di Sandro Moiso

Maurizio Berselli, Storie folk. Il folk revival nell’Italia settentrionale e centrale raccontato dai protagonisti. Testimonianze e documenti, Edizioni Artestampa, 2020, pp. 392 + USB card, 25,00 euro

Se si va alla ricerca di un vocabolo dalla valenza fortemente, verrebbe quasi da dire esageratamente, polisemica questo potrebbe essere ben rappresentato dalla parola folk. Basterebbe infatti scorrere in un qualsiasi negozio di dischi e cd, se pur ancora ne rimane qualcuno, gli scaffali dedicati alla musica folk per accorgersi che possono contenere veramente di tutto. Sia che si tratti di musica italiana che internazionale.

Balli tradizionali, cori popolari e non, cantautori che usano strumenti acustici, gruppi elettrici che utilizzano arie e temi rubati alla tradizione popolare, canzoni dialettali e canti politici finiscono tutti accomunati dalla medesima definizione. Tale confusione, come si diceva all’inizio, deriva proprio dall’ampia gamma di significati che è possibile e si è soliti attribuire al termine in questione. Situazione che non migliora affatto se poi si passa a “musica popolare” che, come ben ci insegna il termine di derivazione anglofona pop, a quel punto può contenere veramente di tutto.

Il volume di Maurizio Berselli, appena pubblicato dalle edizioni Artestampa, cerca non tanto di fare chiarezza o contribuire a stabilire certezza nell’uso della parola folk e dei suoi possibili significati, ma almeno di rendere chiaro al lettore casuale quanto a quello appassionato dell’argomento, quanto ricca e varia sia stata in Italia l’esperienza del folk revival tra gli anni ’70 e ’80 del secolo passato e nei primi due decenni di quello attuale.

Per fare questo l’autore ha comunque tracciato una sintetica e utilissima ricostruzione della rinascita dell’indagine e della produzione sulla e della musica folk nel nostro paese a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 che sia accompagna poi ad una più approfondita disamina delle esperienze prodotte sia a livello musicale che di ricerca dei due decenni successivi.

Maurizio Berselli è stato uno dei promotori della riscoperta e del rilancio dell’organetto nella musica dell’Italia settentrionale alla fine degli anni ’70 ed è stato fra i primi a reintrodurre l’uso dello strumento nell’esecuzione delle musiche dei balli dell’Appennino modenese, bolognese, reggiano; repertori tradizionali antecedenti al più conosciuto liscio. Con l’Orchestra Buonanotte Suonatori e poi con il gruppo Suonabanda, nel cui ensemble suona l’organetto fin dal 1983, si è dedicato ad una approfondita ricerca sulle musiche e i balli staccati emiliani, apprendendolo direttamente dai tanti suonatori incontrati negli anni.

Nel 1984 dà vita allo “STRAbollettino”, la prima pubblicazione prevalentemente rivolta all’informazione sugli avvenimenti musicali nell’ambito del folk nell’Italia settentrionale e centrale, che contribuisce in tal modo a pubblicizzare e render noti ad un pubblico più vasto. E’ proprio nell’ambito di tale esperienza editoriale che, a partire dal 2016, matura l’idea di raccogliere memorie e conoscenze per documentare la storia e le storie del movimento del folk revival deglia nni Settanta e Ottanta e poi, ancora, di quelli successivi.

Il risultato sta tutto, e davvero non è poca cosa, all’interno di questo libro costruito letteralmente attraverso la viva voce e le testimonianze dei principali protagonisti di tale movimento. Una autentica storia orale che ben si adatta al tema trattato e che restituisce con vivacità e passione le differenti varianti, ma anche le basi comuni, dell’espressione musicale riassumibile all’interno dell’esperienza folk.
Per giungere a ciò, l’autore ha però ricostruito in maniera precisa e dettagliata, anche se sintetica, i percorsi che dagli anni ’50 hanno condotto ad una significativa riscoperta di una tradizione musicale che sembrava ormai in gran parte scomparsa. Soprattutto per quanto riguardava il canto e i suoi infiniti e, spesso, non convenzionali contenuti. In tal senso l’autore non dimentica di sottolineare l’importanza e l’influenza di ricercatori, etnografi e musicologi o etno-musicologi quali l’americano Alan Lomax (che introdusse in Italia, durante un suo soggiorno nei primi anni Cinquanta le tecniche della registrazione sul campo) e degli italiano Ernesto de Martino, Diego Carpitella, Gianni Bosio e Roberto Leidy, solo per citarne alcuni. E non dimentica il ruolo svolto da aggregazioni musicali e culturali quali “Cantacronache” (1957) e “Il nuovo canzoniere italiano” (1962 ca.), il quale ultimo darà vita e linfa all’omonima testata dedita allo studio della musica tradizionale.

Un’esperienza fondamentale che, però, tenderà a sottolineare troppo spesso, all’interno della tradizione popolare, l’aspetto “politico”, finendo così col confondere, soprattutto tra gli anni Sessanta e la metà degli anni Settanta, le canzoni prodotte dal sentimento autenticamente popolare con quelle cantautorali di autori politicamente impegnati. Contribuendo così a sottolineare quell’aspetto fortemente polisemico legato all’uso del termine folk. Polisemia e scelta culturale che condurranno gli stessi protagonisti di quella stagione a non comprendere, se non addirittura a rifiutare, le esperienze portate successivamente avanti dai gruppi e dai musicisti operanti in tale ambito a partire dalla metà circa degli anni ’70.

Valga per tutti costoro la testimonianza, estremamente semplificatrice e riduttiva, di Gualtiero Bertelli, uno dei protagonisti della stagione precedente, riportata nel testo.

Verso la fine degli anni ’70, con l’aggravarsi della situazione politica (brigatismo rosso e nero) ed economica (crisi industriali, licenziamenti), queste esperienze si spensero e cadde progressivamente nell’oblio l’interesse per la canzone sociale.
Carsicamente essa ricompare in manifestazioni sindacali, in spettacoli “storici” e in eventi rievocativi. I canti di quel tempo sono oggi genericamente definiti come “le canzoni del ’68” anche se quelle in quegli anni più note furono scritte fin dal 1960 (ad esempio“Per i morti di Reggio Emilia” di Fausto Amodei) e molte altre furono prodotte anche neglianni ’801.

Quello che dimentica Bertelli, o forse semplicemente non vuole vedere, è che proprio intorno alla metà degli anni Settanta tra i movimenti antagonisti produttori di lotte e cultura e la stagione in cui il Partito Comunista e i sindacati avevano rappresentato comunque i cardini dell’esperienza politica di “sinistra” (in fin dei conti anche buona parte della sinistra cosiddetta extra-parlamentare si rifaceva a quei modelli e a quel tipo di impostazione organizzativa) era intervenuta una radicale frattura, che il movimento del ’77 avrebbe portato pienamente alla luce.

E’ chiaro che una tale frattura politico-culturale avrebbe finito col determinare, o forse ne era già determinata inconsapevolmente, anche un cambiamento del gusto e delle forme musicali attraverso cui la musica tradizionale avrebbe continuato ad essere riscoperta, riprodotte e, soprattutto, re-interpretata. Motivo per cui sono proprio le oltre trecento pagine dedicate al Nuovo Folk Revival degli anni ’70 e ’80 a costituire la parte più innovativa ed interessante del testo di Berselli.

Sono pagine ricche di testimonianze, ma anche di puntigliosi elenchi degli strumenti “riscoperti” ed utilizzati, delle danze riportate in auge, di riviste e festival destinati a sostenere il movimento; con un’attenzione particolare dedita anche a sottolineare come in tale contesto l’esperienza della musica straniera ( dalla riscoperta delle radici celtiche al folk rock fino a forme deraglianti di riproposizione in chiave “psichedelica” della musica di ispirazione folk messe in atto da gruppi quali l’Incredible String Band) avrebbe contribuito a rinnovare la tradizione. Così come, tra le altre cose, beat e rock avevano già contribuito a rinnovare la canzone e la musica popolare (nel senso di pop) italiana negli anni precedenti.

Valga invece da esempio per le storie contenute all’interno della ricerca la testimonianza di Franco Ghigini, etnomusicologo e musicista della Val Trompia.

“Nei primi anni Ottanta […] mi dedico con crescente interesse all’ascolto di musiche acustiche dai più o meno espliciti rimandi tradizionali: il folk revival anglo-celtico e francese; il bluegrass americano e la contemporary guitar music.
[…] decido di applicarmi allo studio della fisarmonica diatonica, strumento di cui apprezzo soprattutto l’adozione nel folk-revival francese. Introdotto alla pratica strumentale da Guido Minelli […] del gruppo Èl Bés Galilì e poi da Riccardo Tesi, mi perfeziono con Alain Floutard negli stages organizzati periodicamente a Cervasca dall’Accademia del Bordone di Sergio Berardo. Suono per il ballo folk – nel Bresciano s’è fatto un discreto giro di folkettari dediti al ballo – insieme ai sodali Angelo Arici e Giovanni Foresti, oggi animatori del gruppo Hòfoch & Hstòfech. Il repertorio comprende standard francesi e occitani, ma anche valzer, polche e monfrine tradizionali della Valle Trompia. La frequentazione di appassionati bergamaschi – fra essi, i musicisti del mai abbastanza valorizzato gruppo Magam – è all’origine del progetto Bandalpina, prefigurato proprio in Valle Trompia, a Bovegno, in occasione della prima edizione della rassegna ‘I Suoni delle Prealpi’. […] Partecipo alla Bandalpina per tre anni, vivendo un’intensa esperienza musicale e umana.
[…] Il coinvolgimento nel variegato mondo revivalistico m’induce parallelamente ad approfondire
la conoscenza delle musiche di tradizione orale.[…] mi laureo in etnomusicologia con Roberto Leydi. Contribuisco a nuove fonoregistrazioni della Famiglia Bregoli e studio i repertori strumentali tradizionali e le musiche cosiddette popolaresche documentando per anni nel Bresciano anziani fisarmonicisti e mandolinisti, orchestrine, bande e bandini. Tale ricerca, tuttora foriera di interessanti acquisizioni, mi permette di comprendere la ricchezza e l’ampia articolazione – dalle forme propriamente tradizionali sino alle musiche ready-made di dischi e radio – di una ‘memoria musicale’ popolare novecentesca modulatasi sui comportamenti conservativi ed evolutivi tipici dell’oralità.”2

Chiude la vasta esposizione e parata di esperienze sonore, sociali e personali, un’attenta ed inedita ricostruzione del movimento degli anni 2000: La Mazurka Klandestina e le nuove realtà giovanili del bal folk3.
Va poi ancora sottolineato come il testo sia accompagnato da un ricco apparato iconografico, un’esaustiva bibliografia su tutti gli argomenti trattati e, non ultimo, un apparato di indici utile a rintracciare tra le sue pagine autori, gruppi e storie folk, appunto. La USB card che accompagna il libro arricchisce poi ulteriormente l’opera, rendendola assolutamente indispensabile per chiunque si interessi o voglia interessarsi dell’argomento. Sia in particolare che in generale.

Quasi contemporaneamente all’uscita del libro è stato anche ristampato in cd, ad opera dell’Associazione culturale Barabàn (info@baraban.it – www.baraban.it), il disco, originariamente registrato a Brescia e pubblicato nell’aprile del 1980, del gruppo musicale Èl Bés Galilì. Il nome del gruppo richiama la tradizione leggendaria del serpente galletto che secondo la tradizione dell’area bresciana abiterebbe i boschi montani. Il nome scelto dal gruppo indica già di per sé la scelta di un canone musicale ed espressivo estremamente differente da quello cui si richiamava la testimonianza di Bertelli riportata più sopra.

Il gruppo, certamente uno dei migliori dell’epoca, formato da Bernardo Falconi (violino, ghironda, dulcimer, salterio ad arco, voce), Guido Minelli (organetto diatonico, plettri, tastiere, arpa celtica, percussioni, voce), Marisa Padella (voce, flauti diritti e traverso, tin whistle, percussioni) e Luisa Pennacchio (voce, bodhran, percussioni) è chiaramente ispirato, oltre che dalla riscoperta della tradizione delle valli bresciane, dalla musica celtica cui si è precedentemente accennato e dallo psych-folk di matrice anglo sassone. Come sottolineato dalle parole, riportate nel testo di Berselli, di uno dei membri del gruppo, Guido Minelli, che nel 1975 con Marisa Padella, Placida “Dina” Staro e Bernardo Falconi aveva già fondato il gruppo Il Paese delle Meraviglie.

“Dall’incontro nel 1975 con il giovane violinista Bernardo Falconi e con Placida Staro nacque il gruppo ‘Il Paese delle Meraviglie’ che sviluppò un repertorio ispirato inizialmente al folk revival britannico e irlandese (Incredible String Band, Steeleye Span tra i maggiori ispiratori) e anche alle danze del carnevale di Bagolino. Nel gruppo entrò ben presto anche Luisa Pennacchio alla voce, percussioni e whistle. Per un breve periodo si unì a noi alla chitarra anche Beppe Casciotta, purtroppo prematuramente scomparso. Nella famiglia di mia moglie, originaria di Vobarno in Valsabbia, il papà era violinista e la mamma e gli zii avevano un vasto repertorio di ballate popolari da cui traemmo ispirazione per impostare successivamente un repertorio basato su tale patrimonio italiano. Il gruppo cambiò così il nome in ‘Èl Bés Galilì’ e impostò il proprio repertorio sulla tradizione del Nord Italia, utilizzando però lo stile e gli strumenti tipici del folk revival anglosassone. Nel 1978 iniziammo le registrazioni del nostro disco eponimo, che uscì nel 1980.[…] Alle registrazioni partecipò anche Giovanni Padella al violino, papà di Marisa, con cui facemmo alcuni concerti in Italia e in Francia. Per un certo periodo, dal 1979 al 1981, si unì al gruppo anche Giuliano Illiani, maggiormente noto col nome d’arte Donatello, conosciuto a Brescia durante le registrazioni di un suo disco. Con Giuliano avviammo una collaborazione in quanto anche lui aveva
fatto delle ricerche sul campo simili alle nostre, ma sulla musica tradizionale piemontese, in particolare quella di Tortona. Il gruppo Èl Bés Galilì si sciolse nel 1982”4.

Accompagna il cd un libretto ricco di informazioni, sia sull’esperienza musicale del gruppo che sulla storia e la tradizione dei brani interpretati. Aspetto quest’ultimo che rende ancora più piacevole l’ascolto, contribuendo a inquadrare il suono in un contesto antico e allo stesso tempo ancora estremamente attuale per chiunque non voglia accontentarsi dell’omogeneizzazione dominante e della banale offerta musicale contemporanea.


  1. G. Bertelli, Il canto sociale tra ricerca e nuove canzoni in M. Berselli, Storie Folk, p.26  

  2. in M. Berselli, op. cit. pp. 189-191  

  3. Op. cit, pp. 337-370  

  4. in op. cit., p. 187