vallorani.jpgeva.jpgAlcuni monologhi che Nicoletta Vallorani aveva scritto per Eva, il romanzo pubblicato nei neri di Stile Libero Einaudi (2002, 8.00 euro), sono rimasti inediti. A proposito di Eva, è stata la stessa Vallorani a sintetizzare in maniera precisa il tipo di operazione – tra noir e sf – che questo libro realizza: “L’extrapolation come cardine della speculazione fantascientifica è ben presente in tutte le trattazioni teoriche sull’argomento, a cominciare da quelle di Darko Suvin. Il punto vero, però, è come rendere visibile qualcosa che viene normalmente rimosso nella nostra quotidianità, qualcosa che temiamo o con cui non sappiamo rapportarci o che semplicemente subiamo per pigrizia, eccesso di lavoro, abitudine a non usare il cervello come macchina pensante. Non ho la presunzione di vedere più in là degli altri. Semplicemente, vedo delle cose. Non so quanto siano attendibili, ma per capirlo non c’è altro modo se non farle vedere ai lettori e confrontarsi su questo”. Riprendiamo due monologhi non comparsi in Eva, che sono autentici canti della follia visionaria e del caos. Altri monologhi inediti di Vallorani sono reperibili qui. Segnaliamo anche un bellissimo speciale che Intercom ha dedicato all’autrice de Le sorelle sciacallo.

I gemelli BumBum

Insieme come due pezzi sbagliati del puzzle.
Siamo nati dentro la stessa conchiglia, con pensieri gemelli e anime dimezzate. Siamo nati per forza insieme pensando che così era più facile. Siamo nati lenti senza avere gambe abbastanza per correre.
Siamo nati. Se avessimo potuto decidere, non ci avrebbero separati. Avremmo diviso una gamba e una vita, e ci sarebbe bastato. Invece ci hanno fatto un regalo sciancato. Non per noi, no. Soltanto per non sentirsi turbati da noi. Ci hanno trasformato in due metà perché avevano paura di noi quando eravamo interi. E per essere sicuri che non tornassimo mai ad essere uno, ci hanno regalato due passi diversi, così che potessimo continuare ad allontanarci. Avvicinarci. Allontanarci.
La signora dice che possiamo stare insieme. Dormiamo in un letto, mangiamo in un piatto, parliamo una voce. Ma è una voce che non capisce nessuno, una voce solo per noi che ci basta e ci piace.
Certe volte giochiamo che cadono le bombe. Ci buttiamo sotto il letto e ci tappiamo le orecchie a vicenda. Ascoltiamo i fischi nella testa e battiamo le mani a ogni botto.
Ci piace, perché possiamo stare abbracciati. Anche se siamo vecchi e i vecchi non si abbracciano come i bambini.
Stiamo come due nella stessa conchiglia.
È bello.
Solo che dopo ci esce il sangue dal naso.
E la signora lo asciuga.

La bambina dimezzata

E certe volte mi sveglio.
Mi sveglio nella metà esatta della notte e penso i miei mezzi pensieri.
Chiedo al sonno se torna ma quello dice che no, non ci pensa nemmeno e che con me ci sta solo a mezzo servizio. E mentre penso questa cosa mi scappa da ridere perché capisco che è proprio una bella battuta per una come me che mai non è stata finita.
Sto lì. Accendo un fiammifero, così le ombre prendono forma e io provo a farmi raccontare com’è successo. Com’è stato cioè che mia madre mi ha finita solo a metà. Com’è che sono uscita con dei pezzi mancanti, come una gemella siamese senza gemella. Ma nessuno mi risponde. E non sono stupida, perciò penso che è una cosa inutile ma molto inutile chiedere al buio le ragioni del tuo dolore. Perché quello è come dio: sta lì e sorride e qualunque cosa ti succede è la sua volontà ma non è vero lo pensiamo noi perché deve esserci un motivo per vivere anche quando nasciamo e siamo la metà di quello che dovremmo essere.
E’ la sua volontà. Perché se non fosse la sua volontà ma solo uno scherzo della natura uno si butterebbe subito sotto un treno. E ci vuole un gran coraggio per farlo.
Comunque sia, io non capisco queste cose. Voglio dire, la Signora dice che è meglio lasciar perdere i pensieri complicati e che noi siamo qui per passare i nostri giorni nella pace e nel silenzio, a parte quando andiamo per strada nella via degli Storpi a chiedere l’elemosina. Non è che si guadagna tanto, ma.
Mi guardano. Non so bene quello che vedono, perché la Signora non tiene gli specchi. Io certe volte mi sono vista nei vetri appannati o in certi specchi nei bar prima che mi mandassero via perché impressionavo i clienti. Perciò, non so proprio bene come sono. Ma non importa. I soldi che porto alla Signora sono buoni, e lei mi dà da mangiare e poi questa stanza e questo letto e questo odore di casa lenzuola coperte silenzio. Insomma un posto dove si può vivere. E dormire. Almeno metà della notte.
Certe volte mi sveglio. Certe volte mi addormento mentre sto nella strada a chiedere i soldi che mi pagano tutti perché sono un mostro e faccio pena. E pure perché sembro piccola anche se sono già grande da un pezzo, ma dimostro meno della metà dei miei anni. Che poi come fai a capire l’età di una faccia a metà?
Non è che sono triste. Voglio dire, a essere così. Come dice la Signora, ci sono guai peggiori: avere dei pezzi mancanti significa solo che quelli che non hai devi cercarteli in giro. La Signora certe volte dice cose che non capisco. Ma poi quando facciamo le cose che lei dice si capiscono meglio anche i suoi discorsi. Qualche volta sì e qualche volta no. Io comunque penso che nessuno si prende una persona a metà per farla diventare la sua anima gemella. Però sarà meglio che non mi faccia tanto l’idea di cercare in giro i pezzi che mi mancano. Pure se sembro giovane, sempre brutto mostro sono. Che non è che ti sposano in tanti.
Dal punto di vista del mio mestiere è un bel vantaggio. Posso continuare fino a quando sarò decrepita. Siccome i vecchi di questi tempi fanno più schifo che pena, sembrare vecchi è una gran scocciatura. Spero che non mi succeda. Mai mai.
La Signora dice che mia madre era vecchia quando ha deciso di fare me. Ma io non lo so se è vero, perché secondo me la Signora mia madre non l’ha mai vista. Una volta ho spiato la Signora e stava con uno importante e per niente mostro e con la mano sul portafoglio e gli raccontava di noi e diceva che me mi aveva trovata per strada una notte e di sicuro ero stata lasciata in giro perché ero troppo brutta. Troppo troppo. Con una scatola di fiammiferi. Piena. Allora lei mi ha presa perché così potessi vivere al sicuro da quei maniaci e pervertiti e nazisti che uccidono tutti gli esseri imperfetti che trovano in giro. Mi ha presa e mi ha portata al sicuro qui dentro.
Qui non mi trovano. Sono salva.
Come il gobbo di Notre Dame.
Chissà se mia madre era una zingara.
Comunque certe volte mi sveglio.
Ascolto tutte le voci del silenzio. Slobo, Maria, la Signora, i Gemelli BumBum… tutti. Ascolto.
E mi viene il nervoso. Mai una volta che si possa dormire tranquilli, qui dentro.