di Girolamo De Michele tutta_casa

 

Il 9 marzo 1973 Franca Rame fu sequestrata da cinque uomini, costretta a salire su un furgone all’interno della quale fu torturata e violentata. Come si sa, Franca è riuscita a raccontare la violenza subita in un monologo intitolato appunto “Lo stupro”, che inserì nello spettacolo “Tutta casa, letto e chiesa”. Per molto tempo, Franca raccontò di essersi ispirata ad un episodio di cronaca, non rivelando di essere stata lei stessa la vittima dello stupro.

La sera del 9 marzo 1973, alla notizia dell’avvenuto stupro, qualcuno a Milano gioì: era il generale Palumbo, comandante della divisione Pastrengo. «La notizia dello stupro della Rame in caserma fu accolta con euforia, il comandante era festante come se avesse fatto una bella operazione di servizio. Anzi, di più…», secondo la testimonianza di Nicolò Bozzo, che sarebbe diventato stretto collaboratore di Carlo Alberto Dalla Chiesa, e che all’epoca era in servizio alla Pastrengo:

«Arrivò la notizia del sequestro e dello stupro di Franca Rame. Per me fu un colpo, lo vissi come una sconfitta della giustizia. Ma tra i miei superiori ci fu chi reagì in modo esattamente opposto. Era tutto contento. “Era ora”, diceva. […] Era il più alto in grado: il comandante della “Pastrengo”, il generale Giovanni Battista Palumbo. […] Allora io vissi quella reazione di Palumbo solo come una manifestazione di cattivo gusto. Credevo che il generale fosse piacevolmente sorpreso della notizia, nulla di più. D’altronde Palumbo era un personaggio particolare, era stato nella Repubblica Sociale, poi era passato con i partigiani appena prima della Liberazione. Non faceva mistero delle sue idee di destra. E alla “Pastrengo”, sotto il suo comando, circolavano personaggi dell’estrema destra, erano di casa quelli della “maggioranza silenziosa” come l’avvocato Degli Occhi» [qui].

Nel 1981, il nome del generale Palumbo fu trovato all’interno dell’elenco degli iscritti alla Loggia P2, assieme a due alti ufficiali dell’Arma. Secondo Bozzo, «il comandante generale [dell’Arma dei carabinieri] era il generale Mino. Basta leggere la relazione di maggioranza della commissione d’inchiesta sulla P2 per capire perché non si accorgesse di nulla. Lui non era negli elenchi, ma la commissione lo dava come organico».

Nel 1987-88 due fascisti, Angelo Izzo e Biagio Pitaresi, rivelano al giudice Salvini che a compiere lo stupro fu una squadraccia neofascista, e soprattutto che l’ordine di “punire” Franca Rame con lo stupro venne dall’Arma dei Carabinieri. Si legge nell’ordinanza di rinvio a giudizio dell’inchiesta sull’eversione neofascista degli anni Settanta:

«Pitarresi ha fatto il nome dei camerati stupratori: Angelo Angeli e, con lui, “un certo Muller” e “un certo Patrizio”. Neofascisti coinvolti in traffici d’armi, doppiogiochisti che agivano come agenti provocatori negli ambienti di sinistra e informavano i carabinieri, balordi in contatto con la mala. Fu proprio in quella terra di nessuno dove negli Anni 70 s’incontravano apparati dello Stato e terroristi che nacque la decisione di colpire la compagna di Dario Fo. Ha detto Pitarresi: “L’azione contro Franca Rame fu ispirata da alcuni carabinieri della Divisione Pastrengo. Angeli ed io eravamo da tempo in contatto col comando dell’Arma» [qui].

A supportare la testimonianza dei due “pentiti”, un appunto dell’ex dirigente dei Servizi Gianadelio Maletti che racconta di un violento alterco tra il generale Giovanni Battista Palumbo e Vito Miceli, futuro capo del servizio segreto: «Il primo, si leggeva nella nota di Maletti, durante la lite aveva rinfacciato al secondo “l’azione contro Franca Rame”».

F_rame Commenta il giudice Salvini: «Il probabile coinvolgimento come suggeritori di alcuni ufficiali della divisione Pastrengo non deve stupire […] il comando della Pastrengo era stato pesantemente coinvolto, negli Anni 70, in attività di collusione con strutture eversive e di depistaggio delle indagini in corso, quali la copertura di traffici d’ armi, la soppressione di fonti informative che avrebbero potuto portare a scoprire le responsabilità nelle stragi dei neofascisti Freda e Ventura» [qui].

Ma secondo Nicolò Bozzo lo stesso generale Palumbo non sarebbe il responsabile primo dell’ordine di stuprare Franca Rame, quanto l’esecutore di «una volontà molto superiore»:

«A parte le sue convinzioni politiche io ricordo che Palumbo riceveva spesso telefonate dal ministero, dal ministro. So che parlava con il ministro della Difesa e degli Interni. È norma che un ministro della Difesa chiami un comandante di divisione. Ma secondo me un crimine del genere non nasce a livello locale. È vero che alla notizia dello stupro ci furono manifestazioni di contentezza nella caserma, però personalmente non me lo vedo il generale Palumbo chiamare i terroristi e ordinargli o chiedergli di fare questo» [qui].

Nel 1973 il capo del governo in carica era Giulio Andreotti, con una maggioranza di centro-destra il cui scopo, secondo quanto si legge nel Memoriale Moro, era di «deviare, per sempre, le forze popolari nell’accesso alla vita dello Stato». Il ministro della Difesa era Mario Tanassi, quello dell’Interno Mariano Rumor.

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