di Paolo Chiocchetti

Molti commentatori, nell’analizzare l’ascesa di Berlusconi e il generale imbarbarimento della politica italiano, hanno giustamente puntato il dito contro MEDIASET e i messaggi (in)culturali che ora dopo ora i tre canali privati propongono al pubblico italiano, ed in particolare alle categorie più influenzabili e isolate come le casalinghe, gli anziani, i bambini. Ma difficilmente il discorso si allarga a comprendere la televisione pubblica, in parte per la continua presenza di programmi di qualità (quasi sempre relegati ad orari di nicchia), in parte per il suo carattere ideale di servizio pubblico (scarsamente tradotto in pratica), in parte perché unica alternativa commerciale all’impero mediatico berlusconiano, e in parte per il suo centrismo democristiano, che raramente si abbandona a prese di posizione smaccatamente partigiane.

Tuttavia, basta un soggiorno all’estero (che mette nella condizione di ricevere solamente RAI1, e di poter stabilire un confronto con i canali stranieri) per diventare acutamente consapevoli della povertà e dell’insidiosità della TV di stato. Uno zapping casuale palesa che i valori di fondo che modellano una trasmissione media RAI non si differenziano da quelli MEDIASET che per uno stile più rassicurantemente familista e tradizionalista (contro un approccio più giovane e “americanizzato”). Al crudo culto della ricchezza, del potere e del successo, alla mercificazione della sessualità e dei sentimenti, al soffocamento di ogni pensiero ragionato sotto un’alluvione di banalità, facile sensazionalismo e fenomeni paranormali, la RAI aggiunge qua e la una spruzzatina di catechismo cattolico e di buonismo patriarcale. E il presunto carattere super-partes di gran parte delle sue trasmissioni politiche o giornalistiche si rivela invariabilmente disegnato in modo da marginalizzare qualsiasi seria posizione critica, e da mantenere il dibattito all’interno dei confini di un pensiero unico neoliberista e neoimperialista.

Bruno Vespa, il mefitico Bruno Vespa, è l’esempio perfetto di questo stile apparentemente professionale e distaccato, ma in realtà potente vettore di idee conservatrici e reazionarie. Vespa non si presenta come Emilio Fede, giornalista dichiaratamente schierato (nulla di male in questo) e disposto a falsificare i fatti pur di giustificare la sua fazione. Vespa, sia pure con una sottesa preferenza per Berlusconi (o forse per chi al momento è al potere?), si presenta sempre come equo moderatore di un dibattito libero e pluralista. Qualche esponente del governo o della maggioranza, qualche esponente dell’opposizione, qualche “esperto” e qualche attraente soubrette a rappresentare il parere della “ggente” e a sostenere gli indici di ascolto. Ma il dibattito è davvero imparziale, libero e pluralista?
In realtà, Porta a Porta è costruita in modo da consentire sì un certo livello di (moderato, costruttivo…) disaccordo e scontro, ma all’interno di un copione già scritto nelle sue linee essenziali. Questo avviene attraverso tre meccanismi principali:
1. La selezione dei partecipanti
In primo luogo, i politici non vengono scelti in base al loro rappresentare linee divergenti, ma in base alla spesso vuota contrapposizione maggioranza / opposizione. Ciò conduce ad una ripartizione dello spazio rozzamente proporzionale alle forze politiche, ma al tempo stesso al costante fraintendimento delle linee di frattura reali. Nella puntata del 18 novembre sull’Iraq, ad esempio, erano il ministro Martino e il leader dell’opposizione Rutelli. Entrambi, con accenti lievemente diversi, concordi sul mantenimento dei carabinieri in Iraq e sulla continua alleanza con Stati Uniti e Gran Bretagna. Escludendo completamente chi, italiano o iracheno (la maggioranza di entrambi i popoli), si è opposto senza ambiguità a questa guerra imperialista e ora chiede a gran voce il ritiro delle truppe ed il passaggio del potere ad un’autorità irachena democraticamente eletta.
In secondo luogo, vengono spesso e volentieri presentati come “esperti” persone di dubbia personalità (il 18 novembre, il Magdi Allam già ampiamente sbugiardato su queste colonne da una serie di articoli di Evangelisti), e come “voci fuori dal coro” ultra-estremisti che permettano di dar lustro e un’apparenza di serietà al punto di vista ufficiale (ad esempio, giorni fa, il famoso Imam di Carmagnola).
2. Il tema della trasmissione
Fin dal primo minuto sono chiari gli argomenti che si possono affrontare e quelli che sono esclusi dalla discussione; il focus dei ragionamenti e le precisazioni di contorno; la retta via e le intollerabili deviazioni. Il rispetto di tali regole è affidato ai servizi filmati esterni, alla scaletta (sottolineata dai titoli a caratteri cubitali nello schermo sullo sfondo), e all’intervento diretto del moderatore.
Tutto ciò, essenziale al funzionamento di un programma televisivo, diventa intollerabile quando utilizzato scientemente per far prevalere un punto di vista ben definito sugli altri – come fa Vespa. Ad esempio, si può parlare dell’efferatezza del terrorismo, ma non delle sue radici (le drammatiche ingiustizie perpetrate dai potenti). Si può parlare dell’esercito italiano che apre un ospedale da campo in Iraq, ma non della coalizione che ha costretto tutti quelli pubblici alla chiusura. Si può parlare dei 19 soldati italiani morti, ma non delle decine di migliaia di iracheni (per non parlare del milione di vittime dei dieci anni di embargo dell’ “umanitaria” ONU). Si può parlare dei loro orfani ma, ancora, non una parola sugli orfani dei bombardamenti, della tremenda situazione economica, e dell’annientamento di ogni servizio sociale pubblico causata dalle forze occupanti.
3. Il tipo di dibattito
Invece che un confronto ben supportato dai fatti di diverse interpretazioni della realtà e diverse strategie politiche, il dibattito a Porta a Porta si svolge nel più perfetto stile post-modernista, nella convinzione che la realtà oggettiva non esista ed ogni opinione (per quanto palesemente insostenibile) sia buona ed incommensurabile. I partecipanti sono quindi liberi di lanciarsi in appelli all’emozione, in frasi fatte, nella retorica più becera e nella aperta negazione o mistificazione di dati di realtà. Come Magdi Allam, sempre il 18 novembre, che si spinge a dichiarare che l’attacco ai militari italiani non centra nulla con la guerra in corso (probabilmente dovuto ai misteriori meccanismi di pensiero dei malvagi Terroristi, che passavano di lì per caso e hanno detto: ohibò, perché non uccidiamo qualche simpatico Macaronì?…).

Non bisogna sottovalutare l’impatto che programmi di questo genere, che spacciano regolarmente ideologie e valori di destra attraverso una struttura apparentemente obiettiva, possono avere sui loro spettatori. Noi continueremo a bersagliarli, con tutta la nostra passione, e tutto il nostro disprezzo.