(traduzione di Sebastiano Pezzani)

Lansdale1.jpg

Sabato 31 maggio, nell’ambito del Festival del Noir di Trieste, Danilo Arona, Massimo Carlotto e Andrea G. Colombo intervisteranno uno dei più importanti autori statunitensi contemporanei: Joe R. Lansdale.
Presentiamo un estratto dal romanzo breve inedito Bubba Ho-Tep di Lansdale, dal quale è tratto l’omonimo film di Don Coscarelli con Bruce Campbell. Il film ha vinto qualche settimana fa due prestigiosi Comedy Academy Award come miglior horror-comico dell’anno, quello per la miglior interpretazione assegnato a Bruce Campell e quello per la miglior sceneggiatura attribuito a Don Coscarelli, ed è stato presentato al Festival di Toronto.


Joe R. Lansdale immagina che Elvis Presley non sia morto, ma che viva in casa di riposo, ossessionato dai ricordi del suo successo, turbato da libidini sessuali, desideroso di tornare in qualche modo sul palco a riesibirsi, inascoltato dalle infermiere e dagli altri degenti che lo considerano un pazzo e un visionario. Altrettanto matto è il suo vicino di stanza John Fitzgerald Kennedy, un vecchiettino di colore che è convinto che il celebre presidente americano gli abbia rubato, oltre al nome, anche il successo e il destino. I due arzilli vecchietti dovranno vedersela con un “matusalemme” più vecchio e pestifero di loro: la mummia di Bubba Ho-tep che, risvegliatasi nei sottorranei di un museo di Memphis, decide di riappropriarsi della propria vita nutrendosi dello spirito degli esseri umani. Risuciranno Elvis e J.F.K. a sconfiggere Bubba Ho-Tep e a rispedirlo all’inferno?

Elvis faceva fatica a pensare a se stesso o alla vita in un contesto che non fosse la fogna, visto che spesso era troppo stanco per evitare di farsela addosso nel sonno, svegliarsi in un mare di piscio o di merda, in attesa che le infermiere o gli assistenti venissero a pulirgli il culo. In quel momento se ne rese conto. Tutto d’un tratto si accorse che erano anni che lo davano per morto.
Lansdale3.jpg
Elvis chiuse gli occhi e pensò che si sarebbe svegliato da un brutto sogno ma così non fu. Riaprì gli occhi lentamente e vide che si trovava ancora dov’era prima e che le cose non erano migliorate. Si sporse in avanti e aprì il cassetto del comodino e ne estrasse uno specchietto rotondo e si guardò.
Era uno spettacolo orrendo. Aveva i capelli bianchi come il sale ed era terribilmente stempiato. Aveva delle rughe profonde abbastanza per nascondere dei lombrichi in tutta la loro lunghezza, quelli grandi, quelli che strisciavano di notte. Le labbra carnose non erano più carnose. Sembravano la pappagorgia di un bulldog, dal tanto che sbavava. Si trascinò la stanca lingua da una parte all’altra delle labbra per asciugarsi la bava e si accorse, guardandosi allo specchio, che gli mancavano un bel po’ di denti.
Maledizione! Come aveva fatto il Re del Rock’n’Roll a ridursi così?…
Entrò l’infermiera dalla carnagione color cioccolato e dalle tette come pompelmi. La sua uniforme bianca emetteva lo stesso crepitio di quando si fanno le carte. Sulla sua testa il cappellino da infermiera aveva una inclinazione che la diceva lunga sul suo amore per l’umanità, sul fatto che guadagnasse bene e prendesse l’uccello regolarmente. Sorrise a Callie e poi a Elvis. “Come sta oggi, Signor Haff?”
“Bene” disse Elvis. “Ma preferirei mi chiamasse Signor Presley, oppure Elvis. È una vita che glielo ripeto. Non mi faccio più chiamare Sebastian Haff. Non cerco più di nascondermi.”
“Certo”, disse la bella infermiera. “Ne ero al corrente.
Me l’ero scordato. Buon giorno, Elvis.”
La sua voce grondava sciroppo di sorgo. Elvis avrebbe voluto colpirla con la padella.
Lansdale4.jpg
L’infermiera si rivolse a Callie: “Non lo sapeva che abbiamo una celebrità qui, Signorina Jones? Elvis Presley. Lo conosce, vero? Il cantante di Rock’n’Roll.” “L’ho sentito nominare” Callie disse. “Pensavo fosse morto.”
Callie tornò alla cassettiera e si accucciò per lavorare vicino al cassetto più basso. L’infermiera guardò Elvis e sorrise di nuovo ma si rivolse a Callie. “In effetti Elvis è morto e il Signor Haff lo sa bene. Non è vero, Signor Haff?”
“No, cazzo!” sbottò Elvis. “Sono qui. Non sono morto, non ancora.”
“Senta, Signor Haff, non ho niente contro il fatto di chiamarla Elvis ma mi sembra che lei abbia le idee un po’ confuse oppure che le piacciano i giochini. Lei era un sosia di Elvis. Se lo ricorda? È caduta dal palco e si è rotta l’anca. Quand’è stato., vent’anni fa? Si è preso un’infezione ed è stato in coma per alcuni anni.
Quando è uscito dal come., aveva qualche
problemino.”…
.Ero stanco di tutto. La donna che amavo, Priscilla, se n’è andata. Le altre donne., erano solo donne. La musica non la sentivo più mia. Nemmeno io ero più me stesso. Ero solo un fantoccio. Gli amici mi stavano spremendo come un limone. Me ne sono andato e non mi è dispiaciuto. Ho lasciato tutti i soldi a questo Sebastian, ad eccezione di una riserva che potesse sostenermi se me la fossi vista brutta. Io e Sebastian abbiamo fatto un patto. Se fossi voluto tornare, lui me lo avrebbe permesso. Era tutto scritto in un contratto, nel caso volesse fare il furbo, nel caso si affezionasse troppo alla mia vita. Il fatto è che la mia copia del contratto è andata persa nell’incendio.
.Cantavo come ai vecchi tempi. Facevo delle canzoni nuove. Canzoni scritte da me. L’attenzione che ricevevo era su scala ridotta ma mi piaceva. Le donne si gettavano tra le mie braccia immaginando di stare tra le braccia di Elvis solo che io ero davvero Elvis e giocavo a fare Sebastian Haff che gioca a fare Elvis. Non mi dispiaceva affatto. Non me ne fregava niente se si era bruciato il contratto… Poi ho avuto l’incidente… Stavo cantando Blue Moon, ma mi è uscito il bacino.
Era un po’ che avevo dei problemi col bacino.
.Ed era sostanzialmente vero. Se l’era lussato facendo l’amore con una vecchia signora dalla chioma bluastra che si era fatta tatuare la parola ELVIS sul culo grasso. Non era riuscito a trattenersi e se l’era scopata. Assomigliava a sua mamma Gladys.
.”Come stavo dicendo, avevo messo da parte un po’ di soldi nell’eventualità di una malattia, o altre cose del genere. È con quei soldi che mi sto pagando la degenza”.
.”La vuol sapere una cosa, Elvis?” disse l’infermiera carina. “Qui abbiamo anche un Signor Dillinger. E un Presidente Kennedy. Dice che la pallottola l’ha solo ferito e che il suo cervello è conservato in un barattolo di vetro alla Casa Bianca”.
Lansdale5.jpg
Nell’ala più lontana della casa di riposo, la Vecchia Signora McGee, meglio nota da quelle parti come La Cantante di Yodel, si lasciò andare in uno dei suoi famosi gorgheggi (asseriva di aver cantato in un’orchestra Country & Western da giovane) per poi smettere bruscamente. Elvis manovrò il demabulatore e proseguì. Era una vita che non metteva piede fuori dalla sua stanza. A dire il vero non era praticamente mai sceso dal letto. Quella sera si sentì tonificato perché non aveva pisciato nel letto e così sentì quel suono nuovamente, il ragno nella scatola piena di ghiaia. (Un bel ragnaccio. Una bella scatola. Un bel po’ di ghiaia.) Capire da dove proveniva quel suono gli diede qualcosa da fare. Passò accanto alla camera di Jack McLaughlin, il tizio che era convinto di essere John F.Kennedy e che pensava che il suo cervello stesse alla Casa Bianca e che fosse caricato a batterie. La porta della stanza di Jack era aperta. Elvis mise diede una sbirciata proseguendo. Sapeva fin troppo bene che Jack non avrebbe avuto molta voglia di vederlo. A volte accettava Elvis in quanto vero Elvis e, quando lo faceva, era spaventato e diceva che Elvis era il mandante del suo assassinio. Per lo meno lui a Elvis gli assomigliava: un Elvis invecchiato e malato. Jack era afroamericano – sosteneva che l’autorità costituita lo avesse tinto di nero per tenerlo nascosto – e Mums era una donna convinta di aver subito un intervento che le aveva cambiato il sesso.
Lansdale2.jpg
Cristo santo! Era un ospizio o un manicomio?… . Forse sarebbe valsa la pena di stare al gioco fino in fondo, anche se avesse significato giocarci con un negro che era convinto di essere John F. Kennedy e che credeva che una mummia egizia infestasse i corridoi della casa di riposo, scrivesse dei graffiti sui divisori del bagno, togliesse l’anima delle persone succhiandogliela dal buco del culo, la digerisse, e la cagasse nel cesso degli ospiti.