Ernst Bloch, Il principio speranza, Mimesis 2019 – Vol. 1, Sogni ad occhi aperti, pp. 502; Vol. 2, Per un mondo migliore, pp. 498; Vol. 3, Immagini di desiderio, pp. 514 – € 25,00 a volume  

di Fabio Ciabatti

Concepire un futuro radicalmente alternativo allo stato di cose presente che non appaia una mera fantasticheria, ma sappia ispirare le lotte del presente: questo territorio dell’immaginario sembra definitivamente scomparso dall’orizzonte del pensabile. Come è possibile trovare tra le macerie del nostro mondo il materiale per ricostruire i sogni di un altro mondo realmente possibile? Secondo Ernst Bloch, non si dà nessuna frattura nel continuum del tempo storico senza che gli uomini e le donne avvertano la presenza, anzi l’urgenza, di un futuro da realizzare. Per questo la sua opera è tesa a riabilitare il concetto di utopia, intesa però come utopia concreta. I suoi sforzi sono indirizzati a sciogliere l’apparente contraddizione che si manifesta non appena questi due concetti – “utopia” e “concretezza” – vengono accostati: come può essere concreto qualcosa che non è mai esistito in alcun luogo e in alcun tempo?
A questa domanda Ernst Bloch dà risposta in quella che è probabilmente la sua opera più ambiziosa,
Il principio speranza, libro dato alle stampe nel 1959 e da poco disponibile in una nuova edizione pubblicata in tre volumi da Mimesis. Si tratta di un lavoro poderoso che rappresenta un vero e proprio atlante storico dell’utopia, analizzata nei suoi versanti filosofici, artistici, religiosi e scientifici. Ma sbaglierebbe chi pensasse a un’opera di mera erudizione. Per il suo autore, infatti, tutte le utopie sono figlie del loro tempo ma, contemporaneamente, contengono sogni e desideri che oltrepassano il loro contesto storico di origine. E in questo andare oltre ancora oggi possono dirci qualcosa avendo in comune con le attuali speranze la negazione dello sfruttamento, dell’oppressione, dell’indigenza.

E’ impossibile seguire i mille fili che si intrecciano in questo lavoro enciclopedico. Per questo ci soffermeremo solo sulla prima parte, quella che ne costituisce la fondazione filosofica. E allora, tornando alla domanda iniziale, possiamo dire, in estrema sintesi, che la concretezza dell’utopia sta nel fatto che il suo “non-ancora” in qualche modo esiste già: sia soggettivamente, come speranza, sia oggettivamente, come tendenza-latenza del processo storico.
Da un punto di vista soggettivo occorre partire dalla persistente negatività del presente che si esprime nell’insostenibilità dell’esistere immediato e nell’esigenza del suo superamento. L’essere umano è caratterizzato da bisogni e pulsioni, a partire da quella fondamentale dell’autoconservazione che si manifesta come fame. Nell’essere umano gli impulsi si elevano sopra l’immediatezza, arricchendosi e tramutandosi in affetti: quelli non immediatamente appagabili, che rimandano al futuro, Bloch li definisce “affetti di attesa”. Elementi di questo arricchimento sono il sognare a occhi aperti come fantasia rivolta in avanti (a differenza del sogno notturno), il “non-ancora-cosciente” (ovvero il “preconscio del nuovo”) come struttura più importante dell’inconscio retrospettivo della psicoanalisi.
La speranza non è altro che il grado più alto di questo processo di umanizzazione degli impulsi, il più importante degli “affetti di attesa” che proiettano l’uomo verso ciò che ancora non esiste. Essa ha questa posizione di primato perché ha un carattere certamente emotivo, ma principalmente conoscitivo in quanto permette al pensiero di articolarsi al di là dell’immediatezza e di vedere come le cose stanno in movimento, come si evolvono. Proprio per il suo carattere conoscitivo la speranza si distingue dalla pura e semplice fantasia: la prima, infatti, media con quel che intende oltrepassare, cioè con le tendenze reali operanti nel presente. La rivendicazione della speranza in Bloch non è dunque la richiesta di una mobilitazione cieca degli esseri umani, ma è il tentativo di innervare in un progetto con una base razionale quelle energie umane protese verso una vita migliore, energie che altrimenti rischierebbero di dissolversi. Per questo si deve parlare di utopia concreta: il pensiero utopico acquisisce il carattere di realtà facendo leva su una concezione dialettica, necessaria per inserirsi efficacemente all’interno delle contraddizioni del sistema sociale dominante e collegarsi al movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti.

La realtà è infatti secondo Bloch un processo sempre aperto, dischiuso verso una molteplicità, comunque finita, di esiti possibili. Per questo “Pensare significa oltrepassare”1 e non è possibile un pensiero neutrale meramente contemplativo. Entra qui in gioco un altro concetto fondamentale per Bloch: “realmente possibile … è tutto ciò le cui condizioni non sono ancora completamente radunate nella sfera dell’oggetto stesso”.2 Si può dunque sostenere che “la possibilità reale della novità sufficientemente mediata, dunque mediata in senso materialistico-dialettico, dà alla fantasia utopica … il suo concreto correlato: un correlato al di fuori di un semplice fermentare e fremere nel cerchio interno della coscienza”.3 L’utopia concreta deve essere dunque riconosciuta “nella sua tendenza, come tensione di ciò che è maturato e impedito, nella sua latenza, come correlato delle possibilità obiettivo-reali non ancora realizzatesi nel mondo”.4
La dialettica intesa in senso blochiano è perciò una dialettica aperta al nuovo che non guarda all’indietro, ma mantiene aperta la possibilità che il reale diventi finalmente razionale. Il nuovo, comunque, non ha mai tratti del tutto definiti. Le sue premesse sono già contenute nel presente, ma la sua attuazione è demandata all’azione degli esseri umani. E’ un qualcosa che rimane in sospeso di fronte al quale, in prima istanza, è adeguata sia la paura sia la speranza. Deve perciò mobilitarsi un “ottimismo militante” che aiuti le doglie del parto dando attuazione alla possibilità reale. Per questo è importante quella che Bloch chiama la “corrente calda” del marxismo, quale complemento necessario alla “corrente fredda”.

Non basta infatti enunciare una “fredda” verità perché questa venga accettata dalle persone e le riesca a mobilitare. Anche perché la negatività del presente non è trasparente a se stessa, la nostra coscienza del qui ed ora è opaca. “L’oscuro dell’attimo vissuto”, deve essere illuminato attraverso la conoscenza che deriva dalla speranza. In sostanza tale conoscenza rende il presente intelligibile anche in quanto emotivamente sostenibile nella sua persistente negatività: è possibile sostenere l’hegheliano travaglio del negativo soltanto nel momento in cui intravediamo la speranza del suo superamento.
La corrente calda del marxismo è dunque consapevole del fatto che “la mancanza di speranza è la cosa più insopportabile, assolutamente intollerabile per i bisogni umani”5 e che, al contrario, “tanto più forte sarà il volere quanto più vivacemente la sua rappresentazione della meta … sarà stata configurata fino a prendere la forma di un’immagine di desiderio”.6 Per questo essa vuole presidiare i vecchi territori dell’immaginario collettivo e conquistarne di nuovi. Essa guarda al realmente possibile dal lato dell’“inesauribile pienezza di attesa” con un atto “entusiasmante e prospettico” che abbraccia la realizzazione dell’essere umano, il suo sentimento di libertà,  rivendicando quella “patria dell’identità”, quell’”arrivare-a-casa” in cui gli uomini non si sentiranno più estraneati l’un l’altro e alienati rispetto al loro mondo.
Il marxismo consapevole è perciò quanto fu invano a lungo cercato sotto il nome di morale. Esso ne costituisce il riscatto e non il congedo, pur consapevole del fatto che una legislazione etica universalmente valida, in un mondo diviso tra sfruttatori e sfruttati, è una semplice assurdità, mistificante ideologia che si può trasformare in qualcosa di addirittura ovvio solo in una società fondata su una solidarietà senza menzogna. Allo stesso modo, la fiamma del pensiero rivoluzionario non può esimersi dal rischiarare con nuova luce terrena quei sogni trascolorati di una vita giusta e dignitosa racchiusi nel sentimento religioso. Non si tratta di inchinarsi di fronte agli altari, come è oramai adusa molta parte del pensiero laico incapace di pronunciare una sola parola sensata per la vita degli uomini. Al contrario occorre spronare gli uomini affinché, camminando in posizione eretta, imparino a volgere lo sguardo verso il futuro per trovare quella pienezza di senso che prima cercavano a capo chino, genuflessi nel corpo e nello spirito.
La forza e la verità del marxismo sta dunque nell’aver “spazzato via la nuvola che c’è nei sogni in avanti, senza però spegnere la colonna di fuoco che c’è in essi, rafforzandola invece mediante la concretezza”.7 Ma proprio questa concretezza richiede l’essenziale cooperazione della corrente fredda del marxismo che mostra il futuro in un’altra prospettiva e precisamente nella sua qualità di “orizzonte del limitatamente possibile. Senza un tale raffreddamento ne risulterebbe … un entusiasmo completamente stravagante”.8 In altre parole “se il fattore soggettivo resta isolato, diventa solo un fattore di putschismo, non della rivoluzione”.9 Una fredda analisi storico-materiale è assolutamente necessaria perché l’utopia concreta non può derivare “dai cassetti delle possibilità a priori indipendenti dalla storia, ancor meno che dal profondo dell’animo puramente privato. Tutte le possibilità diventano tali solo all’interno della storia; anche il nuovo è storico”.10 Un’attenta indagine dei concreti soggetti socialmente e storicamente determinati è indispensabile perché “Se non vi è alle spalle la forza di un io e di un noi anche la speranza diventa insipida”.11 

In conclusione possiamo dire che critica del presente e anticipazione del futuro non possono essere scisse, né dal punto di vista strettamente razionale né da quello degli affetti capaci di mobilitare l’ottimismo militante. L’utopia può essere concreta in quanto negazione determinata e cioè rifiuto delle specifiche condizioni in cui l’uomo è immerso in un preciso momento storico. In questa negazione determinata essa è anche anticipazione partigiana di un futuro realmente possibile, non previsione scientifica di un domani ineluttabile. In questo senso parlare ancora oggi, nello spirito di Bloch (e di Marx), di utopia concreta significa sperare nella possibilità reale che l’immane accumulazione di ricchezza, oggi concentrata in poche mani, sia domani condivisa in forma conviviale; che la grande potenza produttiva del sistema macchinico e telematico, oggi adoperata come mezzo di tortura e di prolungamento del lavoro, diventi domani strumento per facilitare il lavoro stesso fino al punto di renderlo una parte trascurabile del tempo di vita; che le forze produttive generali del cervello sociale ancora oggi assorbite e oggettivate nel capitale fisso, sia esso hardware o software, ritornino in possesso dell’individuo sociale e divengano la base del suo libero sviluppo; che il processo di crescente centralizzazione e interconnessione dei processi produttivi, oggi controllato in forma dispotica dal capitale, sia domani gestito in modo razionale da tutti i produttori associati; che le conoscenze scientifiche, oggi al servizio di un processo di riproduzione sociale sommamente entropico perché fondato sulla produzione per la produzione, siano domani funzionalizzate ad un ricambio organico tra uomo e natura basato su un reale risparmio energetico in grado di andare oltre la semplice limitazione dei consumi individuali; che la libertà di ogni singolo, oggi limitata dalla libertà di tutti gli altri in conseguenza del suo carattere formale, si trasformi domani nella libertà concreta di ciascuno che trova la sua condizione nella libertà di tutti; che l’eguaglianza, oggi caratterizzata dall’astratta applicazione della stessa misura a situazioni differenti e dal conseguente trionfo della discriminazione, sia domani sostituita dalla eguaglianza reale che applica il principio “a ciascuno secondo i suoi bisogni da ciascuno secondo le sue capacità”.


  1. E. Bloch, Il principio speranza, Mimesis 2019, p. 6. 

  2. Ivi, p. 231

  3. Ivi,  p. 231. 

  4. Ivi, p. 717. 

  5. Ivi, p. 7. 

  6. Ivi, p. 58. 

  7. Ivi, p. 172. 

  8. Ivi, p. 245. 

  9. Ivi, p. 245. 

  10. Ivi, p. 550. 

  11. Ivi, p. 173.