Il cuoco dell'inferno di Andrea Biscaro di Meridiano Zero edizionidi Cassandra Velicogna

Andrea Biscaro, Il cuoco dell’inferno, Meridiano Zero, 2016, 240 pagg, 18 €

“Pigliate una bella fetta di storione, tenetelo per circa due ore in una concia composta da vin bianco, sale, pepe, spezie e agro di limone; indi ritiratela da suddetta concia, steccatela con qualche foglia di ramerino […]”
oppure
“Piglia libbre cinque di farina bianca e due pani bianchi grattati, e messedali bene insieme con la farina, e poi habbi l’acqua che boglia, e impasta insieme tre uova e fa la pasta che non sia dura né tenera, e lasciala rafreddare un poco […]”
oppure  
Pigliate l’arigusta, legatele la coda, ripiegata sul ventre, e ponetela a cuocere in recipiente adattato, gettandovela quando l’acqua bolle, ed avvertendo che vi rimanga affatto immersa […]
oppure
“A fare dieci piatti di maccheroni alla napoletana: Piglia libbre 8 di fiore di farina, e la mollena d’un pane grosso boffetto mogliato in acqua rosata, e uova fresche quattro, e once 4 di zuccaro; e bene impasta ogni cosa insieme […]”
Le ricette tratte da Banchetti, composizioni di vivande et apparecchio generale  che uscì postumo e fu più volte ristampato fino ai primi decenni del Seicento , costellano il nuovo thriller di Andrea Biscaro. Ferrarese, classe 1979, attualmente residente all’isola del Giglio, Biscaro è un nome noto della narrativa nazionale. Un bel po’ di romanzi all’attivo tra cui Cromo (La Ponga) pubblicato qualche mese prima di questo, ma anche il noto Nerone. Il fuoco di Roma (Castelvecchi, 2011)  e chissà cos’altro, dato che è anche ghostwriter.
L’utilizzo di queste raffinate preparazioni è un gustoso escamotage narrativo per introdurre a una delle corti più fascinose della storia. Gli Estensi ferraresi, in questo caso Ercole I e il fratello Sigismondo, negli anni in cui è ambientato questo thriller, avevano di che banchettare: Messisbugo, responsabile della preparazione dei piatti e autore del libro di cui sopra era il loro pregiatissimo Scalco di corte; Ariosto (ricorre quest’anno il  cinquecentenario del suo capolavoro) allietava le ore di nobili e dei notabili;  il figlio di Ercole I ovvero Alfonso I d’Este sposò l’ambita Lucrezia Borgia;  Biagio Rossetti, l’architetto cresciuto alla bottega di Antonio Brasavola, aveva completato la cosiddetta Addizione Erculea che trasformò Ferrara nella “città ideale”. Pace e prosperità a cavallo tra Quattro e Cinquecento garantivano la potenza di questi sovrani illuminati, che poco avevano da invidiare ai Medici. Tanto fu lo splendore architettonico che l’ammodernamento urbanistico garantì nei secoli alla città  la stessa che ci godiamo oggi per i Buskers, qualche bellissima mostra come quella in corso sulla Ferrara dell’Ariosto, o per l’importante festival annuale di Internazionale  che chi la ritiene la New York dell’epoca non sbaglia: una città all’avanguardia che entusiasma il visitatore anche immaginario, come il lettore de Il cuoco dell’Inferno.
Le grandi personalità del passato “funzionano” egregiamente come personaggi e questa non è un’operazione da poco, soprattutto in un thriller esoterico-gastronomico. Manca alla lista un personaggio (realmente esistito) fondamentale: l’astrologo di corte, Pellegrino Prisciani, che ispirò il ciclo del Salone dei mesi di Palazzo Schifanoia e qui intento a consigliare i Duchi d’Este, ma….
Una notte,  mentre gli augusti ospiti della corte finiscono gli ultimi manicaretti, un ambiguo duo bussa alle porte del palazzo estense. Se la porta degli Angeli  si schiude per questi messaggeri male in arnese è perché questi portano come credenziale la parentela stretta con Messisbugo, lo Scalco di corte che è anche il protagonista della nostra storia.
Il fratello del cuoco sostiene di essere un sensitivo, che tramite i suoi poteri ha scoperto che una gemma inserita  dal Prisciani in una delle bugne del neonato Palazzo Diamanti (pensate a che emozione dovesse suscitare questa meraviglia architettonica ai visitatori dell’epoca) è stata inserita male: al posto di una funzione benaugurale, questo diamante sarebbe stato capace di aprire nientemeno che le porte dell’inferno. Ma anche se ai tempi queste cose venivano tenute in gran conto, il Frate (ovvero il sensitivo di cui prima) non viene creduto, benché in buona fede. Le porte dell’inferno dunque non tardano a schiudersi.
E qui inizia la parte più piacevole di questo gioiellino narrativo: la descrizione del corredo demoniaco che dalla potenza del diamante e dell’omonimo Palazzo si sprigiona. Per non guastarvi la suspence non vi sveliamo chi l’ha messo lì, la motivazione e come il diamante abbia funzionato come innesco apocalittico.
Biscaro ha lavorato con Tiziano Sclavi (lo leggiamo nella sua breve bio sul risvolto) e si legge, tra le righe: per esempio troviamo l’architetto perso di notte in un labirinto perfetto, una sorta di contrappasso per la sua opera geniale che può ricordare alcuni Dylan Dog d’annata. Un diavolaccio poco raccomandabile, che si scopre essere un energumeno dalla testa di cinghiale, attacca a morsi l’aiuto di Messisbugo, Mastro Zafferano, che nella sua vita, di cinghiali, ne ha salmistrati parecchi. A Ariosto, invece, tocca di perdersi nella Ferrara del passato remoto: sale su una barca guidata da uno stretto parente di Caron dimonio alla volta di una palude, che sembra non finire mai…
A Lucrezia Borgia infine tocca il futuro, il peggiore dei mondi possibili: rischia di essere fucilata da un plotone nazista nella Ferrara occupata. L’orrore erompe in questi quadretti descritti nei dettagli: un corteo demoniaco bulgakoviano in piena regola, grazie al quale la magia irrompe non pretestuosamente nella trama, senza zavorrarla, anzi arricchendola di ritmo.
Insomma non un romanzo che in poche pagine (i capitoli sono due: Il Diamante e L’Inferno) ha il triplo pregio di inserire il lettore in un’ambientazione rinascimentale ben fatta, coinvolgere nella trama ed elettrizzare con un pizzico di horror. Biscaro non nasconde i suoi tributi e se il volume è dedicato “al nonno che sapeva raccontare e alla nonna che sapeva cucinare”, lo scritto si chiude con una dedica alla scrittrice ferrarese recentemente scomparsa Gianna Vancini “ti ho pensato come mia prima lettrice”.
C’è anche un piccolo monito latente: attenzione a dove posizionate le vostre gemme, non si sa mai.

 

 

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