di Francisco Soriano

È il venerdì pomeriggio del 21 gennaio quando, il diciottenne Lorenzo Parelli, ormai a poche ore dalla conclusione della sua esperienza lavorativa in un’azienda di Lauzacco in provincia di Udine, viene investito da una trave metallica di 150 chilogrammi. L’impatto è mortale e non lascia scampo al giovane. È successo mentre erano in corso lavori di carpenteria metallica nel capannone dove lavorava.

Gli inquirenti si sono recati immediatamente sul posto della tragedia e hanno sequestrato gli indumenti di Lorenzo: una tuta di lavoro blu, i guanti, gli occhiali e le scarpe. Lo studente era probabilmente munito del casco che non è servito a nulla sotto l’impatto di una barra, lunga 15 metri e larga 7, crollata da una distanza dal suolo davvero considerevole. La Procura della Repubblica ha indagato per omicidio colposo l’amministratore delegato e rappresentante legale della Burimec. In una nota la Procura ha subito chiarito che “erano in corso gli accertamenti diretti a individuare eventuali ulteriori profili di responsabilità a carico di altre figure aziendali”. I carabinieri invece hanno svolto le indagini interrogando testimoni e operai che hanno assistito all’incidente, mentre gli ufficiali giudiziari del Dipartimento Prevenzione della Asl si sono concentrati su due questioni molto importanti: il tutor scolastico nel capannone che, dalle prime ricostruzioni, sarebbe stato assente per malattia e le attività specifiche che lo studente stava ultimando come lavoratore. Inoltre sono stati acquisiti i protocolli che, don Lorenzo Testo, direttore del Cpf, ha definito “sistema duale”, cioè il progetto di alternanza scuola-lavoro riferito alle specificità dei professionali e non delle altre scuole secondarie. Alla domanda se un tutor del “Bearzi”, nella giornata di giovedì, fosse alla Burimec, don Teston ha seccamente detto che “Lorenzo era monitorato”. Lorenzo Parelli era iscritto al quarto anno del “Centro di formazione professionale” di un istituto salesiano molto conosciuto, il “Bearzi” di Udine.

In Italia gravi e molto preoccupanti sono i dati della mattanza di lavoratori (senza considerare gli incidenti che hanno provocato nelle vittime danni permanenti): nell’intero 2021 sono deceduti 1404 lavoratori per infortuni sul lavoro e, di questi, 695 sui luoghi di lavoro con un aumento del 18% di questa tipologia rispetto al 2020.

La storia di Lorenzo Parelli, tuttavia, impone una seria analisi per la sua drammaticità e per la causalità della presenza del giovane in azienda. Questa morte non può essere derubricata come una tragica fatalità. Il grado di civiltà di una nazione democratica e moderna deve avere come riferimento valoriale la sicurezza delle persone negli ambienti lavorativi. Qualsiasi morte che rientri in questa fattispecie deve essere catalogata come omicidio senza troppi giri di parole. Lorenzo Parelli, studente, era al quarto anno di frequenza quando è stato chiamato a svolgere un’attività lavorativa in base alla norma che prevede l’alternanza scuola-lavoro, ribattezzata recentemente “PCTO”, acronimo di “Percorsi per le competenze trasversali e l’Orientamento. Questo è il punto della questione, che solleva interrogativi e non una silenziosa quanto acritica accettazione di questa disposizione, già rafforzata in una strutturale riforma del sistema scolastico ed enfatizzata con una retorica senza eguali dalla famosa legge ricordata come “Buona scuola”. Per capire bene il contenuto della norma bisognerà ricordare che “l’alternanza scuola-lavoro” era già un obbligo di legge, dal 2015, per tutti gli studenti delle classi terze del secondo ciclo di istruzione, con differente durata rispetto agli ordinamenti: 400 ore negli istituti tecnici e professionali e 200 nei Licei. Non si tratta di un progetto, ma di una modalità didattica da inserire nel Piano Didattico Triennale dell’Offerta Formativa, in accordo con il profilo culturale, educativo e professionale degli indirizzi di studio.

Questo “progetto” è stato introdotto come metodologia didattica con l’obiettivo di assicurare ai giovani tra i 15 e 18 anni l’acquisizione di competenze che serviranno alla introduzione dei giovani nel mondo del lavoro: questo avverrebbe in aggiunta alle conoscenze di base degli allievi. La realizzazione di questo obiettivo fu orientato alla realizzazione dei corsi del secondo ciclo dell’articolo 4 della legge 28/3/2003, n. 53 (legge Moratti), e disciplinata dal successivo decreto legislativo 15/4/2005, n. 77. L’art. 4 e il decreto attuativo focalizzavano l’attenzione sul raccordo della scuola con il tessuto socio-produttivo del territorio, l’apprendimento in contesti diversi quale metodologia didattica innovativa che dovrebbe rispondere ai bisogni individuali di formazione nel tentativo di valorizzare la componente formativa dell’esperienza operativa e, infine, lo scambio tra le singole scuole e tra scuola e impresa. Dunque questa disciplina è stata man mano resa strutturale al nostro sistema pedagogico con successive disposizioni che, in base a questa “alternanza”, vengono richiamati e valorizzati dai “Regolamenti sul Riordino dei diversi istituti secondari di II grado” (DPR 15 marzo 2010, n. 87, 88, 89), come metodo sistematico da introdurre nella didattica curricolare e declinati a seconda dei diversi indirizzi di studio. In seguito la Legge 128/2013: “l’alternanza precoce” avverrà fin dai primi anni della scuola secondaria superiore (“sono previste misure per far conoscere agli studenti il valore educativo e formativo del lavoro, anche attraverso giornate di formazione in azienda”). In seguito, la già ricordata “legge 107 del 13 luglio 2015” (La Buona Scuola), pone tra gli obiettivi formativi la valorizzazione dell’Alternanza scuola-lavoro (A.S.L.) nel secondo ciclo di istruzione. La legge dedica all’A.S.L. un’attenzione rilevante nei “commi dal 33 al 43”, confermando elementi di continuità e, contestualmente, di novità e discontinuità nei commi 30 e 128. In questa ottica deve essere ricordata la “Guida Operativa per la scuola”, diramata dal MIUR 8 ottobre 2015, che fornisce orientamenti e indicazioni per la progettazione, organizzazione, valutazione e certificazione dei percorsi di Alternanza scuola-lavoro alla luce delle innovazioni normative introdotte dall’articolo 1 della legge 13 luglio 2015, n. 107. A rafforzare il tutto ci ha pensato il D.lgs 81/2015 attuativo della legge 183/2014, nota come “Jobs act”, all’art. 43 c.5, che prevede la possibilità di assumere con contratto di apprendistato gli studenti iscritti negli istituti professionali, negli istituti tecnici e nei licei a partire dal secondo anno del corso di studi, nonché gli studenti iscritti ai percorsi di istruzione per gli adulti di secondo livello. Si è giunti alla “Legge di Bilancio del 2019” che stabilisce per tutti gli studenti del triennio delle Superiori l’obbligo di svolgere l’Alternanza Scuola Lavoro, anche se con qualche novità: l’alternanza cambia look. Infatti oggi ha un nome nuovo e meno ore. Si chiama “Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento e la sua durata sarà nell’ultimo triennio di almeno 90 ore nei licei, di 150 ore negli istituti tecnici e di 180 ore nei professionali. Il decreto ha confermato l’obbligatorietà del percorso formativo, ritenuto addirittura “strategico”. La centralità dell’Alternanza è confermata anche dal fatto che alla prova orale dell’esame di maturità i candidati sono tenuti a esporre le esperienze di Alternanza Scuola-Lavoro svolte. Questo è a grandi linee il quadro normativo in materia.

L’attuale Ministro della Pubblica Istruzione Bianchi è così entusiasta di questi percorsi formativi che pensa addirittura di estendere le attività alla scuola primaria, affiancando dai 6 anni di età un tutor che avvii bambine e bambini al “mondo del lavoro”, creando una sorta di assurda descolarizzazione di massa. Sembra chiaro che al ministro non interessano i dati e le statistiche con la loro cruda verità su una situazione a dir poco drammatica delle scuole italiane di qualsiasi ordine e grado. Mancanza di organico, stipendi fra gli ultimi di tutto il mondo occidentale e industrializzato, classi affollate ai limiti della sopportabilità, carenze strutturali e progettuali nel reclutamento dei docenti, scarsi e fatiscenti ambienti scolastici: problemi che sembrano insormontabili e acuiti dalla crisi sindemica degli ultimi anni. Se le uccisioni sul lavoro, definite finalmente con il loro vero nome, cominciano a verificarsi anche a danno di studenti, la deriva di questo Paese avrà forse concluso la sua parabola discendente. Superata la fase della retorica più deprimente, quella di aver fatto credere che questa alternanza-progetto-pedagogico sarebbe stata la svolta epocale al fine di essere inseriti nel mondo del lavoro già dopo aver ultimato il ciclo di studi della scuola superiore, si comprende subito il vero obiettivo delle riforme che hanno come riferimento e valore portante l’idea di costruire una società competitiva, capitalista, liberista, basata sullo sfruttamento più raccapricciante perché elevato a parametro pedagogico. 

Lo stesso governo Renzi che ha voluto dare all’alternanza “finalmente” lo slancio che avrebbe meritato, è stato il protagonista di un altro spettacolare atto di mistificazione: per cancellare le “fastidiose tutele” dello Statuto dei Lavoratori si è inventato le “tutele crescenti” che, in un’ottica di liberismo come quello attuale, è semplicemente una tragica presa in giro. Su quanto fatto dai governi per lo smantellamento dei diritti dei lavoratori è sotto gli occhi di tutti: la somma dei morti e degli invalidi sul luogo del lavoro cresce di anno in anno e definisce il grado di dis-interesse nei riguardi dei lavoratori da parte dello Stato. Ci chiediamo se ormai si assiste in modo indolente a questa idea terribile di essere stati adottati da un sistema economico che costringe minorenni a imbracciare gli strumenti del lavoro, al fine di essere pronti a una competizione ineluttabile e incombente? È possibile che non sia lecito immaginare un altro mondo possibile se non quello di mercati e di tigri economiche, più o meno visibili (a cui bisogna opporre tutti i nostri sforzi, a qualsiasi costo, per fronteggiarli), che aggrediscono la nostra vita costringendoci alla precarietà e all’insicurezza? Dopo aver creato e propagato questo stato di disagio fra le popolazioni, il sistema liberista di questo nuovo secolo è riuscito a impiantare nelle scuole e, soprattutto negli istituti tecnici e professionali, l’orientamento che ci dovesse essere una continuità immediata e inesorabile fra la conoscenza e le competenze acquisite in ambiente scolastico e il mondo del lavoro, con l’obiettivo di mettere a disposizione di aziende e altri settori produttivi migliaia di giovani sui territori con la giustificazione di “imparare il mestiere”. Dove sono i diritti dei lavoratori-studenti, senza salario, orari e condizioni contrattuali non idonee a creare empatia e affezione verso il mondo produttivo? È questo il progetto pedagogico che viene riservato ai giovanissimi, un modello di sfruttamento felice ed edulcorato da esempi stakanovisti di lavoratori in Amazon o nelle filiere di un mondo che presta il fianco a nuove e più antiche forme di schiavitù? Ci lascia attoniti e preoccupati il teorema che la scuola debba seguire inesorabilmente le indicazioni partorite dal Trattato di Lisbona di circa 20 anni fa: soprattutto nei valori che si basano sulla formazione di un “cittadino moderno”, che può essere considerato tale solo se risponde alla formazione scolastica in relazione a una struttura economica ed esistenziale che si preoccupa esclusivamente della produzione e del propedeutico sfruttamento. Rimane il punto ineludibile e la prova incontestabile che la “nuova frontiera” del capitalismo anche a livello pedagogico è solo una manifestazione replicata del mondo del lavoro in cui lo scambio non è più tra forza lavoro e salario, ma tra lavoro e formazione. Con questa alchimia si cancellano diritti acquisiti e si rilancia, in uno spazio de-regolato e destrutturato delle sue più elementari conquiste, la più evidente condizione di sfruttamento del prossimo. Che sia la scuola pubblica ad assolvere ai comandi dei potentati economici e delle lobbies economiche è una chiara manifestazione di autorità in violazione di ogni regola umana di condivisione della ricchezza e della qualità della vita. Il contrario di quello che le retoriche neoliberiste hanno ormai fatto passare come conquiste della modernità.

Non è tutto silente il movimento studentesco che, a Milano, domenica 23 gennaio ha marciato per le strade con lo slogan “l’alternanza uccide”. Nel tentativo di raggiungere la sede di Assolombarda per consegnare, in un gesto simbolico, una putrella di cartone in memoria della morte di Lorenzo Parelli, i manifestanti hanno subito le cariche della polizia e il conseguente blocco della marcia non violenta. Già a Roma, nella stessa giornata, si erano registrati scontri con le forze dell’ordine dopo che il corteo aveva mosso i primi passi dal Pantheon. Gli studenti dell’Istituto Virgilio hanno chiesto l’abolizione dell’alternanza scuola-lavoro e dei PCTO e un tavolo di discussione con l’Ufficio scolastico del Ministero dell’Istruzione per produrre dei protocolli di sicurezza da poter utilizzare durante gli stage, possibilmente facoltativi e retribuiti. Incidenti sono scoppiati anche a Napoli, in Piazza dei Martiri di fronte alla sede dell’Unione degli Industriali. Gli studenti hanno poi defluito in Piazza Vittoria e, successivamente, in via Partenope. Altre marce di protesta a Torino, Trento e Cagliari, a dimostrazione che non tutto è passato sotto silenzio, nonostante le bastonature e i lacrimogeni.

La morte di Lorenzo ha sollevato inquietanti interrogativi. Il lavoro senza sicurezza, senza retribuzione, senza garanzie di apprendimento è semplicemente un assurdo fallimento. Non hanno senso le ore di corso sulla sicurezza se, all’interno delle aziende, non vengono rispettati i più elementari criteri per garantirla. Così come è incerta la proposta di un lavoro gratuito, di una detrazione di tempo allo studio e al tempo libero per sacrificarlo al ricatto dell’ammissione agli esami.

Era questo il nuovo umanesimo proposto dalla falsa proposta pedagogica di questi anni dai nuovi cantori del regime capitalista e neoliberista?