di Gian Paolo Serino

khadra.jpgDa pochi giorni Mondadori ha pubblicato Le rondini di Kabul dello scrittore algerino Yasmina Khadra: si tratta di un romanzo che è un grido lacerante nel cuore della notte dell’oscurantismo e che ci catapulta in quell’anticamera dell’aldilà che chiamano Kabul. Una città dove gli uomini sono “relitti umani”, ormai del tutto trincerati dietro la propria ombra, mentre le donne “mummificate in sudari dal colore della paura” sono assolutamente anonime.
Eccovi un ritratto di Yasmina Khadra.

khadracover.jpgLontano dai riflettori dei media ci sono realtà di carta che mostrano l’altro Islam: quell’Islam dove la lotta non sempre coincide con il “terrore”, ma con il diritto di non subire coercizioni che alle nostre coordinate geografiche chiamiamo “integrazione”.
In particolare l’algerino Yasmina Khadra descrive il senso di una lotta comune portata avanti all’ombra degli stessi tempi: cupi, sinistri, irreali perché ottenebrati da una globalizzazione che ci inghiotte trasformando la rabbia in sabbia.
Khadra è un esempio reale di come la lotta possa essere davvero e ancora continua: una lotta che sarebbe “resistenza umana” se solo quest’espressione non fosse stata rubata dai media per farne un “manifesto” di ribellione apparente.
Perché QUI, nell’Occidente degli Occidenti, sono l’apparenza e la neutralità a regnare incontrastate: una condizione che nessuna vetrina infranta può cambiare (almeno se questa vetrina continua ad essere solo uno specchio mediatico deformato).
Yasmina Khadra scrive proprio contro questa nostra neutralità, contro questa nostra apatia di lettori-spettatori che, malgrado i tempi, preferiscono imbracciare libri e schermi da vita ultrapiatta piuttosto che domandarsi “cosa sognano i lupi”.
Noi lettori siamo le “anime morte” dei nostri tempi: ombre sterili che si innalzano a profeti.
Yasmina Khadra nei suoi romanzi – dal magistrale Cosa sognano i lupi? (edito da Feltrinelli) ai noir della scoperta Morituri e Doppio bianco (pubblicati in Italia da e/o) sino all’ultimo La notte di Kabul (appena dato alle stampe da Mondadori)- lotta proprio contro la neutralità sottolineando che “Non si può essere neutrali ad un incrocio.Si deve per forza scegliere una direzione”. E i protagonisti di Khadra sono esattamente questo: uomini ad un incrocio che decidono di sfidare la morte, anziché subire la vita.
In Yasmina Khadra (pseudonimo dietro il quale si cela lo scrittore Mohamed Mulessehul) i lupi sono agnelli che hanno smarrito il gregge e che di questo “gregge” non intendono assolutamente tornare a far parte, anzi: il loro “sogno” è non trasformare la vita in un incubo di sopravvivenza, è il non omologarsi a esistenze sempre più simili a prefabbricati. Il loro comune denominatore è ribellarsi: anche correndo il rischio, spesso fatale, di sbagliare nemico…
Una lotta all’immobilità che Khadra vivifica soprattutto quando descrive Algeri, le sue strade, la sua gente. Sempre più simile all’ ombra di un Occidente la cui unica abilità è l’illusione di far risplendere le proprie ceneri, Algeri diventa essa stessa metafora del mondo occidentale.
“Algeri”, scrive Khadra in Morituri, “è un malessere: si estirpano i sogni come ascessi. Algeri è l’anticamera della morte: Dio vi fa da sedativo. Algeri è un dramma itinerante: il suo avvenire non avrà riguardi per un’alba incerta e spettrale più di quanto ne abbiano gli sciacalli per un loro simile che soccombe”. “Ad Algeri”, scrive invece in Doppio bianco, “certi quartieri sembrano venti fuori dalla notte dei tempi. Le loro glorie sono lettere morte. La loro storia un delirio. Esistono solo per ossessionare le menti. Nient’altro che musei sotto sequestro e muse con le museruole, snobbati da un sole che anche di giorno si limita ad avvolgerli in una notte bianca”.
Ed è esattamente come la nostra “notte bianca”, come la nostra vita sempre più simile alla casbah algerina che “sospesa tra il ricordo e l’utopia rosicchia in silenzio la sua agonia rinfacciando alla bassa marea di non averla ancora sommersa…”.
Ed è proprio “in quell’inestricabile ragnatela che la disperazione lievita come un impasto velenoso, soffocando tutto. La gente non si aspetta più niente. I piedi in purgatorio, la testa nel limbo, le loro preghiere finiscono sempre in bestemmie. I graffiti sui muri suonano come epitaffi, mentre i portoni trasudano penombra fin dentro le nostre teste”.
In questo inferno stemperato dal nulla, in questa penombra
continua, così lontana da noi eppure così dentro di noi,
Yasmina Khadra attraverso i suoi libri ci ricorda che “i
giorni più grandi della nostra vita sono quelli in cui abbiamo
finalmente il coraggio di affermare che il male che portiamo
in noi è il meglio di noi stessi”. Perché alla fine, forse, è
davvero così: “Non ci resta che pensare al fatto che il mondo
non varrebbe la pena se non facesse così pena”…