di Jacques Sadoul

[Jacques Sadoul (1881-1956), avvocato e capitano dell’esercito francese, giunse a Pietrogrado nel settembre 1917 quale membro di una missione militare incaricata di cercare di mantenere la Russia accanto agli Alleati, nella guerra contro l’Intesa. A differenza di altri connazionali, simpatizzò fin dall’inizio per la rivoluzione bolscevica e tentò inutilmente di spingere la Francia a non avversarla. Divenuto amico personale di Lenin e Trockij, li frequentò quotidianamente – unico delegato straniero ammesso allo Smolny – durante i primi mesi dell’edificazione di un nuovo sistema. Le sue informative giornaliere al ministro socialista francese Albert Thomas, raccolte nel 1919 nel volume Notes sur la Révolution Bolchevique (mai tradotto in italiano), rappresentano una testimonianza insostituibile e dall’interno sulla costruzione della Russia sovietica. Condannato a morte in Francia per tradimento, Sadoul collaborò alla creazione dell’Armata Rossa. Dopo l’annullamento della condanna poté tornare in patria e intraprendere una carriera politica nel partito comunista. Il brano che pubblichiamo è parte di una lettera ad Albert Thomas datata 25 luglio 1918.] (V.E.)

Quando i bolscevichi rovesciarono il governo provvisorio, la situazione della Russia era disperata. Tutti gli osservatori del grande dramma constatavano la decomposizione irrimediabile dell’esercito, la disgregazione completa dello Stato, in cui ogni villaggio era divenuto di fatto indipendente, la scandalosa inosservanza degli ordini dell’autorità centrale, la caduta vertiginosa della produzione industriale, la disorganizzazione mortale del servizio dei trasporti, i sintomi di un’imminente bancarotta. Il rabelesiano Ludovic Naudeau definiva la vecchia Russia “un vaso da notte pieno di merda su cui è seduto lo zar”. Rovesciando Nicola, la rivoluzione ha rotto il vaso da notte, il cui contenuto copre, sommerge e avvelena il paese intero.

Tale era l’abisso dei mali in cui Kerensky lasciava la Russia. Nessuna riforma veramente rivoluzionaria era stata abbozzata. Di tanto in tanto, si mostravano da lontano al popolo l’uguaglianza, la pace, la terra, ma presto si allontanavano da lui questi beni mirabolanti, per prudenza. Prigioniero dei Cadetti (partito liberale borghese), prigioniero degli Alleati, schiavo della propria timidezza nell’azione, Kerensky non aveva osato rompere con il passato. Aggiustava senza posa i suoi vecchi otri che il vino della rivoluzione faceva scoppiare.

La rivoluzione di febbraio era stata anzitutto una protesta contro la guerra. Ora, Kerensky non seppe costringere gli Alleati  né a partecipare alla Conferenza socialista internazionale di Stoccolma, né a rivedere i loro obiettivi di guerra sulle basi democratiche proclamate dalla rivoluzione russa e adottate da Wilson. Peggio ancora, ebbe la debolezza di consentire l’infelice offensiva del luglio 1917, chiusa con la disfatta di Tarnopol. Dava così un colpo di grazia alle forze materiali e morali dell’esercito russo. L’avventura di Kornilov, con cui fu immischiato, precipitò la sua agonia.

La rivoluzione di febbraio aveva affermato la volontà degli operai e dei contadini di conquistare la sovranità politica ed economica, per creare una repubblica democratica e socialisteggiante.

Prigionieri della grande borghesia industriale, finanziaria o agraria, Kerensky e i suoi collaboratori non fecero niente per preparare un cambio del regime economico, niente per strappare alla schiavitù del lavoro salariato le masse popolari. Stanchi di vedere le leggi agrarie continuamente rimandate, i contadini si impadronirono da soli delle grandi tenute. Subito, Kerensky mandò contro di loro delle baionette. Contraddicendo tutte le proprie promesse deludeva tutte le speranze. Nelle città, la crisi della disoccupazione e della fame si ingigantì.

Dopo otto mesi di esperienza, i ministeri di coabitazione tra Cadetti e socialisti-rivoluzionari (S-R, partito erede dei populisti – narodniki – dell’Ottocento, diviso tra una maggioranza moderata e una minoranza di sinistra) precipitarono nel peggiore dei fallimenti. “La rivoluzione muore! La rivoluzione è morta!” era il grido sulla bocca di tutti. Grido di disperazione per gli uni, di speranza per gli altri. Ma il popolo voleva che la rivoluzione vivesse. Allora, i massimalisti presero la direzione degli eventi.

Il governo conservatore di Kerensky aveva avuto una preoccupazione principale: durare. Ne fu incapace.

Il potere rivoluzionario dei Soviet dura da novembre, e non è mai stato così robusto. Tuttavia, alla lotta per la vita, ha aggiunto il compito immenso di distruggere il vecchio mondo politico, internazionale, economico e sociale, per creare lo Stato Comunista.

Mantenendosi al potere già da nove mesi, contro il parere dei profeti che annunciavano, dal settembre 1917, che ogni governo sarebbe stato fatalmente spazzato via in poche settimane, i sovietisti hanno compiuto un miracolo. Che essi abbiano inoltre, in un tempo così breve, abbordato con tale bravura l’esecuzione del loro grandioso programma, distrutto per sempre le più solide istituzioni del regime zarista-capitalista e tracciato il piano dettagliato di una società comunista, che abbiano portato già così avanti la costruzione di un nuovo mondo, quest’opera colossale deve assicurare loro, fin d’ora, la riconoscenza e l’ammirazione dei lavoratori del mondo intero.

Gli annali della Storia non mostrano, in effetti, un’azione rivoluzionaria altrettanto rapida, altrettanto profonda e così nettamente popolare.

Limitandoci a considerare la Francia, che fu, nel passato, il paese delle rivoluzioni, vediamo il 1789 permettere un primo trionfo della borghesia sul proletariato. La Comune del 1871 fatta, come ogni rivoluzione, dal popolo, è il solo esempio moderno di una rivoluzione tentata a profitto del popolo. Ma, racchiusa entro Parigi, schiacciata senza fatica dai Versagliesi, a causa della debolezza dei suoi dirigenti, dell’insufficienza delle sue risorse, della mancanza di educazione delle masse e della situazione infelice della Francia, questa eroica insurrezione non potrebbe essere paragonata al movimento immenso e così prodigiosamente fecondo di conseguenze scatenato dai bolscevichi.

Affidare agli operai e ai contadini tutto il potere politico, annientare il vecchio Stato, vale a dire lo strumento per eccellenza dell’oppressione dei lavoratori, spezzare la macchina burocratica e militare, organizzare il proletariato in classe dominante, dare alla collettività la proprietà dei mezzi di produzione, tale è il compito che i bolscevichi si sono assunti.

Cos’hanno realizzato fino a oggi?

La parola d’ordine famosa, “Tutto il potere ai Soviet”, vale a dire tutto il potere dato direttamente in mano agli operai e ai contadini, sintetizza lo sforzo politico della rivoluzione d’ottobre.

Dei compagni francesi, democratici sinceri, si indignano per la dissoluzione dell’Assemblea Costituente da parte del governo dei Soviet. Ignorano evidentemente che i deputati dell’Assemblea Costituente erano stati eletti nel settembre 1917, alcune settimane prima del colpo di Stato massimalista, su liste composte in maniera tale che gli elettori non sapevano se il loro candidato era favorevole o contrario all’attribuzione ai Soviet di tutto il potere. Ignorano che, dopo la rivoluzione bolscevica e prima della riunione della Costituente, gli stessi elettori si sono pronunciati, con il loro voto, contro l’Assemblea e per i Soviet. Ignorano che, checché ne dicano gli pseudo-rivoluzionari – burattini coscienti o incoscienti della borghesia – cacciati dal popolo russo e rifugiati a Londra o a Parigi, il potere dei Soviet è attualmente sostenuto dalla schiacciante maggioranza degli operai e dei contadini.

I bolscevichi non hanno voluto imporre alla Russia una Costituente, copia infelice dei nostri vecchi parlamenti borghesi, veri sovrani collettivi, assoluti e incontrollabili, retti da un pugno d’uomini troppo spesso venduti alla grande industria e alle banche, la cui insufficienza smaccata ha gettato in un antiparlamentarismo anarchico tanti democratici occidentali.

I nostri parlamenti sono una semplice caricatura di rappresentanza popolare. Lo si sospettava prima della guerra, se ne è certi oggi. I Soviet, al contrario, sono istituzioni appartenenti agli operai e ai contadini, costituite esclusivamente da lavoratori nemici del regime capitalistico, risoluti a non collaborare con questo regime ma anzi a combatterlo e ad abbatterlo.

(Segue una dettagliata descrizione del funzionamento dei Soviet.)

Nel libero gioco delle istituzioni sovietiche, il potere reale è in basso. Nasce dagli strati profondi del popolo. Ora, l’esperienza prova che questo potere dal basso è più forte del potere dall’alto delle monarchie e delle repubbliche borghesi. Nessun governo europeo è attualmente così stabile quanto il potere dei Soviet. Nessuno avrebbe resistito ai terribili urti che l’hanno colpito da nove mesi senza esserne destabilizzato. In effetti solo la forma agile dei Soviet ha permesso di realizzare e di fare accettare una dittatura, vale a dire un governo di ferro, implacabile, terrificante, ma assolutamente inevitabile in una crisi rivoluzionaria così acuta.

La dittatura dei Soviet è, beninteso, la dittatura a favore dei lavoratori. Essa non dà diritto di cittadinanza che agli individui creatori di valori sociali, a coloro che danno alla collettività più di quanto non ne ricevano. La forza di costrizione dei dittatori è dunque utilizzata dal popolo laborioso contro le classi parassite un tempo dirigenti, che tentano instancabilmente di recuperare i propri privilegi col sabotaggio, la violenza e il tradimento.