decataldocover.jpgdi Giuseppe Genna
Adesso proviamo a intenderci su che cos’è il noir. Per il momento, cioè per come è percepito il noir in Italia da qualche anno, accontentiamoci di dire: Romanzo criminale di Giancarlo De Cataldo è il più grande noir italiano dell’ultimo decennio – senza offesa per nessuno. Se il noir è un modo per interpretare la storia, se il noir è una forma di scrittura materialista che a priori non si pone il problema della trascendenza e dell’immanenza (essendo questa indagine affidata, più di frequente, al thriller), se il noir prescinde dalla categoria di “lingua” in senso stilistico – se tutto questo è vero, e per noi italiani mi sembra di poter dire che è vero, sul serio uno che apre Romanzo criminale si trova a fare l’esperienza dell’apice del noir nazionale e, forse, europeo. Diverso, invece, se il titolo fosse stato quello con cui si annunciava il romanzo di De Cataldo: Italian Tabloid, in omaggio a Ellroy. Perché questo è uno dei non minori pregi della labirintica narrazione di De Cataldo: ci costringe a pensare che cosa sia l’America e cosa sia l’Italia, dove stia la diversità radicale, non soltanto politicamente, ma anche letterariamente.

Romanzo criminale è la storia della banda della Magliana – ma non soltanto. Esiste una bibliografia saggistica che appassiona come se fosse romanzesca, a proposito della banda della Magliana: sono i testi di Kaos edizioni, una delle realtà editoriali più d’avanguardia del nostro Paese, il cui catalogo è infittito da nomi che di peli sulla lingua ne hanno in numero inversamente proporzionali all’intensità della loro passione civile (il senatore Sergio Flamigni su tutti). Quindi non è soltanto lo specifico dell’indagine storica che bisogna cercare nella lettura del libro di De Cataldo. La lingua altostilistica, come si è detto, nemmeno. Quei barlumi di trascendenza laica di certo thrilling, neanche. Qual è lo specifico di questo macronoir, allora?
E’ la controstoria.
Cos’è la controstoria? Ce l’ha insegnato molto bene, in tempi recenti, Tommaso Pincio, col suo Lo spazio sfinito. La controstoria è un’incursione che ll’intero apparato mitografico dello scrittore compie nei confronti della storia che ci è stata raccontata come vera. E’ una terra di mezzo, la controstoria: spazio che, probabilmente, è più vero, più carico di significato, più simbolicamente potente di qualunque racconto che l’attuale ordine esistente compie su se stesso e sulla propria vicenda. Un avvertimento a favore di De Cataldo: non è assolutamente necessario tirare in ballo i complotti, quando si compie un’opera letteraria come la sua. I complotti sono un formidabile canale di affabulazione narrativa: strutturano una storia, questa storia non si sa se è vera o falsa, esiste un magnetismo che esercitano del tutto naturalmente. Ma, come per Pincio, non è il caso di De Cataldo. Allo scrittore-magistrato non serve imbastire trame nere di fantasia: quelle esistono già, clamoroso tessuto che sostanzia la storia della banda della Magliana e dell’Italia tra i Settanta e gli Ottanta. Qui sarebbe necessaria una conoscenza filologica degli atti dei processi, di quelli delle commissioni governative d’indagine, del mondo del crimine romano e di quello politico: conoscenza filologica e prodigiosa che De Cataldo, per sua professione ed evidente ossessione creativa, ha a tutti gli effetti.
Che differenza da Ellroy, dunque? Questa: l’Italia non è l’America. Sarà anche vero che De Cataldo non è Ellroy: di James Ellroy ne nascono un paio in ogni secolo, se va bene. Però è molto chiaro che lavorare sulla storia, collettiva e individuale, qui in Italia, smuove profondità per nulla gradevoli: l’autostima nazionale; la cultura nazionale; la propensione nazionale a credere agli scrittori; l’abominevole passione nazionale per lo “stile alto”, come se fossimo figli di Petrarca e non di Dante; una riottosità congenita da parte della “maggioranza silenziosa” a mettersi in discussione, a mettere in discussione la propria storia (che è una storia di indegnità passate sotto silenzio, di sugna microborghese, di raggelante complicità, di morti bianche e nere e rosse).
La banda della Magliana, nonostante non sia considerata uno dei motori di una cultura popolare e politica italiana, lo è senz’ombra di dubbio. Mancava, appunto, uno scrittore che imponesse la vicenda (che connette la criminalità romana a praticamente ogni trama nera italiana: da Moro alla P2 a Pecorelli) quale racconto centrale e sintomatico di quello che ci hanno fatto vivere cercando di non farcelo sapere.
Questa è l’opera che De Cataldo, con Romanzo criminale, ha compiuto e non gliene saremo mai abbastanza grati.
Giancarlo De Cataldo – Romanzo criminale – Einaudi Stile Libero – 16 euro