di Daniela Bandini

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Gordiano Lupi, Nero Tropicale, Terzo Millennio Editore, pp.255, €11,00.

Fortunatamente per noi ci sono anche ottimi autori prolifici, come nel caso di Gordiano Lupi. Nero Tropicale è una raccolta di 5 racconti noir, cinque storie cubane, che si leggono d’un fiato e fanno rimanere senza fiato. Per la bellezza delle descrizioni, per l’amore senza retorica verso le persone che abitano l’isola e per il raccapriccio del delitto, descritto minuziosamente e senza infingimenti.
Cuba è probabilmente la definizione stessa di ultima chance, la risorse mentale alla quale ricorriamo come estrema ratio, l’ultima via di fuga, l’alternativa sempre possibile nella disperazione più cupa. Cuba è la possibilità di rifarsi una vita, Cuba rimane in un angolo della nostra mente e lì si radica, fa presa, entra a far parte di quel sogno al quale si può attingere nel caso che tutto ci diventi davvero troppo insopportabile.


Questi cinque racconti narrano storie di una Cuba attuale, che vive di turismo, prostituzione, e del poco lavoro retribuito in misura impossibile per soddisfare i più elementari bisogni esistenziali. Di una Cuba che ha creduto e che in parte crede ancora nella rivoluzione castrista, ma che crede soprattutto nel proprio essere nazionalisti, nell’inviolabilità del suolo patrio.
In questo miscuglio contraddittorio, quella che emerge a campione del cubano medio è una figura che arranca nell’identità meticcia delle credenze religiose popolari, dove la strana mescolanza di santi ben piantati nel cortile di casa a grandezza naturale, come San Lazzaro, o la Milagrosa, che assiste ai parti difficili e difende i neonati, si distinguono come specificità nazionale.
Suggestivi e caldissimi i toni di una Cuba di provincia, che guarda all’Avana come a un luogo spesso irraggiungibile, dove la povertà ha il sapore della dignità del poco da difendere, degli alberi di mango o dei profumi intensissimi che sfumano nei colori della sera, dell’odore del caffè “dei poveri” (quello vero è solo da esportazione), del rum “dei poveri” (quello invecchiato è un lusso inconcepibile), delle colonne sonore di giornate intere che hanno i ritmi incalzanti e un poco decadenti della salsa e del merengue, dei corpi dei giovani che si animano, delle giovani che il corpo lo usano come risorsa da vendere ai turisti. Una Cuba che ha il sapore di una sedia a dondolo che si muove languidamente al tramonto, del vecchio che si anima ai racconti dei suoi vecchi, della dolcezza struggente della lingua. Più i turisti che vanno a Cuba per turismo sessuale, che si innamorano anche (raramente), che vorrebbero rimanere, che usano e gettano, che ostentano champagne, che regalano magliette che i cubani baratteranno con del sapone, carissimo e semi-introvabile.
E il noir? Il noir è tutto qua: nello splendore esotico di un mondo a parte esce d’improvviso, saettando, il delitto più spaventoso, seriale, maniacale, carnale, infanticida. Esce d’improvviso, irrompendo nelle giornate tutte uguali e mollemente sensuali con forza devastante, si impone nella resurrezione dello spirito degli antenati durante i riti della santeria, quasi che l’unica risposta alla disintegrazione culturale e razziale fosse il delitto che si riappropria dei propri abitanti, della propria gente, con i riti antichissimi e spaventosi di teste di gallo mozzate coi denti, di avi mai sazi di riscattare antichissimi torti e di vendette generazionali incompiute.
Non muore e non nasce mai nessuno veramente, sembrano dirci questi delitti e questi riti di possessione. La terra che calpestiamo, l’anima dei defunti la calpesta ancora. E ai defunti va il rispetto e la devozione che si tributano a un bambino capriccioso ma potentissimo, non bisogna urtarli, non bisogna ostacolarli, né, tantomeno, sfidarli. In tutti questi racconti domina proprio il tema della sfida che non può essere raccolta; nel caso si osi farlo, non ci saranno giustificazioni di immaturità o leggerezza ad ammorbidire il delitto. La trasgressione si paga. Pesantemente.
In questa popolazione di ex schiavi neri c’è la disperazione della lontananza e dell’impossibilità di colmare la distanza con una terra che non vedranno più. La solitudine infinita, e il rammarico di non poter piangere sulla tomba dei propri antenati, è la maledizione tremenda dello sradicamento, simboleggiata dall’anima senza pace, che continua ad alimentare senza posa la propria sete di vendetta. Non c’è scelta, da lì nasce il delitto, solo da lì potrà nascere la salvezza.
Rimane, dopo la lettura dei racconti, una sorta di vaga nostalgia per un qualcosa che abbiamo solo afferrato al volo per un momento nella nostra vita e poi lasciato; un ricordo di sguardi di anziani che avevano tante cose da dirci e a cui abbiamo volto le spalle per raggiungere il nostro futuro. Dovevamo coglierlo lì, nel giardino della nostra infanzia.