peacecover.jpgdavidpeace.jpgTra i giovani talenti anglosassoni segnalati nel 2003 da Granta, David Peace ha un ruolo di spicco. Serialista noir, che ambienta perlopiù in Yorkshire le sue nerissime trame che compongono la saga nera di Serpent’s Tail, Peace deve essere assolutamente letto, più che per il molto celebrato Red Riding Quartet, per la puntata precedente, Ninety Eighty: una storia sporca e magnetica, che percorre una china temporale a perdifiato, appena è stato compiuto l’Omicidio: quello di John Lennon per mano di Mark Chapman. Seguire le gesta dello squartatore dello Yorkshire, in pienissima epoca tatcheriana, permette un susseguirsi di rivelazioni e sbalzi tematici che testimoniano della qualità di scrittura di cui David Peace è temibile e magistrale esecutore: una scrittura corrosiva e dinamicissima, la cifra stessa del noir contemporaneo. Il che è testimoniato dalla scelta stessa di Granta, solitamente abituata a tralasciare la scrittura di genere.

L’influenza su Peace esercitata da James Ellroy è sensibile, eppure il serial nero dello Yorkshire non assomiglia in nulla a una sbiadita copia dell’inimitabile rap hardboiled che ha raggiunto l’apice in Sei pezzi da mille. Le ripetizioni si susseguono a un ritmo impressionante, godibile, che comporta uno sforzo ben minore per sintonizzarsi sulla frequenza di Peace, rispetto alla fatica che si compie per entrare in risonanza con Ellroy: il che significa, però, che la scrittura di Peace è a milioni di anni luce dall’acme dell’evoluzione letteraria raggiunto dal maestro di American Tabloid, uno che sta alla nostra epoca come Dostoevskij stava alla sua. Però va detto che David Peace ha buone chance per diventare un piccolo Turgenev dei nostri giorni. La più importante differenza stilistica tra Ellroy e Peace è che questi, a differenza del Maestro, ripete addirittura interi paragrafi. Beninteso: senza annoiare. Su Barcelona Review hanno escogitato un’ottima analogia per descrivere quanto accade leggendo Ninety Eighty: è come se steste aspettando un amico a un appuntamento, è in ritardo, iniziate a guardare l’ora, dopo due secondi la controllate di nuovo, e avanti così, nel soprassalto d’ansia che regge benissimo i temperamenti dell’esperienza. Peace dà ansia: è un passo oltre la suspence.
Il tutto non regge soltanto alla fine: è troppo il desiderio di conoscere le sorti di Peter Hunter, uno che il cacciatore lo fa non solo di nome, ma di professione. E tuttavia è lo stesso Peace a cercare l’esito di un afflosciamento improvviso della tensione, attraverso l’iterazione ossessiva del suo stile martellante: il crimine non è un divertimento, annota il noirista britannico.
Sul numero 81 di Granta, che continua con imperterrito spirito di scouting a seguire la carriera letteraria di Peace, c’è un’anticipazione del nuovo romanzo di quest’autore, la cui uscita si preannuncia per l’anno prossimo, con tanto di boom editoriale al seguito (si sbrighino a puntargli addosso i riflettori anche in Italia): si intitola GB84 e racconta la rivolta dei minatori inglesi nel 1984, il punto di massima crisi dell’era tatcheriana. Qua da noi, si attende un David Peace che faccia lo stesso con l’interregno della Iena di Arcore. E si attendono anche minatori in mobilitazione. A conferma che la letteratura non immagina l’inimmaginabile.