di reati intermedi come il “favoreggiamento”: si è tutti terroristi e basta.
Con un clima del genere, era prassi quotidiana che a un imputato fossero attribuiti tutti i crimini commessi dal gruppo di cui faceva parte, anche quando circostanze oggettive ne rendevano impossibile la presenza e partecipazione.
Successe anche a Cesare Battisti, condannato per vari omicidi, due dei quali avvenuti lo stesso giorno a Milano e Venezia, a meno di mezz’ora di distanza.
Per tali reati, dei quali si proclama innocente, fu condannato in contumacia con sentenza definitiva. Soprattutto per questo il 29 maggio del 1991 la Chambre de Accusation di Parigi si oppose all’estradizione, in quanto contraria alla Convenzione Europea dei Diritti Umani.
Poiché il governo italiano non ha presentato nessun nuovo documento, di fatto l’arresto, la carcerazione e il nuovo riesame della situazione di Battisti violano un principio che sta molto a cuore ai francesi: non si può essere processati due volte per lo stesso reato, cosa che in questi giorni hanno fatto notare anche il Syndicat de la Magistrature e il Syndicat des Avocats de France.

3. Dai pacchi-bomba ai bombaroli-pacco passando per “Mamma li turchi!”

binladen.jpgIl ministro degli interni Pisanu ha definito l’arresto di Battisti “un ulteriore significativo passo in avanti nella lotta al terrorismo”.
Stiamo parlando di un uomo che ha abbandonato la lotta armata e da più di vent’anni non commette alcun reato. Nel frattempo, non solo è rimasto perfettamente visibile e reperibile da chiunque, vivendo alla luce del sole e lavorando come portinaio di un condominio, ma è addirittura divenuto un personaggio pubblico, uno scrittore che lavora con prestigiose istituzioni culturali e i cui libri sono pubblicati da grossi editori.
Stiamo parlando di una persona il cui rimpatrio non aggiungerebbe alcunché alla nostra comprensione della lotta armata degli anni Settanta.
Aver messo le mani su questa persona viene spacciato come una brillante operazione anti-terrorismo.
Anche l’estradizione di Persichetti fu presentata come un eroico blitz o un’operazione da 007. La realtà era ben diversa: Persichetti era docente a contratto all’Università di Paris VIII, i suoi orari di lezione e ricevimento erano appesi in bacheca e disponibili sul sito web dell’ateneo. Non era poi difficile “scovarlo”.
Purtroppo, dopo l’11 Settembre e il nefasto ritorno delle “nuove BR”, in nome dell’allarme-terrorismo si può ammannire all’opinione pubblica qualunque cazzata, anche madornale.
Negli USA l’isteria sul terrorismo ha portato a leggi di abnorme liberticidio come il Patriot Act o l’Homeland Security Act, e a inviti ridicoli alla popolazione, come quello a sigillare gli infissi delle case con nastro isolante per far fronte a possibili attentati chimici [4].
In Italia, oltre alle farse mediatiche e alle storie di manette facili, è partita una grande seduta spiritica per evocare i fantasmi del passato.
Ai movimenti è stato imposto un dibattito senza capo né coda su violenza e non-violenza, le contiguità tra lotte sociali e terrorismo, la presa di distanza dai pacchi-bomba (come se la distanza non fosse già oggettiva e ben evidente). Trappola retorica in cui il ceto politico “no global” è caduto a faccia in giù, quando proprio non ci si è buttato con un’incudine al collo.
Il già citato art. 270 bis figura negli avvisi di garanzia consegnati dalle Alpi alla Sicilia a occupanti di centri sociali, sindacalisti di base, attivisti anti-guerra e reduci dalle manifestazioni anti-G8 di Genova [5].
Sul versante della caccia al terrorista islamico, abbiamo assistito a ripetute campagne d’allerta su attentati dati per imminenti, per poi scoprire che non avevano alcun fondamento [6].
Altrettanto gravi sono i numerosi casi di “mostrificazione” dei musulmani, gente sbattuta al fresco e sui TG di prima serata sulla base di indizi inconsistenti, in seguito (quando gli è andata bene) liberata senza clamore e senza una scusa.
A Bologna, il 20 agosto 2002, cinque persone vengono arrestate all’interno della basilica di S. Petronio, in Piazza Maggiore. Secondo la Procura, stavano facendo un sopralluogo per preparare un attentato. Il reato di cui sono accusati è il solito 270 bis. Acriticamente, i media amplificano la notizia. Il “Corriere della Sera”, fottendosene della presunzione d’innocenza, titola: “Al Qaeda voleva colpire a Bologna. Piano per un attentato alla basilica di San Petronio sventato da un’operazione dei carabinieri. Nel mirino l’affresco con Maometto all’Inferno”.
Ma chi sono gli arrestati? Si tratta di un professore italiano e quattro cittadini marocchini, in visita turistica a Bologna, entrati in S. Petronio con una videocamera e sorpresi a chiacchierare in arabo davanti al famoso affresco, che per i musulmani è altamente blasfemo. Del resto, come reagirebbe Baget Bozzo se gli arabi scrivessero “Porco Dio” a caratteri cubitali sui muri delle moschee?
In meno di ventiquattr’ore, per fortuna, la vicenda si sgonfia. L’equivoco è chiarito, i cinque vengono scarcerati, la Procura di Bologna e i media (locali e nazionali) hanno fatto una gran figura di merda, ma tanto verrà dimenticata nel giro di pochi giorni.
E’ solo un piccolo preludio alla grande demonizzazione dei musulmani in Italia.
Nei due anni successivi, a orientare le indagini dell’Antiterrorismo sarà il mito della “cellula terroristica in sonno”, cioè non attiva ma pronta a diventarlo (il famoso reato “a consumazione anticipata” di cui parlava Calogero).
Le indagini sono nutrite di cultura del sospetto e interpretazioni capziose al limite del paranoico. Come nei giorni del “7 Aprile” e dintorni, una conversazione telefonica in arabo su una partita di calcio diventa un messaggio in codice su un attentato da preparare in Germania. Comunissime espressioni idiomatiche arabe diventano inquietanti squarci su esistenze clandestine. Sulla confusione tra un verbo e un altro si costruiscono altissimi castelli di carte.
Tutto queste emerge nel processo di Milano contro i membri della moschea di Viale Jenner, sospettati di legami con Al Qaeda. Certo, si tratta di appartenenti all’Islam radicale, ma di per sé non è un reato. Alla spinosa questione, Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo dedicano un pezzo apparso su “La Repubblica” del 27 gennaio scorso, dal titolo: “Quando la caccia ad Al Qaeda mette a rischio lo stato di diritto”. E’ una presa di posizione importante, dato che sul loro stesso giornale ha scritto per molto tempo Magdi Allam, i cui articoli e libri criminalizzanti hanno contribuito non poco a diffondere la peggior cultura del sospetto [7].
L’articolo include una dichiarazione virgolettata di Renzo Guolo, studioso dei fondamentalismi contemporanei: “E’ problematico provare che proselitismo e propaganda ideologica si traducono automaticamente in favoreggiamento delle organizzazioni terroristiche. La distinzione tra l’appartenenza all’Islam radicale o alla sua ala jihadista è spesso sottile, ma paradossalmente coincide con quella che separa i reati d’opinione da quelli di terrorismo”. [8]
Cogitationis poenam nemo patitur, appunto.
Pochi giorni fa, il 12 febbraio scorso, all’aeroporto di Venezia viene bloccato un volo Alitalia per Roma. Motivo? A bordo c’è un passeggero di cittadinanza irachena. Un terrorista iracheno? No, un iracheno e basta. Volo ritardato di due ore, tutti scesi, si passa il metal detector mentre la polizia interroga il sospetto (ma sospetto in base a che?) e gli perquisisce i bagagli, già passati al check-in senza problemi. Risultato: il tizio è un rifugiato politico residente in Norvegia, che ha un appuntamento all’ambasciata turca di Roma per ottenere un visto [9].
Che l’allarme terrorismo sia il più delle volte esagerato pare rivelarlo un fatto recentissimo: i famosi Nuclei Territoriali Antimperialisti (banda armata attiva nel Nord-Est su cui si indagava dalla metà degli anni Novanta) in realtà non sarebbero mai esistiti. Tutto un bluff portato avanti da un ex-giornalista di destra un po’ mitomane, tale Luca Razza, 36 anni, nel 1998 candidato alle amministrative del comune di Udine nella lista d “SOS Italia”, piccolo movimento filo-Haider. Aveva preso un unico voto. Presumibilmente il suo.
E i documenti degli NTA? Copia-e-incolla da articoli di giornale e vecchie “risoluzioni strategiche” delle BR trovate sul web. Gli attentati? Roba da ladri di polli: qualche auto incendiata e poco più. Razza avrebbe anche rivendicato azioni non compiute da lui, ad esempio facendo una telefonata dopo l’omicidio Biagi. “Ho iniziato a scrivere quei documenti per fare uscire il mio disagio e la mia rabbia. Anche professionale: mi piace molto scrivere, è la mia passione, e nel 1992 sono stato allontanato da un quotidiano dove lavoravo come giornalista pubblicista […] [Ho] fatto tutto questo senza intenzione di uccidere alcuno e senza volontà di eversione dell’ ordinamento”. Una bella sequenza di “scherzi” per i quali lo avrebbero aiutato due burloni amici suoi.
Nel bel mezzo di tutto ciò, l’arresto di Battisti viene definito “un ulteriore significativo passo in avanti…” etc. etc.

4. L’appello, le reazioni, la “soluzione politica”

glialtridue.jpgSecondo alcuni che si atteggiano a lucidi strateghi della realpolitik, non sarebbe il momento di criticare il sistema giudiziario, perché la priorità è liberarsi di Berlusconi, e oggi il “garantismo” è strumentalizzato dal governo e dobbiamo distinguerci e così via.
Per prima cosa, quello del governo non è garantismo. Certo, questa destra cerca di depenalizzare una ristretta tipologia di reati commessi solo dai ricchi, nascondendo il privilegio di classe e l’indole golpista dietro una caricatura di garantismo. Al contempo, però, impone a tutti gli altri leggi autoritarie e liberticide sulle droghe, sull’immigrazione, sui diritti dei lavoratori, sulla fecondazione assistita, sui manicomi, sugli orari dei locali pubblici e chi più ne ha più ne metta. Vorrebbero addirittura vietare ai bambini sotto gli undici anni di partecipare a manifestazioni (“fatta eccezione per le udienze papali”). [10]
Non va dimenticato che mentre Lorsignori ingaggiavano un braccio di ferro con la magistratura sulle questioni che li toccavano direttamente, non hanno mai smesso di comportarsi da partito d’ordine: se ne fottono se le carceri scoppiano (facendosi scavalcare “a sinistra” da Wojtila: forse dovrebbero vietare ai bambini anche le udienze papali); non vogliono dare la grazia a nessuno; fanno sparare sui manifestanti…
Al rimpatrio coatto dei rifugiati a Parigi sembra tenerci particolarmente il ministro Castelli, bell’esempio di “garantista”, che ha affrontato più volte il problema col collega Perben. Ci tiene perché vuole utilizzare le estradizioni nel clima di allarme descritto al paragrafo precedente. Non c’è dunque nessuna contraddizione tra la lotta contro le estradizioni e per il superamento dell’emergenza, e la lotta contro questo governo che strumentalizza le paure della gente per negare i diritti fondamentali.
In secondo luogo, è vero che la priorità è detronizzare l’Unto, ma se per farlo si deve imporre un nuovo Pensiero Unico sulla magistratura, intesa come casta d’eroi da venerare e a cui dare sempre e solo ragione, si passa da un autoritarismo all’altro, dal messianesimo forzitaliota al messianesimo giudiziario, senza superare l’emergenza e ben lontani dal risolvere i problemi del nostro ordinamento, anzi, quasi certamente aggravandoli.
Aggiungo che, parlando delle leggi speciali, non possiamo tacere sulle gravi responsabilità del PCI, che appoggiò con entusiasmo – e talora addirittura propose – le misure più autoritarie. Allo stesso modo non possiamo tacere sulle responsabilità dei suoi eredi, prima PDS poi DS, che negli ultimi vent’anni non hanno fatto né assecondato un solo passo per uscire dalla cultura dell’emergenza e chiudere quella pagina di storia. Anzi, a più riprese e su diversi temi i DS si sono presentati come il campione dei partiti d’ordine, invariabilmente “più realisti del re”, anche per paura di essere lasciati “fuori dalla modernità”. Brrrrrr…
Insomma, lottare contro la destra non può significare mettersi la mordacchia e non criticare più la sinistra istituzionale, o la magistratura.
Oggi a proporre una soluzione politica all’emergenza è proprio uno dei principali protagonisti della repressione, Francesco Cossiga. Fin da quand’era al Quirinale sostiene la necessità di un indulto, un’amnistia, comunque un atto che parta dalla ri-contestualizzazione della lotta armata, la sua restituzione a una dimensione (nel bene e nel male) politica. Nel 1997, in un’intervista a “Sette”, dichiarò: “Non avevamo a che fare con criminali comuni. L’amnistia non è il perdono. E’ uno strumento politico: vuol dire chiudere politicamente un periodo storico. Quella del ’68 e del ’77 è stata una generazione di militanti. E anch’io sono un militante.” Con dichiarazioni come questa, l’ex-Presidente si è più volte esposto a una pioggia di strali, cosa che sembra divertirlo un mondo.
Se lo stesso Cossiga – che sulla più allucinante delle leggi speciali ci mise addirittura il nome – afferma che la soluzione al problema non può essere trovata dentro il diritto penale e nelle pieghe delle vicende individuali, si capisce quanto siano fuori contesto le obiezioni del tipo: “Ma perché Battisti non torna in Italia ad affrontare la giustizia, anziché comportarsi come Craxi?”, “Ma perché non va in galera? Al massimo chiederà la grazia”, o addirittura: “Ma perché è fuggito? Non poteva comportarsi come Adriano Sofri?”.
Son tutti integerrimi, quando si tratta della galera degli altri.
Innanzitutto, togliamo di mezzo il paragone con Craxi. A Cesare Battisti è stato riconosciuto lo status di rifugiato politico, e per motivi più che buoni. A prescindere da qualunque valutazione sulla vicenda giudiziaria ed esistenziale dell’ex-leader socialista, sono due situazioni diverse sotto ogni punto di vista.
Chi fa questo genere di obiezioni ha una visione completamente schiacciata su un presente che crede eterno, senza principio e senza fine. Non sa nulla del contesto di fine anni Settanta, non sa da cosa alcuni sono fuggiti: processi grotteschi per la negazione del diritto di difesa; imputati ammassati in gabbie, sovente in pessime condizioni psicofisiche, reduci da mesi o anche anni di carcerazione preventiva in culo al mondo, nelle carceri speciali; in queste ultime c’erano anche i cosiddetti “braccetti della morte” (sezioni di isolamento assoluto) e vigevano angherie da parte degli agenti di custodia, perquisizioni corporali intime ripetute ogni giorno etc.; nel frattempo i capi d’accusa “lievitavano” per allungare a dismisura i termini del carcere preventivo; infine, i media prima contribuivano alla tua “disumanizzazione”, facendo di te un mostro, poi si scordavano che esistevi. Tutte cose denunciate da Amnesty International nei suoi rapporti di quegli anni.
E’ del tutto privo di senso il paragone con quanto subito da Adriano Sofri, per quanto grave: altra epoca, altra copertura mediatica dei processi, condizioni di detenzione completamente diverse. Sofri scrive su due o tre quotidiani e un rotocalco, appare in tv, scrive libri, ha intorno a sé una vastissima rete di solidarietà, la lotta per la sua grazia è portata avanti da un’alleanza politica trasversale, “terzista”. Inoltre ha una certa età. Situazione completamente diversa da quella di un ventenne-venticinquenne mandato in un carcere speciale alla fine degli anni Settanta. E comunque Pietrostefani, co-imputato di Sofri, ha fatto la stessa scelta di Cesare Battisti, e nessuno gli ha rotto i coglioni, nemmeno Sofri, il quale non ha mai preteso che le sue scelte valessero per tutti. Ma poi, scusate, si fugge da che mondo è mondo, e solo in Italia la contumacia è considerata prova di colpevolezza.
La grazia. Sofri, che nemmeno l’ha chiesta, assiste (immagino in preda al disgusto) al delirio che la proposta ha scatenato. Massimo Carlotto spinse il suo metabolismo impazzito oltre i 140 chili e sulla soglia della morte prima che gli fosse concessa. A Curcio non la diedero anche se la proponeva Cossiga, allora Capo dello Stato.
Battisti, a differenza di Sofri, non ha grossi agganci politici. A differenza di Carlotto, gode di buona salute. A differenza di Curcio, è accusato di reati di sangue. Insomma, il più morto dei binari morti.
Un’altra obiezione all’appello, di natura del tutto differente, è questa: “Si è messa troppa enfasi sul fatto che Battisti è uno scrittore”. Può pure darsi. E’ un appello scritto rapidamente (non da noi, ma da alcuni amici di Cesare), e – soprattutto – rivolto all’opinione pubblica di Francia, dove la persona in questione non è descritta come un macellaio, un aguzzino, una belva assetata di sangue, bensì come uno scrittore. In parole povere: in questi giorni non è in galera il Cesare Battisti del 1980, ma quello del 2004, e l’appello descrive quest’ultimo. L’appello è rivolto ai francesi perché, allo stato attuale e per tutti i motivi descritti sopra, in Italia una campagna d’opinione non sortirebbe alcun effetto.
Termino questo paragrafo con una riflessione da cinefilo: in Inghilterra, sulle aberrazioni delle loro leggi antiterrorismo, ci hanno realizzato un film come “Nel nome del padre”. In Italia, di vicende come quella di Gerry Conlon e compagnia ne abbiamo letteralmente centinaia, anche più spaventose di quella. Dove cazzo sono i film? [11] Se ve ne viene in mente qualcuno mandatemi il titolo.

4. Lo stato delle libertà in Italia

freedom2.jpgIn parole poverissime: in questo Paese c’è una grandissima voglia di spaccare i maroni al prossimo. Si vuole metter becco nella libera scelta di una persona di non farsi amputare un piede, ci si indigna perché i testimoni di Geova rifiutano le trasfusioni di sangue, si vorrebbero risolvere complicate questioni di bioetica con scorciatoie come il silenzio-assenso, si infilano nei consultori preti per convincere le ragazze a non abortire, si propone la “castrazione chimica” per i pedofili, AN ha una proposta di legge contro le sette sataniche…
Nel 1998 alcuni membri dell’allora Luther Blissett Project scrissero un corposo saggio intitolato “Nemici dello Stato: criminali, mostri e leggi speciali nella società di controllo”, pubblicato da Derive Approdi, nel quale si parlava di “molecolarizzazione dell’emergenza”, cioè “un suo spingersi dalla res publica ai microlegami sociali, dall’ordine pubblico alla privacy, fino ai recessi delle differenze singolari. In altre parole: dal Politico (territorio già completamente colonizzato e strutturato) al Culturale (in senso lato, antropologico) allo.. Spirituale”.
Non riporto qui nemmeno uno dei numerosissimi esempi riportati in quel saggio. Mi limito a dire che, da allora, la situazione è nettamente peggiorata, e non è solo una questione di destra e sinistra, o di comunicazione mediale viziata dal conflitto d’interessi. La questione va molto più a fondo: è in atto un’offensiva contro la libertà d’espressione in tutte le sue accezioni, dalla libertà di culto a quella di cura e scelta terapeutica.
Sovente il nostro presunto “oltranzismo” su questi temi (che è poi lo stesso oltranzismo di Voltaire) ci ha attirato molte critiche (e addirittura calunnie e tentativi di censura). Alcuni di noi hanno preso posizione per la libertà di parola degli storici negazionisti contro la legge Fabius-Gayssot [12], dei neofascisti contro la Legge Mancino, dei dissidenti in materia di HIV/AIDS. In vicende ben note abbiamo difeso la libertà d’associazione dei satanisti. Per noi non si transige: alle idee, per quanto rivoltanti o sconvenienti le si possa considerare, vanno comunque opposte altre idee, non la forza dello Stato in armi. Per l’ennesima volta: cogitationis poenam nemo patitur. E ci interessano i “casi-limite”, perché su di loro si sperimenta la restrizione delle libertà di tutti quanti.
Questo non può essere un pezzo esaustivo, ad esempio non potevo certo citare tutti gli episodi di falso allarme sul terrorismo. Spero però di aver dissipato alcuni equivoci. Di lavoro da fare ce n’è tantissimo, e non si creda che con la caduta di Berlusconi lo stato delle libertà in Italia, lo stato di queste libertà, registri un sensibile miglioramento. Bisogna lottare, non lasciarsi imbavagliare, rifiutare per quanto possibile i ricatti morali della realpolitik.

15-16 febbraio 2004

Per contribuire alla campagna di solidarietà a Cesare Battisti:
Valentine Battisti BNP Paribas 30004 01861 00001268951 84
E’ inoltre possibile inviare un assegno riscuotibile in Francia a questo indirizzo:
Valentine Battisti – 1, rue Bleue – 75009 Paris

NOTE

1. Stavolta a Giuseppe Genna non gli si può proprio dire un cazzo. Si è sbattuto notte e dì per far firmare l’appello e informare sul caso di Cesare. Gli va riconosciuto senza se e senza ma.

2. Ecco altre due caratteristiche tipiche del nostro sistema giudiziario/mediatico: la prima è l’inversione dell’onere della prova, ovvero non è lo Stato che deve dimostrare la tua colpevolezza, sei tu che devi provare la tua innocenza; la seconda è l’escrescere dei “pentitismi”, delle delazioni, delle chiamate di correo, dei “super-testimoni”. Il lavoro d’indagine viene quasi interamente sostituito dalle rivelazioni del tale o del tal altro, sostituzione che si è fatta sistema con la legge sui pentiti del 1982 ed è oggi considerata naturale.

3. Nel 2002 Stefano Surace, sessantanovenne, fu arrestato e incarcerato a causa di tre condanne per oscenità risalenti a più di trent’anni prima, quando dirigeva la rivista “Le Ore”. Surace non sapeva nulla di quei processi, si era trasferito in Francia ed era stato condannato in contumacia. Al suo ritorno in Italia fu arrestato. La vicenda fece un certo scalpore, per ottenerne la liberazione si mossero la FNSI e Reporters Sans Frontières.

4. Quello del nastro isolante era un consiglio dell’amministrazione Bush. Poi si è scoperto che la più grande ditta produttrice di nastro isolante negli Stati Uniti aveva contribuito alla campagna elettorale repubblicana. Cfr. http://www.thenation.com/doc.mhtml?i=20030331&s=drmarc

5. Cfr. l’arresto di alcuni militanti di Cosenza e Taranto nel novembre 2002, storia raccontata da Claudio Dionesalvi nel suo libro “Mammagialla”, Rubbettino, Cosenza 2003.

6. cfr. http://www.repubblica.it/2003/k/sezioni/cronaca/terroita/bodava/bodava.html.

7. L’unica opera di controinformazione su Magdi Allam è la memorabile serie di articoli “Il Pinocchio d’Egitto”, scritti da Valerio Evangelisti nella prima fase della guerra in Iraq e pubblicati su carmillaonline.com: https://www.carmillaonline.com/cgi-bin/mt-search.cgi?IncludeBlogs=2&search=Magdi+Allam

8. L’articolo si trova qui in formato pdf: http://www.difesa.it/ministro/rassegna/2004/gennaio/040127/56dq0.pdf

9. Cfr. http://www.repubblica.it/2004/b/sezioni/cronaca/islammilano2/venezia/venezia.html

10. Da “Panorama” del 4/2/2004: “La parlamentare Alessandra Mussolini è assolutamente contraria a una proposta ‘che’ sostiene ‘dà un’immagine deteriore della politica, la politica è importante, fa parte della vita, io stessa da piccola leggevo il quotidiano anziché Topolino’.

11. Con la lodevole eccezione de “Il fuggiasco” di Andrea Manni, che racconta la vicenda di Massimo Carlotto.

12. Appunto, non è il caso di idealizzare la Francia. La legge Fabius-Gayssot, approvata dal parlamento francese il 13/7/1990, all’art. 8 punisce (con pene da un mese a un anno di reclusione, e/o con un’ammenda da 2000 a 300.000 franchi) “coloro che avranno contestato… l’esistenza di uno o più crimini contro l’umanità come li si è definiti nell’articolo 6 dello statuto del Tribunale militare internazionale, allegato all’accordo di Londra dell’8 agosto 1945, e che sono stati commessi dai membri di un’organizzazione dichiarata criminale in applicazione dell’articolo 9 del suddetto statuto, o da una persona riconosciuta colpevole di tali crimini da una giurisdizione francese o internazionale” (trad.nos.)