di Daniela Bandini

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Cesare Battisti, Avenida Revolución, Nuovi Mondi Media, pp.210, € 13,50.
Nell’introduzione di Giuseppe Genna, Cesare Battisti viene definito “adrenalinico zingaro dello spirito e delle geografie”, definizione che meglio non si potrebbe adattare non solo al personaggio Battisti ma anche ai suoi romanzi. Lo scorrere della trama di questo Avenida Revolución è travolgente, e porta molto più lontano di quando si possa immaginare. Lontananza e deriva, con pochi sguardi all’indietro, nel procedere implacabile di una storia a tratti insondabile e rabbiosamente incoerente. La certezza che il tutto non sia un’illusione viene dalla cruda rappresentazione del dolore fisico e morale, ancorandoti alle pagine ma liberando l’immagine, lasciando il romanzo libero di esprimersi oltre la nostra angoscia di afferrarne il senso.


Al di là della trama e delle trame, amo coglierne i dettagli. L’aridità di un personaggio iniziale che assume il ruolo incolore della propria attività lavorativa, che con maniacale livore si appropria dei sogni pubblicitari dei concorsi, si trasforma in un altrettanto incolore individuo la cui storia, già scritta, si va profilando. La rassicurante e spaziosa casa paterna, già casa-laboratorio del padre, famoso scultore al servizio del clero benestante, sarà “appropriata” dal nostro personaggio, sgravata da ipocondrie familiari asfissianti e contraddittorie, per diventare rifugio di una pacata normalità.
Ereditata e a malincuore lasciata al legittimo erede, la casa milanese diviene il riscatto di tante umiliazioni e angosce infantili: per lui, il figlio impacciato e sgraziato, la casa sarà il punto iniziale di una storia affatto domestica, affatto abitudinaria, affatto lineare, come generalmente le case farebbero presagire nei loro prologhi assonnati.
Il Messico, e in mezzo l’Atlantico. Un viaggio vinto grazie a uno di quei benedetti concorsi. Tanti chilometri separano i due paesi, e tanti ne separa lo spirito del vivere quotidiano, fino a fare emergere la sensazione che la lingua parlata in Messico sia come indipendente dalle persone, un idioma con una vita sua propria che si impossessa degli esseri umani anziché il contrario. Di questo giunge a convincersi Antonio Casagrande, il nostro personaggio.
Di fatto tutti noi, forzati del cosmopolitismo, sappiamo benissimo come il dolore, la rabbia, l’amore, insomma tutti i sentimenti più elevati e quelli meno rispettabili appartengano indistintamente al genere umano. Ma il solo fatto di esprimerli foneticamente in modo diverso ci dà la convinzione di una connotazione differente del sentimento stesso, per difetto o per eccesso.
Nugoli di insetti, tra cui fiero uno scarafaggio, stanno sopra un nugolo di polvere, pronti ad alzarsi in volo al primo refolo di vento, per oltrepassare, anche loro, il “muro della vergogna”, la frontiera, il passaggio tra il Messico e gli Stati Uniti d’America. Questa immagine raccoglie molto del nostro immaginario sul luogo di confine, intasato di traffici e trafficanti, di gente che specula sulla speranza, su ciò che si trova al di là del muro. E ciò che c’è al di là, nell’arrovellarsi disperato dell’emigrante, diventa un mito difficile da contrastare con la razionalità. Generazioni intere di ragazzi e adulti fantasticano sulle “possibilità” di una vita diversa, sulle “opportunità” impensabili lì dove si trovano, rimangono a parlare e a parlare per decenni su chi ce l’ha fatta, sui dollari che ti piovano addosso “se ce la sai fare”. Con qualsiasi traffico, ma che sia in dollari. La moneta del sogno planetario.
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Avenida Revolución, come tutte le migliori utopie, non porta da nessuna parte, ma sfocia nel muro di confine tra due Stati che rappresentano il Nord e il Sud del mondo. Emblematico. E’ un Sud che preme alle porte. C’è il sergente spietato e crudele, bande di delinquenti, professioni quantomeno dubbie… L’identità di Antonio Casagrande sarà pesantemente segnata fino all’annullamento da un incontro che non può essere casuale, e che non poteva avvenire in nessun altro luogo. Non svelerò certamente un indizio fondamentale se dico che il furto delle idee equivale a un omicidio, che genera per forza di cose un suicidio. Attenzione, però: è tutto molto meno banale di quel che sembra.
L’appropriazione di una identità diversa dalla nostra, a un certo punto della nostra vita, può diventare un comodo rifugio di perbenismo o di trasgressione, purché abbia uno sbocco in un’azione qualsiasi, si prefigga una meta, e sia transitoria. E’ giustificabilissima. Abbandonare i panni rassicuranti o delinquenziali per essere qualcos’altro può risultare addirittura nobile. Ma violentare un’altrui identità, e solo quella, non un atteggiamento o uno stile, è un autentico delitto.
Su ciò si coagula il romanzo. C’è molta passione, travolgente, erotica e sensuale, tenera e disarmante, in questa storia. Una passione spesso finalizzata al “coito della penetrazione”, che non è la ricerca dell’orgasmo. Tra detenuti per determinare l’ordine gerarchico, tra un uomo e una donna innamorati che misurano così il grado della conquista successiva dell’altro, il livello di rivendicazione, di “dominio”. Roba da Internet.
Avenida revolución, c’è molta sofferenza dentro queste pagine.