di Giovanni Iozzoli

Ralph Schoenman, La storia nascosta del sionismo, Associazione Rjazanov, 2024, pp. 230, € 12,00

Pubblicato per la prima volta in Italia, il volume di Ralph Shoenman  può  essere considerato uno strumento importante di inquadramento storico-politico della questione palestinese e segnatamente della storia del movimento sionista. Lettura quanto mai utile a chi ancora coltiva l’illusione di poter discernere un sionismo “romantico”, ancestrale, puro, addirittura socialisteggiante, da un sionismo “reale” degenerato. Il sionismo, per quanto ami ammantarsi di arcaismi, è una espressione della modernità e di contraddizioni materiali maturate nel vecchio continente.  Come dice Ian Pappè: il sionismo è stata la risposta europea ad un problema europeo – la piaga dell’antisemitismo – che nel dopoguerra è stato rovesciato brutalmente sull’area mediorientale, segnandone per quasi un secolo il destino.

Le radici ideologiche di questo processo, più che nell’Antico Testamento, vanno cercate nell’ethos coloniale del diciannovesimo e ventesimo secolo, che ha fornito adeguati strumenti retorici e ideologici al sionismo.   L’idea che la Palestina fosse una terra vergine, abitata da etnie primitive da sgomberare, sottomettere o emancipare – opzioni riflettenti le diverse articolazioni del sionismo -, è tutt’ora alla base dello Stato d’Israele e della pedagogia di massa con cui vengono indottrinate le nuove generazioni israeliane. Shoenman mette a nudo le contraddizioni di questa ideologia malata – gli europei ashkenaziti che opprimono i semiti palestinesi in nome della lotta all’antisemitismo! – e soprattutto presenta al lettore un conto inappellabile: quello della storia, dei fatti, degli eventi che nella loro crudezza, almeno a partire dalla Nakba, non possono trovare smentite.

Ralph Shoenman morto un mese prima della tragica deflagrazione del 7 ottobre, è stato Direttore Esecutivo della Fondazione Bertrand Russell, oltre ad aver ricoperto altri ruoli di prestigio a livello internazionale.  Compose questo libro all’epoca della prima Intifada e l’inizio del suo testo è una sorta di racconto in presa diretta di quella grande rivolta popolare. Rileggere i frammenti di quelle cronache fa impressione per la radicalità, la massificazione popolare della rivolta e la ferocia brutale della repressione. Isaak Rabin, allora ministro della Difesa – poi beatificato dall’Occidente in seguito al suo assassinio ad opera di fanatici oggi al governo in Israele – impiegò tutto il peso dell’IDF sui Territori rivelandone pienamente il carattere coloniale e di forza d’occupazione. Già nel 1987 il pugno della repressione – spari sulla folla, rastrellamenti, demolizioni e detenzione di massa – fu spietato, anche a fronte di un sollevamento prevalentemente civile e non armato.

Con l’intensificarsi della rivolta, il gabinetto israeliano e il ministro della Difesa Yitzhak Rabin implementarono le punizioni collettive, una tattica caratteristica dell’occupazione nazista di Francia, Danimarca e Jugoslavia. Si impediva che cibo, acqua e medicine raggiungessero i campi profughi palestinesi a Gaza e in Cisgiordania. Il personale dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente (Unrwa) riferiva di spari e percosse con bastoni ai bambini che cercavano latte in polvere nei depositi dell’Onu (p. 3)

Siamo quindi nel 1987, la strategia non è ancora quella del genocidio dispiegato, ma dentro le pratiche della repressione israeliana che racconta Shoenman, c’è già in embrione tutto il campionario di crimini contro l’umanità che saranno squadernati sotto gli occhi del mondo dopo il 7 ottobre.  Il racconto di quella rivolta conduce il lettore alla radice della questione: il sionismo reca in sé un seme di violenza e oppressione che dopo il 48 si dispiegherà senza soluzione di continuità. Ma è quella l’origine, la soglia il cui oltrepassamento, renderà la Nakba una trama permanente della vita e dell’identità palestinese.

Le ambizioni territoriali del sionismo sono state espresse chiaramente da David Ben-Gurion in un discorso ad un’assemblea sionista il 13 ottobre 1936: “noi non suggeriamo di annunciare ora il nostro obiettivo che è di vasta portata, anche più di quello dei revisionisti che si oppongono alla spartizione. Non sono disposto ad abbandonare la grande visione, la visione finale che è una componente organica, spirituale e ideologica delle mie aspirazioni sioniste “.  Nello stesso anno Ben-Gurion scrisse in una lettera a suo figlio: “uno Stato ebraico parziale non è la fine, ma solo l’inizio. Sono certo che non ci potranno impedire di insediarci in altre parti del paese e della regione”.  Nel 1937 dichiarò: “i confini delle aspirazioni sioniste sono la preoccupazione del popolo ebraico e nessun fattore esterno sarà in grado di limitarli”.  Nel 1938 fu più esplicito: “i confini delle aspirazioni sioniste “, disse al Congresso del Consiglio mondiale di Poale Zion a Tel Aviv – “includono il LIbano meridionale, la Siria meridionale, l’attuale Giordania, tutta la Cisgiordania e il Sinai. (p. 52)

Le testimonianze di come questo programma venne applicato inflessibilmente nel corso degli anni e dei decenni, sono riportate in gran numero e spiegano perfettamente perché gli arabi di tutto il Medioriente definirono “catastrofe” la proclamazione dello Stato di Israele. Quasi 40 anni fa Shoenman scriveva:

la vendicatività e la calunnia sono così universalmente rivolte agli antisionisti perché la disparità tra la finzione ufficiale riguardo al sionismo e lo Stato di Israele, da una parte, e le pratiche barbare di questa ideologia coloniale e del suo apparato coercitivo, dall’altra, è molto ampia. Le persone rimangono scioccate quando hanno l’opportunità di sentire o di leggere le centinaia di persecuzioni sofferte dai palestinesi e, inoltre, gli apologeti del sionismo sono implacabili nel cercare di impedire un esame coerente e imparziale del passato virulento e sciovinista del movimento sionista e dello Stato che ne incarna i valori. (p. 22)

Parole quanto mai attuali – scritte molte tempo prima del genocidio in corso – per un libro da leggere e da usare nel dibattito contemporaneo.

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