di Emilio Quadrelli

Dread Lock’s + Black Blocks (Anonimo)

Quanto sta andando in scena in Francia è sotto gli occhi di tutti. Ciò che, con questo breve testo, ci proponiamo è offrire una lettura degli eventi in corso attraverso la voce di chi vi è direttamente coinvolto. Lo facciamo focalizzando l’attenzione su Marsiglia la quale, secondo quanto argomentato nelle interviste, può essere una valida cartina tornasole di quanto si sta consumando nel resto del paese. I nostri interlocutori sono stati una ragazza del Collectif Boxe Marseilles, M. L., un uomo del Collectif Autonome Précaires et Chȏmeurs Marseille e una ragazza, S. D., del Collectif Boxe Marseilles ma attiva, soprattutto, nel lavoro territoriale dei “quartieri Nord”. Partiamo con C. A., del Collectif Autonome Précaires et Chȏmeurs Marseille.

Come puoi ben immaginare in Italia vi è un grosso interesse per quanto, e non da ora, sta accadendo in Francia. In presa diretta vorremmo ascoltare il punto di vista di chi queste lotte le sta vivendo in prima persona. Vai pure a ruota libera e, nel caso, ti interrompo per puntualizzare passaggi che magari a un pubblico italiano non sono né ovvi, né scontati.

Va bene. Intanto faccio una premessa, parlerò soprattutto di Marsiglia perché ritengo che questa città incarni appieno la storia del futuro prossimo. A differenza di altri, che considerano Marsiglia il punto arretrato del ciclo capitalista noi la consideriamo il punto più avanzato, un vero e proprio laboratorio economico e sociale di ciò che ha in mente il comando capitalistico.

Ti interrompo subito per porti una domanda che, in Italia, in molti si pongono, perché Macron si è lanciato in ciò che, a quanto pare, è un azzardo non proprio da poco?

Questa è una buona domanda perché mi permette di entrare direttamente nelle questioni e prendere il toro per le corna. Prima devo però fare una premessa al fine di non creare malintesi. Questa lotta è senza alcun dubbio una lotta strategica perché se Macron vince le ricadute saranno pesantissime su tutta la classe operaia e il proletariato francese ma, a mio avviso, una sconfitta in Francia sarebbe anche un colpo durissimo per tutto il proletariato europeo. La Francia, di fatto, incarna il punto più alto di lotta e conflittualità sociale, in termini di resistenza ma non di offesa e su questo poi ci torniamo, per cui sfondare in Francia significa avere mano libera in tutto il Continente. Quindi nessun tentennamento nello stare dentro queste lotte e ad assumerne il livello strategico. Detto ciò, e qua veniamo al presunto azzardo di Macron, alcune cose importanti vanno dette. Ciò che va osservato è che a entrare pesantemente in lotta è stata la classe operaia del settore pubblico oltre alle università e parte delle scuole superiori mentre il settore privato, i precari, i disoccupati e gli studenti dei professionali sono stati coinvolti solo marginalmente e questo vuol dire che l’azzardo di Macron sicuramente c’è ma non è proprio un salto nel buio in quanto mira a colpire un determinato segmento, dai numeri sicuramente importanti, di classe operaia ma non l’insieme del proletariato francese. Per una grossa fetta di classe operaia, proletariato e studenti francesi questa lotta non significa molto perché le loro condizioni sono decisamente diverse da quelle degli operai scesi in lotta. Non per caso ho sottolineato che si tratta di una lotta di resistenza e non di una lotta offensiva. L’attacco di Macron è un attacco a quella rigidità operaia che la classe operaia e i lavoratori del pubblico sono stati, almeno sino a ora, in grado di mantenere e difendere. Queste condizioni, però, se esci dal settore pubblico non le trovi lì, per capirsi, trovi una situazione molto più simile a quella italiana.

Ma qual è la sostanziale differenza tra la Francia e l’Italia?

La prima cosa, sicuramente, è il numero di classe operaia pubblica che è certamente imparagonabile a quella italiana. Lo stato francese ha mantenuto la sua presenza in tantissime attività considerate strategiche e qua l’organizzazione operaia era ed è molto forte per cui ogni attacco a una qualunque forma della rigidità operaia scatena reazioni di massa come si sta vedendo. In più, altro aspetto molto diverso dall’Italia, in Francia i sindacati non sono mai stati inglobati nelle strutture di potere e di comando. In Italia la differenza tra le grosse centrali sindacali, i padroni e i governi non c’è. In Francia la cosa è molto diversa. In passato, ma si tratta di un’epoca ormai remota, la CGT era un sindacato riformista e spesso controrivoluzionario in quanto cinghia di trasmissione del PCF ma, da quando il PCF è imploso, la CGT è diventata un contenitore dove dentro si può trovare un po’ di tutto anche se, questo bisogna dirlo, le redini centrali sono saldamente in mano a dei bonzi del tutto compatibili e interni alle logiche del nazionalismo francese però, nel momento in cui il vecchio mondo di sinistra è imploso, la CGT ha perso buona parte dei suoi quadri e, soprattutto, ha avuto un vuoto tra i suoi quadri intermedi. Questo ha permesso a molti di entrare, soprattutto nelle sue ramificazioni periferiche, nella CGT portando avanti pratiche e discorsi che sarebbero stati impensabili in altri tempi ma tutto questo è vero perché c’è una classe operaia strutturata che non è per nulla piegabile alle logiche della destrutturazione e deregolamentazione che Macron cerca di imporre nel settore pubblico. La questione delle pensioni è solo un aspetto. Se Macron passa su questo, in tempi assai rapidi, tutta la forza del vecchio mondo operaio crollerà ma non solo. Se Macron passa qua le ricadute saranno pesanti anche per chi è già fuori dalle garanzie di questa classe operaia perché la condizione di precarietà conoscerà un ulteriore aggravamento.

Mi sembra di capire, da quello che dicevi, che al momento una grossa fetta di classe operaia e proletariato non è entrata direttamente in gioco. Hai parlato del settore privato dei precari, dei disoccupati, degli studenti dei professionali. Sulla base di ciò vorrei porti due domande. Come si è prodotta questa differenziazione così forte tra i due mondi operai e proletari? Cosa può succedere nelle prossime settimane? Anche questi altri settori di classe entreranno in lotta e in che modo?

Intanto non è una cosa che nasce ieri. Sono almeno una trentina di anni che abbiamo una situazione simile. Se pensi alla rivolta delle banlieue del 2005 la cosa diventa molto più chiara. Lì a entrare in lotta è stata una composizione di classe del tutto diversa, precaria, disoccupata e razzializzata. Lì, non per caso, la lotta ha assunto contorni decisamente più radicali perché in ballo non c’era questo o quello aspetto del comando capitalista, insomma la deriva riformista non era possibile, ma proprio un sistema di potere razzista e fondato sulla marginalità e l’esclusione politica e sociale di queste masse operaie e proletarie. Quelle lotte, da subito, si sono dovute misurare con lo stato e la sua macchina militare e poliziesca. In Francia, come in tutta Europa, vi sono due classi operaie e due proletariati per voi, in Italia, non dovrebbe essere difficile capirlo visto che siete stati proprio voi, i primi, a parlare di garantiti e non garantiti. Il problema è capire come e se, oggi, sia possibile dentro questa lotta trovare delle convergenze tra questi due poli. La cosa non è semplice e qua a Marsiglia ne abbiamo una riprova evidente.

Ecco, volevo tornare proprio su Marsiglia. La struttura economica e sociale di Marsiglia che cosa rappresenta? Alla scala del modello capitalistico francese ne incarna una tendenza o ne rappresenta una realtà del tutto marginale?

Marsiglia, secondo noi, incarna la storia del presente e del futuro. Marsiglia è una città di precari e disoccupati contornata da tutta una serie di città satelliti operaie, del settore privato, dove la condizione operaia è del tutto simile a quella dei marsigliesi. I settori operai e proletarie pubblici ci sono, ma sono una minoranza. Per questo riteniamo che Marsiglia sia un laboratorio avanzato del modello capitalista presente. Le condizioni di vita del proletariato marsigliese sono lo specchio del modello che Macron, e tutte le filiere del comando che rappresenta, intende generalizzare.

Sulla scia di quanto ascoltato proviamo a approfondire alcuni aspetti con M.L., una pugile, ma che svolge anche una certa attività politica, del Collectif Boxe.

Qual è la risposta, dentro la “sala boxe”, a quanto sta andando in scena in questi giorni in Francia?

Una risposta abbastanza tiepida. È una lotta che tocca ben pochi di loro che vivono condizioni di lavoro e di vita sociale del tutto diversi.

Quindi non c’è stata partecipazione allo sciopero?

Chi lavora nel settore privato non ha scioperato e la stessa cosa vale per la stragrande maggioranza dei precari. I disoccupati sono scesi in piazza ma senza troppo entusiasmo. Tutto questo è facile da capire: questa lotta loro non li tocca. Perché vi sia un salto occorrerà vedere se vi sarà la capacità di radicalizzare questa lotta su un terreno che coinvolga questi settori di classe.

Così ci siamo lasciati domenica 26 marzo, in attesa delle mobilitazioni del 28. Come si è visto non poche ombre si stagliavano sulla solarità che, in particolare nel nostro paese, sembrava aleggiare sulla lotta dei francesi. Nel frattempo vi sono stati gli eventi di Sainte–Soline dove un manifestante, tra l’altro cugino di un militante del Collectif Autonome Précaires et Chȏmeurs Marseille, versa in fin di vita. Il 28 poteva essere un banco di prova per molte cose. Di questo ne abbiamo parlato con una ragazza algerina, attiva soprattutto nel Collectif boxe e nel Coordinamento dei collettivi dei quartieri Nord. Un punto di vista estremamente interessante perché, in virtù della sua esperienza diretta, fornisce una versione della mobilitazione molto meno entusiasta di quanto stiamo facendo noi.

Hai sentito le cose dette sino a ora, perciò andiamo subito al dunque. Come sono andate le cose il 28?

Diciamolo chiaramente, non troppo bene o meglio si è confermato quanto espresso in precedenza. Da parte nostra, mi riferisco alle reti che abbiamo costruito, possiamo anche dire di aver fatto un piccolo passo in avanti perché siamo riusciti a mobilitare più persone delle scorse volte ma, e questo dice tanto, meno di quante siano scese in piazza con noi l’8 marzo. La gran parte del proletariato precario e disoccupato, che a Marsiglia è la maggioranza, non si è mosso e se lo ha fatto lo ha fatto con poco entusiasmo. Inutile girarci intorno: se i contorni di questa lotta rimarranno questi, molti settori operai e proletari ne rimangono fuori perché sono obiettivi del tutto estranei alla loro condizione. Questa è una lotta dei garantiti, oggettivamente di retroguardia. O si trova il modo, concreto e materiale, di legare questa lotta a quella degli altri settori operai e proletari, al momento il comparto privato non si è mosso, oppure questa lotta non potrà che perdere. Del resto lo stato, in termini repressivi, ci sta andando piuttosto cauto perché presuppone che, rimanendo questa la cornice del conflitto, non si andrà chiaramente oltre una certa soglia. In Italia, come mi è stato possibile vedere sui social, vi siete molto entusiasmati per l’attacco al Municipio di Bordeaux, non avete notato però che quell’assalto è stato condotto da un gruppo di destra. Ciò che dovete capire è che, mediamente, i livelli di violenza poliziesca quotidiana in Francia sono molto più elevati di ciò che si sta vedendo in piazza. Il livello di violenza, da parte della polizia, a cui è abituato il proletariato di banlieue non è paragonabile a ciò che si è visto nelle piazze così come i livelli di scontro posti in atto nel corso delle mobilitazioni alle quali hanno aderito i banlieuesards sono stati esponenzialmente incommensurabili. In poche parole, oggi, la banlieue è alla finestra, la sua entrata in campo dipende da molte cose ma perché possa esserci una reale unità di lotta occorre che gli obiettivi vadano ben oltre i perimetri dei lavoratori garantiti, altrimenti è difficile pensare che qualcuno scenda in piazza per le pensioni quando lui, di fatto, in pensione non ci andrà mai. Capisco che per voi quello che vedete nelle piazze francesi oggi può sembrare chissà che cosa, ma il problema, semmai, è la vostra arretratezza non il livello avanzato della Francia. In molti, e questo succede anche in Francia tra alcuni gruppi di estrema sinistra, si fanno prendere dall’estetica dello scontro ma, appunto, si tratta semplicemente di estetica.

Quindi, per capirsi, secondo te occorre spostare l’attenzione su altre cose. Per esempio?

Sicuramente il salario massimo garantito, quindi l’abolizione di ogni forma di lavoro precario e la lotta al potere poliziesco e al suo razzismo. Sappiamo che tutto questo non sarà il frutto di una spallata ma di una lotta lunga e difficile. Ciò che dobbiamo iniziare a porre in atto sono forme di potere operaio e proletario in grado di contrastare il potere dello stato. Questi sono i presupposti per tirare dentro la lotta tutti quei settori di classe che osservano quanto sta accadendo come qualcosa che riguarda sostanzialmente i bianchi.

Cioè?

La frattura coloniale è tutta dentro l’organizzazione del lavoro. I non garantiti sono, per lo più, proletari e operai in pelle scura, donne, e qui entra prepotentemente in ballo il patriarcato come elemento fondante del modello capitalista, ai quali ovviamente si aggiunge anche una quota, e si aggiunge sempre di più, di proletariato bianco in via di declassamento.

Quindi, ciò che vedi, è una frattura piuttosto corposa tra due condizioni proletarie che rimandano a condizioni sociali e materiali ben poco affini?

Sì, questa è la realtà con la quale ci dobbiamo misurare. In una città come Marsiglia questo lo si può vedere in maniera macroscopica.

Quanto ascoltato è in gran parte spiazzante poiché, per noi, la “battaglia di Francia” sembrava incarnare caratteristiche di ben altra portata. Ciò che, invece, sembra emergere è una lotta, per quanto sacrosanta, di “resistenza”, portata avanti da settori operai e proletari che cercano di “conservare” il mondo di ieri ma che ben poco sembrano avere a che fare con la nuova composizione di classe la quale, per forza di cose, è del tutto estranea al mondo dei garantiti. Sotto questo aspetto il “silenzio della banlieue” è a dir poco significativo così come non proprio irrilevante è la frattura manifestatasi anche in campo studentesco visto che, anche in questo caso, gli “studenti di banlieue” sembrano stare alla finestra. Difficile fare previsioni sul futuro prossimo della “battaglia di Francia”, il 6 aprile una nuova giornata di lotta inonderà la Francia e, con ogni probabilità, molti nodi inizieranno a venire al pettine. Ciò che, sin da ora, possiamo dire è che solo la decisa scesa in campo della nuova composizione di classe potrà declinare in offensiva una lotta di resistenza la quale, per sua natura, non può che andare incontro a una sconfitta magari edulcorata da qualche piccola concessione. Il progetto di Macron è chiaro: destrutturare e precarizzare le vite della maggior parte degli operai e dei proletari e su questo è disposto a giocarsi molto. Rimanendo sulla difensiva si può solo che perdere ma l’offensiva è nelle mani e nelle corde di chi oggi è alla finestra. La sua discesa in campo è il vero ago della bilancia perché lì ed esattamente lì risiedono le divisioni strategiche della classe.