di Lorenzo Trenti
[da Fondazione Elia Spallanzani]

paoloagaraff.jpgleranedikosamui.jpgIl tuo romanzo, Le rane di Ko Samui [qui l’introduzione di Valerio Evangelisti], si apre con l’epilogo. Mi sembra il minimo, a questo punto, ribaltare anche quest’intervista e porti subito una questione che in genere si solleva alla fine. Quindi: fatti una domanda e risponditi.

Mi faccio la domanda: Comincia dall’epilogo????
Mi rispondo: Porca zozza porca! Si sono sbagliati a impaginarlo! O forse no: forse quando ho deciso ero sotto il controllo di una delle altre personalità agaraffiane, un po’ come il Gorilla di Sandrone Dazieri. Oppure ha preso il sopravvento l’editore che possiede (anche carnalmente, talvolta) tutti i pezzi di Agaraff ed è un fan di Palahniuk, innamorato dell’incipit di Fight Club. Oppure si tratta di una tipica dislocazione spaziotemporale, determinata da un casuale passaggio nel Cherudek, proprio mentre il tipografo impaginava il libro… Sì. Questa è l’opzione più probabile…
Mi faccio un’altra domanda: Ma chi me l’ha fatto fare?
Mi rispondo: Credo che tu, o Incauto Intervistatore, ti renda conto di quanto sia grave la schizofrenia che affligge P. (P come Poveretto) Agaraff.

Come possono, quindi, manifestazioni psichiche di tale diversità e violenza coesistere in una forma comune al punto da dare origine a un libro? Lascia che l’arcano ti sia svelato: il motivo è una prosaica Promessa Inenarrabile (almeno quella) fatta ai Demoni Superiori dell’Ego Smisurato, i quali, sportivamente, hanno accolto la scommessa, e cioè che sarei riuscito a scrivere e pubblicare un libro nonostante le interferenze reciproche delle mie Pretenziose Personalità. Fortunatamente ho vinto la scommessa, altrimenti ora staresti intervistando un guscio vuoto… Miracoli dell’istinto di sopravvivenza!

Le rane di Ko Samui, un po’ come il suo autore, è un romanzo multiplo: mescola il racconto umoristico, le tematiche lovecraftiane e una certa attinenza al mondo del gioco intelligente. Insomma, come nota Evangelisti nella bella prefazione, sembra destinato invariabilmente all’oblio. Ti stai rivolgendo a un pubblico di lettori composto dalla nicchia della nicchia?

La domanda merita un molteplice piano di risposta.
Risposta sociologica: I protagonisti del racconto (Filippo Vespasiani, Giacinto Panetta e Alessio Principi) sono dei cinici vecchiacci in viaggio in Tailandia. Questa scelta non è casuale. L’età media della popolazione in Italia ed in Europa sta crescendo inesorabilmente. Aumenta ogni giorno il numero dei pensionati che se la spassano in Tailandia e, soprattutto, il numero di quelli che vorrebbero spassarsela in Tailandia ma non riescono nemmeno a comprarsi la mortadella a causa del carovita. Agaraff conta su di loro! Sono loro il suo pubblico: i cinici e incazzosi pensionati della porta accanto! Harry Potter, quel ragazzino buonista e precisino, e Dylan Dog, il belloccio sessualmente iperattivo, stanno decisamente sulle palle a Giacinto Panetta e a tutti quelli che sono sulla buona strada per diventare dei Giacinto Panetta. Le rane di Ko Samui è la rivincita dei lupi grigi sui ragazzi prodigio! Una nuova dimensione per gli Investigatori dell’Incubo…
Risposta esistenzialista: È curioso come il problema dei lettori non mi abbia sfiorato. L’esperienza dello scrittore è all’inizio un po’ quella dell’artista da strada, che suona l’organetto; i lettori sono come passanti: buttano un occhio, valutano, decidono se rimanere o andarsene. Per lo più se ne vanno. Il povero mendicante prova allora a cambiare musica, strumento, adotta una scimmietta (che risulta comunque molto più interessante di lui) ma le sue dita si stancano e i motivi che egli suona sono sempre gli stessi. La gente non ha tempo. Deve valere veramente la pena per fermarsi anche solo un attimo ed il musico mendicante è ormai logoro, ha i crampi alle mani e la scimmietta è fuggita, attratta da una banana più grossa. Più passa il tempo e più la polvere si deposita all’interno del cappello, dal tessuto sfibrato. Un bel mattino, dopo una notte di gelo, il passante noterà il cadavere del mendicante con lo strumento ancora in braccio, tenuto come una borsa d’acqua calda, e solo in quel momento le sue note giungeranno ai suoi orecchi. Solo allora si renderà conto che c’era un’anima in quell’uomo seduto per terra che suonava e suonava, nei giorni passati. Solo allora vedrà il cappello, con poche sbiadite monete che il vagabondo era troppo debole per andare a spendere. Allora si chinerà, si guarderà in giro, infilerà la mano nel cappello e si metterà in tasca gli spiccioli con un movimento disinvolto. Poi se ne andrà, fischiettando un motivetto udito chissà dove per la strada.
Risposta cthuloide: Chiunque abbia letto un racconto del Solitario di Providence o giocato a una sessione de Il Richiamo di Cthulhu sa che l’essere umano è destinato all’oblio e così le sue creazioni. Marchiato a fuoco da questo triste destino, segnato dalle caustiche parole del papà di Eymerich, posso solo sperare in qualche minima, temporanea e transeunte operazione di recupero postumo, che avverrà immancabilemte dopo l’inumazione (e/o incenerimento) del corpo putrescente di Paolo Agaraff. In realtà è sicuramente uno sporco tiro dei Demoni Superiori, che sperano io diventi famoso dopo morto, come Lovecraft, cosicché il mio ego smisurato mi spinga a ricercare un semplice seppuku come scorciatoia per il successo. Naturalmente non sono così pazzo da accontentarli, e allora mi sono inventato la storiella della narrazione al servizio del gioco (e viceversa). Praticamente, spero di introdurre altra gente nella nicchia dei giocatori pescando a piene mani dal popolo degli amanti della narrativa fantastica. Tramite il sito agaraff.com cerco di fornire ai miei lettori elementi per giocare con e nelle mie storie; al contempo, sostengo il gioco di narrazione con materiali di qualità. Se non funzionasse, non mi resterebbe che il seppuku… e il labile segno di un codice ISBN come memoria…
Risposta giocoruolistica: Boh! Proviamo un Tiro Fortuna e vediamo come butta…

Non è la prima volta che l’universo del gioco e quello della letteratura vengono a collidere: penso per esempio al Trofeo RiLL per il racconto fantastico, nato in ambito ludico e giunto alla sua decima edizione, la cui raccolta da libreria è stata presentata alla stessa Lucca Comics & Games in cui hai parlato del tuo romanzo. Secondo te perché c’è un passaggio tra queste due realtà?

Forse perché nessuno vuole fare seppuku! Scrivendo scenari per giochi di ruolo, mi sono reso conto che il lavoro necessario a costruire belle storie, ovvero ambientazioni coerenti, trame avvincenti e personaggi credibili, poteva essere riutilizzato anche per sviluppare un libro tradizionale. E poi, gioco e narrativa hanno innanzitutto in comune un aspetto fondamentale: l’evasione ed il meccanismo di immedesimazione. Quando giochi a Wings of War tu SEI il Barone Von Richtofen, coinvolto in uno scontro aereo della prima guerra mondiale. Analogamente, quando leggi Antracite di Valerio Evangelisti ti ritrovi a camminare al fianco di Pantera lungo le stradine polverose del selvaggio West, lontano dal cemento della città. In entrambi i casi, in quei momenti, sei fuori dalla realtà quotidiana, catapultato in un mondo diverso, sottoposto a stimoli e idee nuove. È quindi logico che esista una buona fetta di appassionati del mondo ludico che apprezza anche la narrativa, in particolare quella fantastica, di evasione. Inoltre, sotto la maschera dell’intrattenimento puro, la narrativa fantastica di qualità cela spesso ulteriori piani di lettura: essa consente infatti di costruire rappresentazioni della realtà che sono, al contempo, remote eppure legate al quotidiano tramite contrasti ed accostamenti che ne svelano il volto solitamente celato, a volte orrido, a volte grottesco, a volte semplicemente ridicolo. E, allo stesso modo, come la letteratura ti svela alcuni aspetti del mondo fuori di te, il gioco ti rivela ogni volta qualche aspetto di te stesso. Gioco e letteratura sono strumenti di esplorazione e di approfondimento. Anche da questo punto di vista, non deve sorprendere che esistano elementi di contatto tra questi due mondi. Il gioco di ruolo, infine, è ancor più vicino alla letteratura vera e propria, visto che nasce come punto d’incontro tra il romanzo interattivo, la commedia dell’arte e lo psicodramma. Per costruire uno scenario convincente bisogna avere una storia interessante e credibile, che stimoli il giocatore e non si sfilacci, ed in cui si muovano personaggi vivi e reali. Quindi, in sostanza, servono gli stessi ingredienti necessari per un buon libro. E i buoni libri, infatti, possono potenzialmente generare ottimi film e spettacoli teatrali, ovvero sceneggiature che si ottengono “riducendo” il romanzo al contesto in cui lo si vuole rappresentare. Tra romanzo e gioco di ruolo c’è un rapporto simile a quello che c’è tra romanzo e teatro. Come insegna On Stage! — il gioco dell’attore.

Si vocifera che a Lucca, durante la presentazione del libro, il tuo grido di battaglia sia stato “A noi Wu Ming ci fa una pippa”. Considerazioni grammaticali e di buon gusto a parte, come vedi il recente proliferare di autori fuori dai canoni? Oltre agli scrittori collettivi ultimamente abbiamo un’invasione di anonimi, pseudonimi, finti autori, testi generati da algoritmi informatici e chi più ne ha più ne metta.

Wu Ming cosa?!? Poiché mi esprimo in italiano, è evidente che una simile frase non può essere attribuita a me! Inoltre non mi sono MAI abbandonato a siffatte fantasie onanistiche. Ammetto di nutrire un’insana e sviscerata ammirazione per gli autori di 54 (e, ancor prima, per il Luther Blisset di Q), ma non ho mai desiderato passare dall’attrazione intellettuale all’accoppiamento fisico che, dato il numero di soggetti coinvolti, potrebbe condurre ad una vera e propria orgia…
Per quanto riguarda gli autori anonimi e gli pseudonimi, mi sembra proprio che non siano una gran novità in campo letterario: uno dei romanzi di fantascienza che ha più colpito la mia fantasia, da ragazzo, era Venere sulla conchiglia, una storia che parlava del senso della vita, del sesso (spesso correlato al primo argomento) e di un insistente dolore tra le chiappe (stranamente non collegato ai due precedenti temi). Il romanzo era di un certo Kilgore Trout. Ma Kilgore Trout era un personaggio inventato da Kurt Vonnegut ed ispirato, a quanto pare, a Theodore Sturgeon. Ma il Kilgore Trout di Venere sulla conchiglia non era Sturgeon, né Vonnegut, bensì Philips Josè Farmer. I temi del romanzo, uniti a questo intreccio di personaggi legati al mondo del fantastico, hanno ineluttabilmente segnato la mia giovane mente malleabile… Se poi vogliamo far riferimento a pseudonimi più lontani nel tempo (e probabilmente più celebri) dobbiamo ricordare che lo stesso Shakespeare nasconde forse il lavoro di più autori: forse è proprio uno dei primi esempi di nomi collettivi e di lavoro letterario collaborativo. Quindi, chi introduce pseudonimi e nomi collettivi, oggi, non inventa nulla di nuovo. D’altronde Paolo Agaraff non rappresenta un’identità celata o un finto autore, ma un progetto, reso possibile anche dagli strumenti che Internet e l’informatica mettono a disposizione per il lavoro collaborativo. Come i componenti di Wu Ming, anche le parti che compongono Agaraff non si nascondono: i nomi dei tre colpevoli sono facilmente rintracciabili sul sito. Infine, il progetto Agaraff mostra la sua genesi ed i suoi intenti buffoneschi sin dall’inizio, esponendo la faccia posticcia e policroma nel proprio curriculum vitae, e dichiarandosi esplicitamente un fautore della poetica del giullare. D’altronde, come asseriscono alcuni grandi autori comici (ed anche un premio nobel): bisogna ascoltare i giullari per sapere qualcosa della realtà, soprattutto in questi giorni, nell’epoca cui re, imperatori e primi ministri si limitano a raccontare stronzate e barzellette.
E comunque, diciamo la verità, il testo de Le rane di Ko Samui l’ho generato con un algoritmo informatico… d’altronde che vi potevate aspettare da un autore virtuale?

Ecco, torniamo al romanzo, la cui genesi sembra piuttosto articolata. Secondo una nota rivista di avvistamenti paranormali, il volume doveva uscire originariamente con la fascetta “tratto da una storia vera”, poi misteriosamente rimossa. È così?

Qui si parla di Misteri ed Efferatezze! La nota rivista del paranormale! Al momento il curatore della rivista è stato rapito dagli alieni: esseri provenienti dal pianeta Venere lo stanno sottoponendo ad un sondaggio approfondito. Appena lo sventurato ricomparirà, non mancherà di fornire ragguagli sull’argomento: “Le rane di Ko Samui, una storia di zoofilia o un manifesto ecologista?” Prima del ritorno del redattore capo, posso solo anticipare che ritengo abbastanza vicino al vero che almeno una delle personalità agaraffiane abbia visto dal vivo la Tailandia e ne abbia riportato ricordi (e non solo quelli) incancellabili. In particolare, l’oggetto che campeggia in copertina è la fedele riproduzione (sangue compreso) di una statuetta gracidante di fine artigianato tailandese, recuperata in un ambiente che non ha nulla da invidiare al sordido Black Mama Drink… Ma, ovviamente, ogni riferimento a cose o persone, viventi o non morte, è puramente casuale.

A proposito di riferimenti, Lovecraft è chiaramente uno dei tuoi numi tutelari. Altri autori che ti hanno reso quello che sei?

Domanda difficile, perché qui le mie Pretenziose Personalità entrano decisamente in conflitto. Prendi Lovecraft: è inviso a un terzo di Agaraff e adorato da un altro terzo. Idem per i russi (Gogol’ e Dosto’evskij). Ma tre terzi di Agaraff amano il fantastico, dunque si può affermare che il fantastico piace ad Agaraff. Che fantastica risposta, eh? Per entrare nel dettaglio, altaleniamo da Robert Louis Stevenson alla letteratura italiana (Svevo, Pirandello), oltre alla comicità tutta inglese di Woodhouse (conservo ancora tutta la serie di Jeeves, in un’edizione del 1930), a Pennac, Benni, Camilleri, Bukowski, Pasolini, Durrenmatt, Voltaire, Kafka, Mann, Proust, Joyce, Borges (una folgorazione). Per la fantascienza, sappi che nella mia libreria riposano immani quantità di edizioni Nord, Mondadori, Fanucci e minutaglie altrui. Qualche nome? Heinlein, Asimov, gli autori “new wave” e della fantascienza sociologica: Vonnegut, Farmer, Scheckley, Dick, Zelazny, Kornbluth, Pohl,che mi hanno aperto un mondo nuovo, fatto di dubbi ed ipotesi affascinanti. E poi non potrò mai dimenticare Orwell, le ombre di Ambra di Zelazny e le realtà “squagliate” e pirandelliane di Philip Dick…
Più recentemente mi sono accostato a quel sincretismo di horror, fantascienza e fantasy creato dal genio di Valerio Evangelisti, il Magister, l’autore italiano che ha rivitalizzato la narrativa fantastica in Italia, contaminandola con altri generi ed iniettandole nuove energie.
Per l’orrore vado sul sicuro con Poe, mentre come già detto riguardo a Lovecraft sono molto combattuto. Con gli anni ho capito che il vero orrore è nel quotidiano ed il “non-umano” non è necessariamente “l’alieno”: c’è più orrore in un terzo di Agaraff che in una taverna polverosa di Innsmouth…

Supponi di trovarti su un’isola deserta (giusto per rimanere in tema) e che per passare il tempo tu dovessi parlare male delle tue personalità multiple. Cosa diresti?

Oh. Ah. Uh. Be’. Che dire… Perso su quell’ipotetica isoletta, dopo essermi dedicato alla difficoltosa opera di scoperchiamento delle noci di cocco ed alla caccia dei pesci palla, dopo aver cercato di far fermentare il latte di cocco per ottenere un approssimativo superalcolico, dopo essermi quindi ubriacato ed aver guardato sognante le stelle lontane ripensando al finale di “Disperato erotico stomp” di Lucio Dalla (suppongo di essere solo soletto, sull’isola fetente), nel momento in cui le energie mi abbandonano e la mente si ottenebra, solo allora ripenserei alle mie multiple personalità. E mi verrebbe da dire: non ci casco. Ho impiegato trent’anni per costruire le mie tre personalità e non posso permettermi di denigrarle. La mia perfezione discende infatti dalla sintesi di queste tre personalità. Da questo punto di vista il vero capolavoro di Agaraff è prima di tutto Agaraff stesso. Sarebbe ozioso andare a descrivere difetti delle personalità, come sarebbe per un cavallo mangiarsi le unghie. Ma se proprio dovessi pensarci…
… Dovrei considerare che Paolo Agaraff riesce al contempo ad essere un estenuante perfezionista ed un casinista approssimativo. Un esigente rompiscatole ed un talentuoso discontinuo.
Agaraff, talvolta, è capace di intestardirsi per settimane su di una singola parola (“ma senti come sono cacofonici questi aggettivi?”) e di lasciare interi capitoli vuoti con la nota [Qui non mi viene l’ispirazione]. Il tutto mentre è la stessa persona!
In altri momenti, Agaraff è posseduto dal demone di Penelope: non rilascerebbe mai la versione finale del prodotto delle sue fatiche, preferirebbe lasciare l’opera lì a distillare e sedimentare, forse per sempre, mentre si dedica ad altre attività, soffermandosi ogni tanto a rivedere il frutto delle sue fatiche, con l’inespresso desiderio di riscrivere tutto da capo. Quando poi si decide a dire “va be’, diciamo che è finita”, stimolato fino all’estenuazione da altre parti di sè stesso, non vorrebbe veder più toccata nemmeno una virgola. Infine, c’è una parte di lui che si fa travolgere dal fiume del caos, sforna a raffica parole con risultati estremamente discontinui, e trascina l’intero multiplo soggetto in progetti ed eventi entropici, spesso contraddittori e votati al più glorioso fallimento.
Insomma, direi che le mie personalità sono un bel manipolo di disadattati egocentrici che vivono in pieghe differenti dello spaziotempo. Sarà per questo che vanno d’accordo…

Per concludere ci tocca farti la più classica delle domande conclusive. Cosa ci dobbiamo aspettare per il futuro da Paolo Agaraff, oltre a una querela per queste domande imbarazzanti?

Avevo pensato ad un calendario osè. A tale scopo mi ero anche attrezzato con un completino fetish (che fa tendenza) con tanto di giarrettiere, calze a rete, tacchi a spillo, frusta e depilatore universale. Però poi il mio curatore di immagine (l’editore), mi ha visto bardato in stile Rocky Horror Picture Show, è stato colto da conati di vomito e mi ha sconsigliato questo tipo di approccio al mercato. Ha detto che forse era meglio continuare a scrivere. E questo ho fatto… Presto sul sito agaraffiano compariranno altri materiali, ludici e narrativi. Poi, se la fortuna mi arride, l’editore si riprende dal mal di stomaco, e le ranocchie gracidano sonoramente, potrebbe arrivare un romanzo più corposo de Le rane di Ko Samui. Un omaggio alla letteratura horror, noir e gialla che dovrebbe intitolarsi Il sangue non è acqua. C’è in cantiere anche un’antologia, alla quale sta collaborando un altro soggetto ben noto all’intervistatore, un certo Angiolillo… Su questo progetto, ancora in embrione, non posso sbilanciarmi più di tanto, posso solo dire che si parla del comico nel fantastico.
A parte ciò gli obiettivi a medio termine prevedono la costruzione di una macchina del tempo, la fuga a Ko Samui, la fondazione di una comune hippy sul Monte Rosa, e la candidatura come Presidente del Consiglio alle prossime elezioni: a contar balle vado forte e se mi querelano per le risposte che ho dato posso vantare una persecuzione da parte della magistratura, elemento ormai fondamentale per ogni carriera politica che si rispetti… Se la querela non arriva, alla peggio faccio una rapina in banca. Quanto alla querela rilassati, o Incauto Intervistatore. La storia italiana del dopoguerra mi ha insegnato che l’evocazione di un Balrog è ben più efficace e conclusiva di qualunque ricorso legale. Cose orribili si prospettano nel mio futuro; con un po’ di fortuna ve ne farò partecipi… TIFENTERÒ PATRONE TI MONTO! Uahuahuahuah…

Noi attendiamo trepidanti. Buona konqvista!