di Giovanni Iozzoli

Proviamo oggi ad occuparci di una legittima curiosità che interessa molti lettori di Carmilla: come può essere gestita concretamente la convivenza tra l’essere umano e lo struzzo? E segnatamente: cosa comporta allevare lo struzzo? Attenzione, non stiamo evocando lo struzzo come figura metaforica – quello che nasconde la testa sotto la sabbia, etc etc – ma parliamo proprio dello struzzo comune, il simpatico pennuto che a molti è capitato di ammirare al circo o al giardino zoologico.

Sfatiamo subito un equivoco assai comune che molti di noi si portano dietro sin dall’infanzia. L’antagonista di Willi Coyote non è “uno struzzo” ma un Geococcyx californianus, un piccolo velocissimo bipede della famiglia dei Cuculiformi . Ci chiarisce questo punto essenziale il signor L.L. (per ragioni di riservatezza preferisce l’anonimato), il quale può essere considerato un autentico esperto di struzzi. Infatti, per circa un decennio ha gestito un allevamento di questi superbi animali e ne conosce a menadito virtù e difetti.

D. Allora signor L., come è nata questa sua intrigante passione per lo struzzo?

R. Boh… non è che c’avessi una grande passione. E’ mio padre che si era incaponito, è partito lui con questa cosa dell’allevamento e ha coinvolto anche me. Io non è che mi fossi mai interessato agli struzzi. Mai, prima.

D. Allevamento, va bene. Ma perché proprio di struzzi, ci domandiamo.

R. Mio padre era così, non ce la faceva a stare fermo, aveva gestito bar, macellerie, ristorazione, si inventava di tutto. Un giorno aveva visto un suo amico, su nel rovigotto, mi pare, che c’aveva due struzzi in campagna e si invaghì di ‘ste beste. Gli dissero che l’affare era buono e lui ci si buttò a capofitto.

D: Che anno era?

R. Mi pare il ’97. Giravano soldi, lavoro, era prima dell’euro, altri tempi. Comprammo un bel pezzo di terra in campagna, tra Modena e Bologna, cinque ettari, che dovevamo farci i gabbiozzi in cemento, tutto un bel progettino. Poi, non mi ricordo bene, arrivò una stracciacazzi di un’associazione… boh… insomma ci bloccò i lavori, perché eravamo proprio al confine col parco naturalistico, una cosa del genere. Così ci siamo limitati alle strutture in legno, perché comunque c’è bisogno di un bel recinto alto e tosto, di ambienti coperti per la riproduzione; insomma, un investimento della Madonna.

D. Ma guardiamo l’aspetto umano: quando suo padre le disse che voleva cominciare ad allevare struzzi, lei che reazione ha avuto?

R. Boh. Niente di particolare. Noi siamo di campagna. Struzzi o altro, allevi quello che c’è. Mi fidavo di mio padre, perché lui c’aveva il pallino per queste cose.

D. All’epoca lei dove lavorava?

R: Ma non facevo niente, ero tornato da poco dalla Thailandia, dove ero stato ospite di amici, perché cinque o sei mesi prima mi ero ribaltato con il muletto e mi ero rotto una gamba, ero andato in causa con la Cooperativa dove lavoravo e così mi ero preso una vacanza lunga, tanto all’epoca di lavoro ce n’era in abbondanza. Quando sono tornato non avevo niente di definito per le mani e allora mi sono messo ad aiutare mio padre nell’allevamento.

D. Quindi, preparato il terreno e le strutture, suo padre ha fatto arrivare i primi esemplari?

R. Si, prima sono arrivati 20 pulcinotti.

D. Sono come i pulcini normali?

R. Teniamo presente che nascono da uova che pesano anche un chilo e mezzo. Sono già grossi come gallinelle. In un anno diventano 100 kg.

D. Azz… e che gli davate da mangiare?

R. Erba medica, fieno, certi mangimi speciali che comprava mio padre. Ma crescono che è uno spettacolo. Che poi sono meravigliosi, hanno tutto un piumaggio tipo ghepardato multicolore. E beccano in continuazione. Come il cane annusa, lo struzzo becca, fin da pulcino. Sono fatti così.

D. Quindi un adulto diventa 100 Kg?

R. Si, sono bestie che possono superare i 2 metri di altezza e pesare 100 anche 150 kg, però da vivi. La carne utile è circa il 35%. Perché non bisogna considerare il piumaggio. Si usano coscia, sottocoscia, tutta quella zona lì; il petto poco, lì hanno poca carne. Ma in generale lo struzzo è utile perché non si butta via niente, anche meglio del maiale: la pelle è pregiata, perché quando lo spiumi e restano i peduncoli dove prima c’erano le piume, viene fuori un specie di decorazione naturale già pronta per farci borsette, portafogli etc; le piume le usi per tutto, quelle belle bianche, sotto le ali, ci fai i cappelli delle majorettes; persino i gusci delle uova non fecondate le vendevamo agli artigiani a 7/8 mila lire: li svuotavamo, li pulivamo e loro li pitturavano o ci facevano dell’oggettistica.

D. Questa parte un po’ truce, che può urtare la sensibilità del lettore di Carmilla, che generalmente è di condizione urbana e di inclinazione raffinata, credo che non la riporteremo. Non vorrei urtare sensibilità diffuse.

R. Vabbé, che lo facevamo a fare l’allevamento, per tenerli come animali da compagnia? Chiaro che li vendevamo ai macellatori. Qualcuno lo macellavamo anche noi, per uso interno. Ma è come l’agnello, la gallina o tutte le altre bestie. Non è che lo struzzo sia diverso. Il contadino come ammazza il maiale, ammazza anche lo struzzo. Se gli dai la giraffa, per dire, ammazza pure quella.

D. Torniamo al principio. Il primo impatto con la nobile bestia, come fu?

R. E chi l’aveva mai visto uno struzzo adulto? I pulcini erano carini etc, ma poi arrivarono gli adulti per la riproduzione, quattro femmine e un maschio. Cazzo che bestie. Rimasi un po’ a bocca aperta. Erano razza Afrikan Black. In corsa potevano arrivare anche a 2 metri e mezzo di altezza. Ce li scaricarono nel recinto e da quel momento si doveva iniziare a gestirli.

D. Il trasporto fu facile, sono docili?

R. Si, abbastanza, perché gli infilano una calza sulla testa e loro si mettono tranquilli. Perché non sono mica bestie da scherzarci. Di cervello è come una gallina, solo che è una gallina che il suo garrese ti arriva al petto. Sai com’è, un bestione così se ti si fionda di corsa addosso, con i suoi 100 / 120 kg, facendo 50 mt in 5 secondi, è come andare sotto a un camion. Ti possono accoppare.

D. Ti ammazzano a colpi di becco?

R. No, non è il becco la parte pericolosa; sono le zampe, che se ti danno un calcio, hanno due unghioni grossi come una mano umana che ti sventrano.

D. E lei all’inizio era preoccupato, suppongo.

R. Sempre, bisognava starci attento. Il primo giorno gli abbiamo tolto la calza e hanno cominciato a correre di qua e di là, per sfogarsi. Avevano un recinto lungo 50 metri a disposizione. Il momento pericoloso era quando andavi a prendergli le uova, là si incazzavano; io giravo sempre con un bastone lungo due metri, li tenevo lontani. Raccolte le uova si vedeva se erano fecondate oppure no. Quelle fecondate le mettevamo in incubatrice e facevamo nascere il pulcino e con le altre ci facevi una frittatina, che con un uovo solo ci potevano mangiare quindici persone. Non sono animali aggressivi. Fino ai 10 mesi sono innocui; poi dopo bisogna cominciare a stare attenti. Sono anche animali ingenui; sono attratti dalle cose lucenti, orologi, braccialetti, vanno subito a beccarli, per provare a prenderli…

D. Come le gazze!

R. Boh. Si, una specie. Ma hanno meno malizia.

D. Com’è considerata la carne di struzzo?

R. E’ magnifica. Secondo me la migliore in giro. Perché a bassissimo contenuto di grassi. In Svizzera la danno ai vecchi nelle case di riposo, per il colesterolo e quelle cose lì. Veramente una bella carne rossa pregiata. Solo che qua faceva fatica ad attecchire. All’epoca finì anche in qualche punto vendita Coop. Però costava troppo, anche 18.000 lire al Kg. Ci potevi fare di tutto, il filetto con l’aceto buonissimo; lo spezzatino, il ragù. Pero qui abbiamo dei limiti mentali, parliamoci chiaro: questa è la terra del maiale, la gente è fissata. Qua neanche il tacchino ha mai veramente messo radici. C’è molto conservatorismo, non li smuovi, gli proponi una cosa nuova, anche migliore, ma loro sono fissati col prosciutto, la coppa e il cotechino. Pensa che noi alla carne di struzzo aggiungevamo il grasso di maiale e ci facevamo anche il salame artigianale, perché la gente è abituata a quella pesantezza lì, una carne con lo 0,2% dei grassi non dava soddisfazione.

D. Bisognerebbe denunciare, queste attitudini conservatrici e retrograde. Bisogna lottare più efficacemente contro il colesterolo. Ma mi spieghi bene come avviene la macellazione, evitando per favore descrizioni crude o termini truci.

R. Mah, bisogna darci una bella botta in testa col cricco. O anche con un martelletto. Perché loro sulla testina (che hanno una testina così piccola piccola, come certe persone) hanno una roba molliccia, tipo una membrana. Se li becchi là, con un colpo li accoppi. Noi di solito non macellavamo, li vendevamo vivi ai macellatori. Qualcuno ogni tanto lo ammazzavamo noi, internamente, così, per uso domestico.

D. E loro grandi e grossi si facevano ammazzare così facilmente?

R. Mica era facile. Io avevo un bastone a uncino. Dovevi prendere la bestia per il collo, atterrarla, avere già la calza pronta in mano. Poi appena morta gli facevi un taglio sulla orta e sotto al collo, per far uscire il…

D. Va bene, va bene, sorvoliamo sui dettagli macabri. Piuttosto, Amore e Morte: parliamo dell’accoppiamento. Anche qui, magari, privilegiando gli aspetti meno volgari…

R. Ah, quello è uno spettacolo. Perché il maschio c’ha un bagaglio di 30, 35 centimetri, tutto viscido, che sembra un serpentone. E’ entroflesso, cioè è nascosto da qualche parte là sotto, nell’addome, e viene fuori solo quando serve. Come il gallo, per dire, e tutti i pennuti.

D. Ah, anche il Buddha, si legge nelle antiche scritture, avesse questa caratteristica fisica. Che poi a che serve? Sarà pure fastidioso. Lei è stato in Thailandia, aveva sentito questa cosa del Buddha?

R. No. Comunque il maschio quando è pronto monta la femmina da dietro e in pochi secondi la feconda. Ne può sistemare anche quattro o cinque. Zac zac. Fa presto.

D. Certo questa è la meccanica (che magari al lettore di Carmilla non interessa), ma io pensavo a qualcosa di più curioso o aneddotico, un rituale di accoppiamento, tipo il pavone e la pavonessa.

R. Ah si c’è anche quello. Lo fanno. Quando il maschio è pronto, che ha voglia, comincia una specie di corteggiamento, non so come dire, cioè si mette a fare un balletto assurdo, si abbassa con tutte le ali aperte, poi gonfia il collo che sembra stia per scoppiare ed emette un suono tipo: UUUUHH, cioè proprio come il suono di una nave, ma forte, proprio tipo sirena. Io la prima volta che l’ho visto ho pensato: oddio, questo sta per scoppiare, perché il collo gli era diventato tipo il doppio di diametro e poi oscillava tutto con le ali aperte. Quello è il corteggiamento. Poi si buttano uno addosso all’altro e diventa una bella massa da 200 Kg e passa.

D. Poi com’è andata con l’allevamento?

R. Mah… la resa non era granché… siamo arrivati ad avere 120 esemplari, ma il mercato non tirava. Poi si è ammalato mio padre e abbiamo venduto le bestie e tutto.

D. Tutto qua?

R. Tutto qua.

D. Ma non è che sia venuto fuori tutto questo materiale interessante, sugli struzzi. Alla fine è un normale allevamento, come avere i polli; solo che sono polli giganti.

R. Eh… questo è… che ti aspettavi?

D. L’accoppiamento l’abbiamo detto…le piume…le uova…basta? Speravo in qualche dettaglio pittoresco, letterario.

R. Letterario? Quelli sono struzzi. Che letterario?

D. Va bé. Tu che fai adesso?

R. Lavoro in fabbrica. Una multinazionale francese. Macchine di movimentazione e sollevamento, autogru. Roba grossa. Due stabilimenti. Brevetti internazionali.

D. Quanti siete?

R. 600 persone, metà produzione, metà area tecnica commerciale.

D. Tu che fai?

R. Sto sulla linea di montaggio, coordino le postazioni perché ormai sono vecchio del mestiere. Io, modestamente, se mi dai la scocca nuda, ti saprei montare da solo tutta l’autogru, dalla parte idraulica fino ai collegamenti elettrici. Poi non ho fatto una gran carriera perché sono un delegato cacacazzi, ho sempre da dire la mia e non mi faccio comandare, specie sulla sicurezza.

D. Com’è il rapporto con la proprietà?

R. Mah, dipende. Va a periodi. Noi come RSU facciamo sempre il nostro dovere, con la contrattazione e tutto. Poi la provincia italiana si sa com’è: sei dentro una multinazionale ma magari ti trovi il direttore dello stabilimento la sera in compagnia nello stesso bar e quindi ci sono anche i rapporti personali e quelle cose lì.

D. E’ cambiato il clima in fabbrica?

R. Cazzo se è cambiato. E’ peggiorato tutto. Adesso c’è una frammentazione che fa schifo. Fino al 2008 eravamo più uniti; quando si scioperava uscivano fuori anche i capetti. Tieni presente che ormai c’è un 40% di interinali, poi ci sono quelli in staff leasing, la cooperativa che ha in appalto la logistica, i tirocinanti. Siamo tutti frammentati. Anche con trattamenti individuali, premialità ai singoli, avanzamenti di carriera basati sulla fedeltà, più che sul merito. Dentro questa divisione noi delegati facciamo quello che possiamo, teniamo i collegamenti, ma sotto gli stessi capannoni ci sono cinque o sei situazioni contrattuali diverse. Adesso stiamo cercando di far avere l’accesso alla mensa interna anche a quelli della cooperativa dei facchini che ha in appalto il magazzino, così almeno mangiamo insieme. Ma è complicato. Poi l’anno sta cominciando male. Ci sono esuberi sulle linee. Parecchi interinali non verranno confermati.

D. Devo trovare una conclusione, che per coerenza del pezzo, dentro bisogna metterci sto cazzo di struzzo: che scrivo? Una cosa tipo: “in fabbrica molti lavoratori sono come gli struzzi che infilano la testa sotto la sabbia” – così, tanto per fare un finale carino?

R. No, non è vera quella cosa.

D. Dei lavoratori, dici?

R. No degli struzzi, non è vero che infilano la testa sotto terra e stanno col culo in aria. Mai visti in 10 anni, fare una cosa simile.

D. A posto. Chiudiamo così, che è meglio.

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