Raúl Zecca Castel, L’unico in rivolta. Vita e opera di Max Stirner, Red Star Press, Roma 2023, pp. 202, 19 euro

[Si pubblica qui di seguito un estratto dall’Introduzione al libro di Raúl Zecca Castel sulla vita e le opere di Max Stirner, edito da Red Star Press. Per esigenze grafiche e di lettura, gli estratti qui presentati sono riprodotti senza l’apparato di note corrispondente. S.M.]

«Io rifiuto un potere conferitomi sotto la speciosa forma di “diritti dell’uomo” […], sono il nemico mortale dello Stato e l’alternativa è sempre: lui o io […]. Proprietario del mio potere sono io stesso, e lo sono nel momento in cui so di essere unico» (Max Stirner)

«L’unico e la sua proprietà» viene dato alle stampe dall’editore Otto Wigand di Lipsia nell’ottobre del 1844, ma a distanza di soli pochi giorni dalla pubblicazione cade sotto il pugno delle ferree leggi censorie del tempo e le autorità politiche del governo di Sassonia ne dispongono l’immediato sequestro, “poiché non solo in singoli passi di tale scritto Dio, Cristo, la Chiesa e la religione in generale vengono trattati con la più irriguardosa blasfemia, ma anche tutto l’assetto sociale, lo Stato e il governo vengono definiti come qualcosa che non dovrebbe più esistere, mentre la menzogna, lo spergiuro, l’assassinio e il suicidio vengono giustificati e il diritto di proprietà viene negato”. Nemmeno una settimana più tardi viene però emessa un’ordinanza di dissequestro e il testo, ora giudicato innocuo e insensato, torna in circolazione. Ancora pochi giorni e un nuovo opposto provvedimento ne decreta la rimozione dal territorio sassone; poi, il 26 agosto 1845 viene definitivamente messo al bando in tutto il Regno di Prussia. Ma è ormai troppo tardi: la turbolenta vicenda di quest’opera “famigerata […], la più estrema che conosciamo in genere” ha già avuto inizio.

Nel corso degli anni si succederanno innumerevoli e controversi giudizi, appassionate dispute interpretative, feroci critiche ed entusiastici elogi, strumentali richiami e grossolane ideologizzazioni, lunghi intervalli di misterioso oblio e improvvise riscoperte alle quali nemmeno l’autore riuscirà a sottrarsi. Friedrich Engels sarà il primo a riconoscere in Stirner “il profeta dell’odierna anarchia”, tanto che l’“ingenua” teoria proudhoniana, “non avrebbe mai portato alle dottrine anarchiche attuali, se Bakunin non vi avesse iniettato una buona dose di rivolta stirneriana; in seguito alla quale gli anarchici sono diventati dei puri ‘unici’, talmente unici” – concludeva con sarcasmo – “che due di loro non possono sopportarsi”. Il giudizio appare acquisito e si protrae – non senza obiezioni, anzi – fino ai giorni nostri: “il più rappresentativo filosofo e ideologo dell’anarchia […], una coscienza visceralmente anarchica”, scrive di lui Antimo Negri. “Stirner può essere annoverato tra i rappresentanti di uno dei poli dell’anarchismo, forse il più importante”, assicura Carlo Roehrssen riferendosi all’individualismo anarchico, e aggiunge poi che “Stirner è certamente un antesignano, un padre fondatore dell’anarchismo”. Massimo La Torre affianca Stirner a William Godwin e a Pierre-Joseph Proudhon in quella che considera la triade dei “pensatori che danno origine alla filosofia politica anarchica”, sostenendo come Der Einzige und sein Eigentum [sia] dunque, molto più di An Inquiry on Political Justice di Godwin e di Qu’est-ce que la propriété? di Proudhon, un libro anarchico” e che si tratti dell’“l’opera in cui per la prima volta, e in maniera articolata e coerente, viene esposta una filosofia morale e politica anarchica”. Una filosofia molto pericolosa a parere di Albert Camus, che legge nelle pagine di Stirner la legittimazione e l’istigazione a una violenza che si sarebbe poi realmente espressa nelle varie “forme terroristiche dell’anarchia”. Ma questa interpretazione, che riconduce a Stirner le responsabilità morali del terrorismo anarchico, viene condivisa e suffragata anche da altri osservatori che, come evidenzia William J. Brazill, “hanno suggerito un legame diretto tra Stirner e i terroristi russi del XIX secolo, in particolare con Sergei Nechaev”.

Sempre a questo filone interpretativo di matrice anarchica appartiene poi la singolare visione di uno Stirner anarco-sindacalista e operaista, considerato il “maggiore teorico e ispiratore della lotta sindacale”. Visione quanto meno paradossale se si tiene conto del fatto che i concetti filosofici cui ruota attorno la filosofia di Stirner sono quelli dell’egoismo e dell’interesse proprio; concetti, cioè, a prima vista antitetici rispetto a quelli dell’organizzazione sindacale, che evidentemente implicano un valore solidaristico condiviso da una collettività. Non è un caso perciò se Enrico Ferri, studioso del pensiero stirneriano, esprime il parere perfettamente opposto per cui “appare difficile, se non impossibile, annoverare Stirner tra i teorici dell’anarchismo” dal momento che ha elaborato “la più radicale concezione individualistica della filosofia moderna”. E non è il solo a pensarlo. Molto prima di lui, in un saggio del 1904 di Victor Basch, se da un lato veniva riconosciuta l’appartenenza di Stirner alla corrente dell’individualismo anarchico – come eloquentemente annunciato dal titolo stesso dell’opera –, dall’altro si arrivava alla conclusione secondo cui tale anarchismo troverebbe espressione compiuta in un elitismo eroico di tipo aristocratico, sia pure con esiti paradossalmente democratici. Ed è a questa figura mitica dell’Unico, declinata in una dimensione epica e quasi millenaristica, che dovette fare riferimento il Benito Mussolini socialista quando rammentava le sue “escursioni sulle più alte vette del mondo” – “dolomiti del pensiero” s’intende, dal momento che scriveva dal carcere –, tra le quali vi si trovava, primo della lista, il nome di Stirner, seguito da quelli di Nietzsche, Goethe, Schiller, Montaigne e Cervantes.

Ancora nel dicembre del 1919, un Mussolini già meno socialista e molto più fascista, si sgolava energicamente sciorinando bassa retorica e incutendo cattivi presagi: “basta, teologi rossi e neri di tutte le chiese, con la promessa astratta e falsa di un paradiso che non verrà mai! Lasciate sgombro il cammino alle forze elementari degli individui, perché altra realtà umana, all’infuori dell’individuo, non esiste! Perché Stirner non tornerebbe d’attualità?”. A conti ormai fatti, ci avrebbe pensato Hans Helms nel 1966 a iscrivere Stirner al partito fascista, affermando lapidariamente che “la storia dello stirnerianismo è una storia del fascismo”. Eppure, il fascistissimo Paolo Orano non avrebbe mai sottoscritto, poiché a suo dire, l’Unico stirneriano “nulla ha a che vedere con il crudo breve risoluto realismo delle Camicie Nere”.

Tuttavia, ciò non ha impedito a Luca Leonello Rimbotti di accreditare a Stirner gravi responsabilità storiche. Facendo riferimento al presunto influsso che Stirner, mediato da Eckart, avrebbe avuto su Hitler, Rimbotti sostiene infatti che è “possibile leggere un’intera epoca del Novecento come qualcosa di molto simile ad una rivelazione violenta delle profezie stirneriane”. Ecco allora che un fedele sostenitore del regime nazista come Carl Schmitt, dal carcere per crimini di guerra di Norimberga dove era rinchiuso, affidava ad un piccolo scritto alcuni significativi pensieri su Stirner. Confessava dunque come “Max” – la confidenza è tutta sua – fosse l’unico a fargli visita nella cella e gli riconosceva il merito di aver “trovato il titolo più bello e comunque più tedesco di tutta la letteratura tedesca”.

[…]

È un misto di fascino e ripugnanza, attrazione e sgomento a contraddistinguere la prima ricezione dell’opera di Stirner, un’opera estrema che chiude i conti con tutta la filosofia precedente compromettendone irrimediabilmente la salute. Per queste ragioni si dovette pensare di escluderla e Kuno Fischer poté scrivere che essa “nulla ha in comune col nome della filosofia e della critica”.

Prima di relegare L’Unico all’ideologia anarchica, Engels aveva (s)qualificato l’opera di Stirner come “la punta acuminata di ogni teoria che si muova all’interno della stupidità corrente” e, ancora, come “perfetta espressione della pazzia corrente”. Eppure si era subito preso la briga, assieme a Karl Marx, di redigere una “critica della più recente filosofia tedesca nei suoi rappresentanti Feuerbach, Bauer e Stirner, e del socialismo tedesco nei suoi vari profeti” – questa la didascalia che accompagnava il titolo dell’opera, L’ideologia tedesca –, dedicando, piuttosto significativamente, quasi quattro quinti del libro a Stirner, lì ribattezzato con il nome di San Max e associato a San Bruno (Bauer) in un lungo capitolo intitolato Il concilio di Lipsia.

Marx ed Engels non mancano certo d’ironia e nel ricondurre al vecchio carro astratto dell’idealismo, oltre che Feuerbach e Bauer, anche un nemico giurato di tale impostazione filosofica come Stirner, si dilettano nell’attribuirgli divertenti titoli ecclesiastici e spiritosi soprannomi. Ecco dunque il santo scrittore, il buon padre della chiesa tedesca, il beato Max e Jacques le bonhomme, Sancio Panza o il caballero dalla tristissima figura alle prese con la condanna marxiana lungo una dettagliata analisi critica de L’Unico tesa a demolirne ogni singolo paragrafo, ogni singola frase, e in diversi casi ogni singola parola.

Stupisce il fatto di tanto accanimento e resta la sensazione che all’ombra del sarcasmo con cui Stirner viene bistrattato si nasconda in realtà una forte preoccupazione nei confronti della sua filosofia. Sorge dunque spontaneo il dubbio che il filosofo Giorgio Penzo ha espresso in diverse occasioni per cui “si può forse pensare che nel leggere L’Unico e la sua proprietà Marx ed Engels abbiano avuto subito coscienza delle doti geniali di Stirner e che abbiano intuito che si trattava di un avversario pericoloso per quanto riguardava la problematica sociale. Forse per questo – conclude Penzo – Marx ed Engels cercarono in San Max di relegare il più possibile il pensiero di Stirner nell’ambito di un filosofare idealistico vuoto e fumoso che doveva ormai essere del tutto superato”.

Alle stesse conclusioni era giunto molti anni prima lo storico delle idee Henri Arvon, il quale faceva notare come nel periodo precedente il 1848 era con gli argomenti forniti da L’Unico che si lottava contro il socialismo ed è per questo molto probabile che Marx avesse visto nel suo autore un nemico da eliminare. In nessun altro modo sarebbero comprensibili toni così violenti e ridicolizzanti come quelli impiegati nell’Ideologia tedesca se non con il disperato tentativo di mettere a tacere idee piuttosto scomode. L’opera di Marx ed Engels rimarrà però ostaggio della critica roditrice dei topi per quasi un secolo e solo nel 1932 vedrà la luce. Per la legge della nemesi storica gli auspici che avevano animato l’impegno di Marx ed Engels non saranno esauditi e, anzi, si riveleranno controproducenti. Come rileva sempre Henri Arvon, “L’ideologia tedesca, che nelle intenzioni di Marx avrebbe dovuto mostrare l’inconsistenza della filosofia stirneriana, costituisce, al contrario, la testimonianza irrecusabile del suo valore storico”.

A prescindere dalla polemica marxiana, resta il fatto che se di ricezione filosofica de L’Unico si può parlare, questa avvenne esclusivamente nel ristretto circolo della sinistra hegeliana al quale Stirner apparteneva e nel quale si era formato, e avvenne solo per un breve periodo, dal momento che già a partire dal 1848 l’opera pare dimenticata. La sua rinascita porta la data del 1898 e corrisponde all’anno in cui lo scrittore e attivista John Henry Mackay, sulle tracce di Stirner da diverso tempo, ne pubblica una bio-agiografia all’insegna dell’anarchismo, facendone il primo teorico dell’individualismo anarchico e dando così avvio alla lettura fortemente politicizzata dell’opera cui si faceva più sopra riferimento.

Lettura che “ne ipoteca fortemente l’avvenire”, per dirla ancora con Arvon, il quale non dubita invece nel porre Stirner alle origini di una delle correnti più significative della filosofia contemporanea, quella dell’esistenzialismo, accennando, in conclusione al suo testo, un accostamento con Kierkegaard già intrapreso da Martin Buber ne La domanda rivolta al singolo del 1936 e invitando ad approfondire tale dimensione esistenziale del pensiero stirneriano. L’invito sarà appunto raccolto da Penzo in un testo del 1971 fin dal titolo programmatico: Max Stirner. La rivolta esistenziale, nel quale l’autore non nega la natura anarchica del pensare stirneriano, ma sostiene che “si è di fronte a un anarchismo tutto particolare, definibile come un anarchismo della ragione”. Secondo Penzo, infatti, Stirner tematizza una nuova concezione esistenziale dell’essere che si precisa nella forma dell’egoismo, qui inteso come condizione umana dell’Io in relazione alla morte di ogni pensare idealistico-universale. Si tratterebbe in fondo della problematica della morte di Dio – sia pure celato sotto le mentite spoglie dell’Uomo feuerbachiano – e del conseguente confronto con il Nulla. Tematiche che, a partire da sensibilità squisitamente esistenziali, aprirebbero il varco alla terribile verità del nichilismo. Ed è su questo terreno ermeneutico, difatti, che Camus riconosce in Stirner il precursore del nichilismo nietzscheano. Come già accennato, d’altronde, la figura dell’Übermensch è stata spesso accostata a quella dell’Unico, e sono diversi, effettivamente, i punti di contatto tra il pensiero stirneriano e quello di Nietzsche, tanto che, stando alla testimonianza dell’amica Ida Overback, lo stesso Nietzsche se ne sarebbe preoccupato temendo l’accusa di plagio. Vano, dunque, il tentativo della sorella Elisabeth teso a negare qualsivoglia debito filosofico di Friedrich nei confronti di Stirner se si prende in considerazione anche la testimonianza dello storico tedesco Adolf Baumgartner, che afferma di aver letto L’Unico su indicazione del suo maestro Nietzsche, il quale avrebbe poi accompagnato il consiglio al giudizio per cui l’opera di Stirner “è quanto di più audace e consequenziale sia stato pensato dopo Hobbes”.

[…]

Bisognerà allora cominciare col domandarsi cosa realmente vi sia scritto in questo libro – vero e proprio corpus delicti – che ha suscitato così tante reazioni contrastanti; quale ne sia il messaggio contenuto, quali le intenzioni.

E bisognerà di conseguenza chiedersi chi si cela dietro il nome di Max Stirner, chi veramente sia stato. Forse un giovane hegeliano troppo audace? Un profeta dell’anarchismo? Un teorico del sindacalismo? Un borghese individualista? Un violento apologeta del terrorismo? Un cultore della forza e un precursore del fascismo? Un filosofo esistenzialista? Un nichilista? Un semplice provocatore? Un folle?

Ma soprattutto bisognerà domandarsi chi è questo suo Unico, questo Egoista, questo Proprietario di cui si parla. Una nuova categoria dell’umano? Una figura del futuro? Addirittura un “mostro inumano”?

Sono, queste, solo alcune delle domande cui si tenterà una risposta, pur con la consapevolezza dell’impossibilità di giungere a soluzioni certe né tanto meno definitive del pensare stirneriano, per sua natura refrattario e ostile a ogni sistematizzazione.