di Giorgio Bona
Mauro Tonino, Belve in fuga. Le vie di salvezza dei nazisti, pp. 126, € 17, Arkadia, Cagliari 2025.
Lo scrittore austriaco Simon Wiesenthal (1908-2005), superstite dell’Olocausto, dedicherà gran parte della sua vita a raccogliere informazioni sui nazisti in latitanza per poterli rintracciare e sottoporre a processo, tanto da guadagnarsi il soprannome di “cacciatore di nazisti”.
Tutto il valore del mio lavoro sta nell’ammonimento agli assassini di domani: non avrete mai pace.
Per quanto durante la guerra potessimo aver desiderato la morte dei nostri aguzzini, dopo la guerra avevamo, nella stessa misura, il bisogno di trovarli vivi: prima che potessero morire, essi dovevano incontrare la giusta punizione.
Eppure i colpevoli rintracciati resteranno un numero limitato.
Il libro di Tonino ha come protagonisti gerarchi e scagnozzi del Terzo Reich all’indomani della sconfitta della guerra con la conseguente fuga dalla Germania occupata. L’autore indaga su una situazione che vede molti esponenti di alto livello, e ancor più gregari e fedelissimi del regime, approntarsi un dorato esilio, complici istituzioni, governi consenzienti, uomini di potere che per vari motivi lo permettono. Tonino prende in esame diversi casi raccontandoli, approfondendoli e mettendo così in luce un capitolo della nostra storia recente che peraltro nasconde ancora risvolti oscuri.
Agli inizi del 1944 la situazione sembra ormai compromessa per i tedeschi e, con il trascorrere dei giorni, è sempre più evidente quello che si sarebbe presentato come il risultato finale, anche se non ha ancora una data certa.
Nei giorni finali di quella disfatta epocale, personaggi come Heinrich Himmler pensavano ancora di poter negoziare qualcosa con gli Alleati salvandosi o ritagliandosi un qualche personale ruolo futuro magari in funzione anticomunista o antisovietica, non capendo che alla Germania era stata intimata e successivamente imposta la resa incondizionata, a condizioni ben più rigide di quelle ingiunte nel 1943 all’Italia.
L’epilogo del conflitto decreta la sconfitta del III Reich e la divisione della Germania, con il risultato che russi da un lato e Alleati dall’altro presentano il conto alla nomenclatura nazista per i crimini perpetrati. Alla fine del 1945 inizia così il primo processo di Norimberga in cui il Tribunale militare internazionale in circa un anno giudica e condanna i principali criminali di guerra. In seguito, tra 1946 e 1949, dodici altri processi tenuti da tribunali militari statunitensi – i cosiddetti Processi secondari di Norimberga – porranno sotto esame singoli gruppi di responsabili di crimini.
Come mostra Tonino – sindacalista di livello regionale e nazionale, animatore e presidente di circoli culturali, ricercatore, autore di approfondimenti storici sulle vicende del confine orientale – si andrà però parecchio distanti dal processare tutti i responsabili sopravvissuti: e ciò nonostante una diffusa storiografia minimizzi il fenomeno della fuga dei criminali nazisti, benché tra questi figurino nomi di primo piano.
Al di là di fantasie letterarie e cinematografiche, si può dire che i vincitori del secondo conflitto mondiale nel dopoguerra non si impegnino molto per dare la caccia ai criminali nazisti in fuga, che anzi in più casi verranno arruolati e utilizzati. La domanda è a questo punto sul ruolo che una rappresentanza piuttosto variegata di esponenti criminali del regime – scienziati, ingegneri, poliziotti, gerarchi, eccetera – sfuggiti alla giustizia avranno nella nuova società.
Emerge così un tessuto di scomode verità che lasciano aperti interi capitoli. Per esempio sul ruolo della chiesa cattolica, che formalmente non fu sostegno ai nazisti anche se un certo numero di religiosi aiutarono concretamente i fuggiaschi. Sorgono due domande: modi ed efficacia di questa azione e suoi scopi diretti – carità cristiana o intento politico?
Diversi storici indicano alcuni religiosi come delle figure chiave che aiutarono concretamente dei nazisti in fuga. Un personaggio di rilievo fu Alois Hudal, vescovo cattolico austriaco originario di Graz.
Va però anche detto che Hudal non aderì e non prese parte all’attività del partito nazista.
Durante il conflitto e anche dopo la sua fine, visitò i campi dove stavano i profughi e internati tedeschi interessandosi alle loro condizioni precarie, e intervenne presso autorità italiane e argentine per garantire espatri e migliori condizioni di vita.
Questo vescovo austriaco fu una figura controversa, molti storici lo definirono uno dei principali artefici dell’esodo di numerosi nazisti verso il Sudamerica o il Medio Orirente, fornendo documenti e assistenza. Adolf Eichmann, Franz Stangl, Josef Mengele, Alois Brunner usufruirono di questa rete di appoggio. Lo stesso Priebke, dopo la cattura, ammise di aver ricevuto l’aiuto di alcuni religiosi durante la fuga, in particolare proprio da Hudal.
Vari criminali nazisti, nonostante su di loro pendessero indagini giudiziarie, vissero per anni nel nostro paese.
Nel suo racconto l’autore fa riferimento innanzitutto al caso eclatante di Karl Hass, maggiore delle SS responsabile delle attività di controspionaggio in Italia e coinvolto da Priebke durante il processo per l’eccidio delle Fosse Ardeatine (335 persone uccise). Si parla di caso eclatante in quanto Hass verrà arruolato nel dopoguerra dai servizi segreti statunitensi come agente affidabile e competente. Altri documenti, conservati negli archivi USA, mostrano come Hass collabori anche con i servizi italiani.
Nella sua ricerca accurata, Tonino rimarca anche un fattore cui non sempre è stata data la giusta importanza: l’enorme fiume d’oro e di denaro frutto delle razzie naziste in mezza Europa, servito anche a oliare i canali giusti per far chiudere gli occhi a chi di dovere.