di Franco Pezzini

the-professor-4Da qualche mese in edicola è apparso un nuovo fumetto. Un bimestrale, “popolare” nel senso migliore del termine, e di taglio gotico classico – ma, per chiarirci, quello cinematografico dei film Hammer. E dove la caratteristica che subito salta agli occhi sta nel fatto che il protagonista, l’indagatore dell’occulto Mr. Benjamin Love – “The Professor”, donde il titolo della testata – sia costruito ispirandosi a tratti fisici e ad un certo numero di ruoli di Peter Cushing (nello specifico il Cushing giovane – in realtà ultraquarantenne – dei primissimi horror appunto hammeriani). Nelle prime tre storie “The Professor” fronteggia una dinastia di Lilith incarnate (lui viene dalla comunità ebraica, c’è di mezzo anche un golem), gli zombie e un terrorista mesmerista.
La qualità è molto buona, le storie godibili e il mondo tardottocentesco evocato con efficacia. L’ideatore è Andrea E. Corbetta, mentre sceneggiatori e disegnatori ruotano: per esempio i primi tre numeri hanno visto testi del giornalista e scrittore Carlo Martigli, del veterano di sceneggiature a fumetti Giancarlo Marzano e di un nome notissimo del thriller/horror in Italia, Cristiana Astori; alle matite erano Paolo D’Antonio, Francesco Mobili e Riccardo Innocenti. Un quarto numero (Martigli – De Carlo – Corbetta – Giorgiani) è ora in edicola.
Leggendo con piacere queste storie, auspicando alla saga lunga vita, e con tutta la complicità di chi ama Cushing e i film Hammer, si apprezza al contempo il coraggio dell’intrapresa – perché è chiaro che si tratta di una sfida grossa. Da un lato, lo sappiamo, il gotico/horror può contare in Italia su una percentuale significativa ma non enorme di lettori: i grandi fatturati arrivano con altri generi, e basta un giro in libreria per constatare il trionfo di narrativa salottiera o comunque molle (tanto fantasy di qualità discutibile, tanto “rosa” più o meno ibridato, tanto poliziesco facile – a penalizzare per ingolfamento gli autori bravi). D’altra parte la figura dell’occult detective, funzionale a offrire una cornice a “casi” virtualmente infiniti, ha però conosciuto nel tempo successi piuttosto differenziati, in relazione a provocazioni e rovelli di diversi momenti sociali.
Per capire meglio potenzialità e rischi della maschera in questione può essere interessante, mi pare, ripercorrere a grandi linee la genealogia dei suoi sviluppi dagli esordi nel mondo moderno. Assumendo forzatamente un’accezione ampia nel termine occult detective, a comprendere specialisti di diversa professionalità – medici, cattedratici, detective in senso proprio, esorcisti, ghostfinder, ammazzamostri… – che lettori e spettatori di generazioni diverse hanno associato a indagini sul preternaturale: concetto, quest’ultimo, a sua volta sfumato in una serie cangiante di fattispecie.
Il primo detective dell’occulto della letteratura moderna sembra rimontare al lontano 1817. Si tratta del chiaroveggente Doktor K. di Das öde Haus (La casa disabitata) nel secondo volume di Nachtstücke (Notturni) di E.T.A. Hoffmann: a rinviare cioè a quel mondo a cavallo tra Sette e Ottocento in cui magnetismo, mesmerismo e tentativi di conciliare mistica (non allineata) e nuove scoperte scientifiche vedono in effetti brulicare figure di indagatori del mistero. Eruditi talora ancora imparruccati, tra attrezzature galvaniche, fantasmagorie e veggenze, che però non sembrano suscitare nei narratori il demone della serialità; mentre è interessante che proprio la cornice narrativa di questo racconto veda declinare l’opposizione tra straordinario e prodigioso a monte di tutta una riflessione che condurrà a Todorov. Quasi come ad affidare all’occult detective il patrocinio sul nuovo fantastico, laico e moderno, sorto dalle convulsioni di un mondo.
Va però osservato che, nel contesto di un Romanticismo ormai dilagante, l’indagatore degli spiriti è spesso una figura indigesta o addirittura un vilain. Posto dinanzi al magico della realtà – in particolare quell’amore che è un rischio, apre mondi “altri” ed evoca relazioni particolari e irripetibili – ecco l’esorcista propenso a fare terra bruciata, a sterilizzare dimensioni vitali o che comunque alla vita danno sapore. Così l’Apollonio del Lamia di Keats, 1819/1820, tanto pronto a derubricare ad astrazioni banalizzanti in conformità con un mondo che inizia a mercificare tutto (niente a che vedere con l’antico Apollonio storico, lui sì dottore psichico seriale); così l’inesorabile padre Sérapion de La Morte amoureuse di Théophile Gautier, 1836, che ripropone in tonaca lo stesso modello, a fraintendere totalmente il senso dell’amore umano; così altre figure di Gautier, di Nodier…
Il personaggio dell’occult detective si fa comunque strada soltanto poco per volta, e definendosi nella sua forma moderna entro l’alveo della narrativa angloamericana (anche se occorrerebbero studi mirati su altre letterature). Così, nel periodo dagli anni Venti a metà del secolo in cui il gotico assume – senza sparire – un ruolo più defilato e umbratile dopo la prima grande stagione di successi, nel 1840 troviamo per esempio tale Dirk Ericson impegnato a risolvere un caso sovrannaturale nella novella del britannico (ma emigrato negli USA) Henry William Herbert The Haunted Homestead. Herbert è contemporaneo di Poe, che invece non si mostra interessato alla fattispecie (anche se i suoi mesmeristi ci vanno molto vicino); ma l’idea che un occult detective offra promettenti possibilità narrative inizierà presto a diffondersi grazie al combinato disposto del nascere dello spiritismo (1848, con il caso delle sorelle Fox – un anno prima della morte di Poe che non può assistere ai relativi sviluppi) e delle nuove saldature tra gotico e occultismo (si pensi solo ai contatti tra il politico e narratore Edward Bulwer-Lytton e il mago francese Éliphas Lévi). Il peso di questi fenomeni sullo sviluppo della ghost story e sulla rinascita a metà Ottocento del gotico sarà fondamentale.
Appare così nel 1853 (presuntamente in traduzione inglese da un originale tedesco di cui non si sa nulla, e non mancano dubbi) l’anonimo The Mysterious Stranger, dove vero e proprio proto-Van Helsing è l’eroe maturo, il cavaliere di Woislaw, privo di un braccio sostituito da una fantastica protesi in metallo (oro, nel suo caso – la mutilazione iniziatica sarà presente ancora in The Professor, con la mano artificiale del protagonista): il racconto ispirerà Stoker per Dracula e, può sospettarsi da alcuni indizi, Le Fanu per Carmilla. Nel 1855 appare l’Harry Escott di un paio di storie del grandissimo (e in Italia misconosciuto) Fitz James O’Brien; nel 1859 a studiare il mistero di una casa infestata è l’io narrante di The Haunted and the Haunters; or, The House and the Brain di Bulwer-Lytton, unica tra queste storie a trovare poi nel tempo periodiche riproposizioni anche per la statura dell’autore. Nel 1861 a indagare è il narratore di un racconto del versatile americano Bayard Taylor, The Haunted Shanty, e nel 1862 il ruolo viene ricoperto da tale Ralph Henderson nel romanzo The Notting Hill Mystery di Charles Felix (cioè l’avvocato e giornalista inglese Charles Warren Adams). Nel 1866, ancora, troviamo l’occult detective Mr. Burton del romanzo a puntate The Dead Letter di Seeley Regester (cioè la scrittrice americana Metta Victoria Fuller Victor), primo romanzo di crime fiction in America.
Per la maggior parte queste figure sono destinate a poca fama postuma, esaurendosi nei testi – pur importanti, a volte – dove sono nate: a differenza cioè di quanto avviene col primo dottore dell’occulto (in senso tecnico e seriale) universalmente noto, il dottor Martin Hesselius di Joseph Sheridan Le Fanu. E che eredita dai vecchi esorcisti romantici il senso del caso da gestire e del paziente da curare, ma anche una certa equivocità di profilo: in questo caso come personaggio inaffidabile e sussiegoso, grande collezionatore di storie (come detto una delle caratteristiche di successo dell’occult detective, figura-cornice per indefinite avventure) ma il cui unico intervento in diretta nel caso di esordio Green Tea, 1869, si rivela un fallimento vergognoso. Laddove però Apollonio & Co. si inserivano da oppositori in un orizzonte romantico che esaltava la potenza dei sentimenti e la vitalità del loro tracimare al di là di misure, credenze e ideologie confezionate, Hesselius mostra in scena l’ambiguità delle risposte in un’epoca che ha perso le antiche fedi e sta cercando goffamente di sostituirle. Attribuendo al suo polveroso dottore una collocazione cronologica nel passato – quello del Doktor K. di Hoffmann, alla grossa – Le Fanu fa reagire i dibattiti (magico-)scientifici di una generazione precedente con provocazioni sul proprio presente vittoriano: e all’umanitarismo da salotto insipido ed egoista contrappone sornione le soluzioni improbabili di Hesselius, nell’unica certezza di un disagio epocale – perché i fantasmi non si limitano a infestare i modaioli tavolini a tre gambe. In un tempo come il nostro in cui tanto si dibatte di post-verità, e i più accaniti a combatterla (magari piantonando il web con le guardie) sono a volte i portatori di verità altrettanto farlocche; in cui le grandi affettazioni di attenzione per chi soffre sono spesso teatri per vetrinette compiaciute, senza la minima presa a carico; in cui agenzie antiche e moderne tendono a sconfinare dai propri ambiti e piantare bandierine, insomma le avventure dello spudorato Hesselius hanno ancora molto da dire.
Del romanzo breve Carmilla, 1871-72, Hesselius è solo il collettore: ma tra i vecchi che distruggeranno la giovane vampira – e la bontà dei quali è segnata da tratti francamente equivoci – spicca la figura grottesca dell’erudito vampirologo barone Vordenburg, discendente dell’antico amante della contessina non-morta. Dove già la connotazione fisica dice qualcosa di un ruolo non esattamente eroico.
Impossibile seguire passo passo le apparizioni di detective dell’occulto che a questo punto emergono in racconti e romanzi, più o meno a ricalco dei ghostfinder spiritisti o dei detective-esoteristi che iniziano a proliferare: e va detto che in molti casi si tratta di voci narranti o personaggi esauriti in un solo testo. Limitandosi dunque ai più emblematici, ecco lo Strickland di Rudyard Kipling, cimentatosi per la prima volta su un caso sovrannaturale nel 1890 (ma apparso già in precedenza in altre avventure); il curiosone Dyson di Arthur Machen dal 1894, con il racconto The Inmost Light, e che incontreremo in più opere; il Lord Syfret protagonista di una serie di novelle dell’“eugenic feminist” (scrittrice e medico inglese, una figura interessantissima) Arabella Kenealy antologizzate nel 1896; l’Augustus Champnell del prolifico e brillante vittoriano Richard Marsh (all’anagrafe Richard Bernard Heldmann) che indaga su crimini – sovrannaturali e non – in romanzi e racconti a partire dal 1897; e, nello stesso anno, il detective dottor Maxwell Dean nel romanzo Ziska. The Problem of a Wicked Soul della popolarissima Marie Corelli.
Già questo breve quadro mostra che detective “ordinari” e dell’occulto non rappresentano necessariamente categorie contrapposte, in un orizzonte culturale sempre più aperto ai mondi altri e a un’accezione ampia di mistero. E intanto, a partire dal Dupin di Poe, ha preso piede l’idea che per indagare con efficacia sia necessario avere doti un po’ strambe, peculiarità caratteriali che flirtano con l’anomalia, fissazioni spiazzanti per tutto il resto dell’umanità: come in fondo è il caso del più grande degli sciamani del poliziesco, l’Holmes doyliano. Il suo autore condividerà la fede nella “Nuova Rivelazione” spiritista coi ghostfinder che invadono i salotti tenendo in una mano i saggi di Allan Kardec e nell’altra macchine fotografiche e attrezzature della “nuova” tecnologia; e se Holmes non mostra particolari propensioni per il mondo metafisico, può pur sempre inserirsi in qualche modo nella compagnia, con i casi per esempio del mastino dei Baskerville e del vampiro del Sussex. In entrambi il prodigio è demistificato sulla base di una lunga tradizione inglese – gli spettri delle Grandi Madri del gotico come Ann Radcliffe sono sempre fasulli – ma c’è un’indagine sull’improbabile: e “dopo aver eliminato l’impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, deve essere la verità” (Il segno dei quattro). Mentre il sovrannaturale irrompe piuttosto sul piano simbolico e metatestuale con la figura del professor Moriarty, il Napoleone del crimine arcinemico di Holmes, che presenta caratteri quasi metafisici.
A ispirarsi spudoratamente all’immenso collega è Sexton Blake, “l’Holmes dei poveri” apparso nel dicembre 1893 subito dopo l’eliminazione dell’Arcidetective da parte dell’esasperato Conan Doyle, e destinato a sua volta a una lunga carriera (che la ricomparsa di Holmes dieci anni dopo non metterà in crisi): ma a differenza del modello, Blake batte la doppia pista di indagini ordinarie e sovrannaturali. Decisamente più emblematico è però l’Abraham Van Helsing del Dracula, 1897, sorto anche lui in assenza di Holmes (al punto da far vagheggiare a qualche critico buontempone che il suo inglese da operetta celi in realtà ancora una volta l’Arcidetective camuffato): emblematico per vari motivi. Anzitutto perché si presenta come rifrazione compiaciuta e ironica dell’eclettico autore e insieme come memoria del padre omonimo (entrambi battezzati Abraham): e in effetti nell’eclisse simbolicissima, epocale dei genitori che si consuma nel romanzo, Van Helsing diventerà padre per elezione degli eroi giovani contro l’alternativo padre cattivo Dracula. Poi perché immagine di Uomo Nuovo – idealmente a fianco della Donna Nuova, Mina – che sa conciliare sapienza antica e moderna in una stagione culturale che tenta nuove, provocatorie sintesi. Ancora: perché, erede delle bizzarrie di Hesselius e dei detective, Van Helsing le ripropone quali connotati del suo ruolo di iniziatore (fool, buffo nel modo di parlare, gaffeur rovinoso), sciamano (per inversione sessuale almeno simbolica: è isterico, cioè afflitto dal “male delle donne”), trickster (sa essere brutale, conduce ad atti di rara ferocia e “sovversivi” della realtà comune ma proprio per permetterne la reintegrazione), ancora una volta in contrapposizione all’iniziatore/sciamano/trickster nero, il Conte. E ancora, perché il suo unico “caso” noto in tema di occulto – quello appunto celebrato nel Dracula – sarà base per una sua trasfigurazione su schermo in cacciamostri seriale.
Ovvio che tale ruolo culturalmente provocatorio di Van Helsing sulle soglie vertiginose del Secolo Nuovo non possa essere conservato nelle sceneggiature – come emerge fin dalle prime e più emblematiche trasposizioni. Il simil-Van Helsing del Nosferatu di Murnau è il professor Bulwer, dal nome che pare omaggio al narratore/occultista Bulwer-Lytton (interprete è l’attore ebreo tedesco John Gottowt, assassinato dalle SS nel 1942): ma Bulwer è presenza inefficace di fronte alla catastrofe, e sarà l’amore-sacrificio dell’eroina a spacciare il tiranno vampiro. Un decennio più tardi, nell’America infestata dalla Grande Crisi, Edward Van Sloan interpreta il Van Helsing “rassicurantemente gutturale” – come lo definisce Siegbert S. Prawer – della saga Universal: lucido nell’individuare i gangster dell’anima (si noti che i crocifissi, in questi film, vengono branditi come rivoltelle nei coevi polizieschi) venuti dall’Europa a infettare sangue esistenze & mercati, ma attento a non occupare troppo spazio alla giovane coppia icona della giovane America. A rendere il personaggio un vero protagonista è invece a fine anni Cinquanta l’ascetico Peter Cushing, che riceve il ruolo modellandolo (con trovate anche personalissime) fino a divenire il Van Helsing più carismatico della storia del cinema, e non stupisce che “The Professor” sia ispirato a lui. Certo, il suo Van Helsing abbina a una rasserenante affidabilità il vago fanatismo (specie nei primi film) di chi tiene sempre il paletto in tasca – ma tant’è, la dinamica dei giorni Hammer tra nostalgia vittoriana, Swinging London in arrivo e minacce del sesso (al cinema il primo a colori, come il sangue) porta un’esplosione di euforiche contraddizioni in Inghilterra e nel mondo. Non è strano che gli spettatori d’epoca partecipino a quelle liturgie fitte di allusioni censuratissime (dunque più potenti), ai ruoli contrapposti e alle opposte ambiguità del professore e del vampiro con pari intensità simbolica; e non è strano che lo spettatore odierno, pur faticando magari a porsi nell’ottica di quei giorni lontani, riesca a cogliere ancora la forza del rituale. Questo scarto (in forme variegate) dal modello stokeriano si ripropone per tutti i Van Helsing successivi, compreso quell’Anthony Hopkins di Bram Stoker’s Dracula fisicamente più filologico per somiglianza, per inglese caricaturale e isterismo, e tuttavia piuttosto espressione del neogotico sopra le righe degli anni Novanta (difficile per esempio trovare in lui quel sentimentalismo che nel Van Helsing di Stoker, Jung docet, copre la brutalità). Se il mito di Dracula è uno specchio oscuro in cui ogni società proietta timori e desideri più o meno confessati o inconfessabili, di trasposizione in trasposizione anche il ruolo dell’alternativa/nemesi al Conte acquisisce inevitabilmente connotati diversi.
Ma torniamo al crepuscolo vittoriano di Stoker: ed è lì, nell’alta marea dell’irrazionale tra i due secoli, nel tentativo positivistico di ricondurre anche l’occulto a sistemi di regole note, e nella suggestione (crescente negli anni successivi) che il disagio montante dell’uomo moderno possa trovare beneficio nel ministero di dottori laici dell’anima, che fermenta un terreno tale da far moltiplicare i figli di Van Helsing. Tra Teosofia, spiritismo e revival della magia cerimoniale (basti citare la Golden Dawn) inizia così l’età d’oro dei dottori psichici, e non si può in questa sede che citarne qualcuno (per qualche approfondimento rimando qui).
A ridosso del Dracula, dal 1898, troviamo scendere in campo l’occult detective Flaxman Low di “H. Heron” e “E. Heron” (cioè l’inglese Hesketh Hesketh-Prichard e sua madre Kate O’Brien Ryall Prichard), eroe – si tratterebbe di un famoso scienziato – di una serie di storie brevi. Nel 1899 compare a firma del letterato e umorista americano Gelett Burgess il curioso Enoch F. Gerrish, protagonista di varie avventure idealmente a monte di Ghostbusters; e nel 1902 inizia la serie sull’investigatrice chiaroveggente Diana Marburg di L.T. Meade (Elizabeth Thomasina Meade Smith, irlandese, autrice di storie per ragazzine) e Robert Eustace (all’anagrafe Eustace Robert Barton, medico e giallista britannico). Per venire a personaggi più noti in Italia, a partire dal 1910 il Ghost-Finder Thomas Carnacki dell’inglese William Hope Hodgson, coi suoi divertentissimi strumenti che combinano tecnologia d’epoca e magia – impagabile il pentacolo elettrico – è un personaggio emblematico di fantasie che reinventano il Ballo Excelsior in chiave occulta preludendo a sua volta a Ghostbusters. Del 1913 è il vecchio antiquario-esoterista Moris Klaw del pure inglese Sax Rohmer, che dallo stesso anno inizia a contrapporre alle più note diavolerie d’Oriente di Fu Manchu l’affidabile funzionario anglo-indiano Denis Nayland Smith di Scotland Yard (degli occult detective in qualche modo un cugino); e del 1914 il Ghost-Seer Aylmer Vance dei britannicissimi Alice e Claude Askew.
Ma a prescindere dalle convinzioni eventualmente esoteriche degli autori (come forse nel caso di Sax Rohmer) in generale gli occult detective citati sono frutto di fantasia e buona tecnica di fiction, mentre altri colleghi vengono più direttamente dal mondo della ricerca mistica, magica o psichica militante. Come il curioso Jim Shorthouse (1900) e il raffinato dottor John Silence (dal 1908), di Algernon Blackwood, legati – soprattutto il secondo – alle sue frequentazioni di ambienti esoterici, e il dottor Taverner della grande occultista e narratrice Dion Fortune (dal 1926, ma ispirato al suo mentore Theodore William Carte Moriarty morto tre anni prima e attivo tra i due secoli): si tratta di curatori d’anime piagate da attacchi che possiamo interpretare in vario modo. Pensiamo anche al Norton Vyse della pittrice e narratrice inglese Rose Champion de Crespigny (1919), alfiera entusiasta della ricerca psichica; e soprattutto al Simon Iff dell’ineffabile Aleister Crowley (dal 1916) che usa logica e magia per risolvere casi più o meno polizieschi. Ma all’Haddo ispirato a Crowley, William Somerset Maugham già contrapponeva un esoterista buono, l’inefficace dottor Porhoët in The Magician, 1908.
A questi personaggi citati in ogni repertorio, ed emblematici di un orizzonte dove fantasie sull’occulto montano prima tra fiati di guerra in progressivo avvicinamento e poi tra conteggi di morti (anche tra gli autori: gli Askew affondati con la nave nel 1917, Hope Hodgson caduto a Ypres nel 1918…), depressione postbellica e nuovi fantasmi, se ne accompagnano però moltissimi altri. E limitandoci a quelli di maggiore importanza perché seriali o almeno attivi in più di un’avventura, l’elenco è impressionante. Andrew Latter di Harold Begbie (dal 1904), Jack Hargreaves di Allen Upward (1905), Westrel Keen di Robert W. Chamber (1906), il dottor Ivan Brodsky di H.M. Egbert (dal 1910), il dottor Xavier Wycherley di Max Rittenberg (dal 1911), Semi Dual “the Occult Detector” di J.U. Giesy e Junius B. Smith (dal 1912), il dottor John Durston di William Le Queux, e il dottor Arnold Rhymer di Uel Key (entrambi 1917), Solange Fontaine di F. Tennyson Jesse, e Godfrey Usher di Herman Landon (entrambi 1918), Shiela Crerar di Ella M. Scrymour, e Derek Scarpe di A.M. Burrage (entrambi 1920), Damon Vane di Elliot O’Donnell (1922)… Detective dell’occulto figurano tra l’altro in novelle di Conan Doyle (come nel 1899 l’indagatore Dr. Hardarce di The Brown Hand, e nel 1902 Lionel Dacre in The Leather Funnel), e ancora di Kipling (Mr. Perseus di The House Surgeon, 1909). Difficile non vedere in tutto questo un preciso segno dei tempi: angosce, attrazioni magnetiche, fantasie consolatorie…
Nel 1925 appare poi sull’americano Weird Tales uno degli occult detective in assoluto più attivi, Jules de Grandin di Seabury Quinn, protagonista di ben novantatré avventure e massima espressione del modello nel pulp. A sua volta affiancato in America da frotte di colleghi: a partire ovviamente dai vari detective o dottori che indagano nei testi di Lovecraft (una tantum, non serialmente perché il Solitario diffida dei tecnicismi occultistici: il narratore di The Shunned House, 1924/1937; Thomas F. Malone in The Horror at Red Hook, 1925/1927; l’ispettore Legrasse e il professor Angell di The Call of Cthulhu, 1926/1928; il dottor Armitage di The Dunwich Horror, 1928/1929; eccetera, mentre per esempio il viandante psichico Randolph Carter è una figura dai connotati un po’ diversi), di Clark Ashton Smith (a partire dal narratore di The Ghost of Mohammed Din, 1910) e naturalmente di Robert E. Howard. Che innova la categoria con il cacciamostri puritano Solomon Kane (dal 1928), affiancato però da una serie di occult detective relativamente più tradizionali (l’io narrante di The Black Stone, 1931, e di The Thing on the Roof, 1932, gli eroi Steve Harrison e John Kirowan, entrambi apparsi nel 1834…). E a questi possiamo aggiungere, nei pulp e non solo, Pierre d’Artois di E. Hoffman Price (dal 1926), Gerald Canevin e Lord Carruth di Henry S. Whitehead (rispettivamente dal 1929 e dal 1930), il Dr. Lowell del romanzo serializzato Burn, Witch, Burn! di Abraham Merritt (1932), il giudice Keith Hilary Pursuivant e John Thunstone, entrambi dell’attivissimo Manly Wade Wellman (rispettivamente dal 1938 e dal 1943)… Per i narratori pulp come già per i predecessori su riviste la soluzione dell’occult detective semplifica notevolmente la costruzione di storie fantastiche, in quest’epoca più spudorate e ruspanti. D’altra parte, come già avvenuto con Holmes, vari indagatori “ordinari” si trovano alle prese con fantasmi fasulli, e tra questi per atmosfere spettrali e suggestioni goticheggianti merita almeno menzione il Gideon Fell di John Dickson Carr, forse ispirato a G. K. Chesterton (dal 1933).
Una situazione un po’ diversa è quella degli sviluppi inglesi, dove in più casi la fiction è robustamente coerente con convinzioni occultistiche. È il caso di Agatha Christie, con le figure della raccolta sul paranormale The Hound of Death and Other Stories (1933), in cui appaiono studiosi quali Mortimer Cleveland e il dottor Dr. Edward Carstairs; e di Margery Lawrence, col detective dell’occulto Miles Pennoyer (1945). Ma soprattutto del prolifico Dennis Wheatley: poi anzi assurto ad autorità in temi magici (ma da avversario), e autore di varie saghe imbevute di paranormale, fin dalla seconda avventura del suo reazionarissimo eroe duca di Richleau, The Devil Rides Out, 1934 (che Christopher Lee interpreterà su schermo nel 1968). Nei testi di Wheatley il sovrannaturale si sposa alla politica, e il candore con cui abbina magia nera e comunismo – per lui legati in un unico orizzonte di caos – conduce il tema della detection occulta verso dimensioni fantapolitiche. Del resto l’autore è un uomo dei Servizi, e un altro suo eroe è il colonnello Verney, un ufficiale responsabile del controllo di gruppi sovversivi e logge sataniche: la cui avventura più nota resta To the Devil – A Daughter, 1953 (donde il film 1976, dove però Verney diventa uno scrittore esperto di occulto – a sua volta come Wheatley, insomma – interpretato da Richard Widmark). Tra gli altri protagonisti di saghe del Nostro, il cui impatto sull’immaginario fantastico postmoderno è molto maggiore di quanto in Italia solitamente percepiamo, c’è però anche un più tradizionale investigatore del paranormale, lo svedese Neils Orsen, ispirato all’occultista Henry Dewhirst e alle storie di Carnacki (1943). Di un ulteriore fortunato autore britannico, Jack Mann alias E.C. Vivian, all’anagrafe Charles Henry Cannell, a sua volta creatore del detective dell’occulto Gregory Gordon George Green detto “Gees” (dal 1936), ignoro sinceramente se coltivasse convinzioni esoteriche.
La golden age dei dottori psichici si chiude con gli anni Trenta: le riviste di narrativa popolare negli USA e in Gran Bretagna hanno raggiunto il picco di massimo successo, e il cinema vede la poesia del fantastico offerta ormai a immense platee. Certo, non c’è ancora un target di affezionati all’horror, e a vedere i mostri Universal si reca un pubblico indifferenziato: non è strano dunque che la legione dei cacciaspettri resti confinata su carta, e su schermo sia in pratica il solo Van Helsing a divenire in qualche modo seriale (compare anche in Dracula’s Daughter e fornisce il calco – stesso attore, Van Sloan – per l’archeologo-esoterista dottor Muller di The Mummy).
Ma i tempi stanno cambiando. Nel decennio successivo, con la guerra, le riviste popolari entrano in crisi, gli horror su schermo sono costretti ad assumere connotati molto più poveri e ripetitivi. Almeno a grandi numeri si preferiscono eroi aitanti, da contrapporre a vilain sempre più legati al nemico: e i detective dell’occulto non sono necessariamente i protagonisti più adatti. È vero, non spariscono e parecchie serie continuano, ma poco nasce di nuovo e comunque il tema conosce una contrazione; e un ulteriore decennio più tardi la crisi dell’horror con la Guerra Fredda stornerà il fronte delle minacce verso lo spazio e il Pianeta Rosso comunista. Con l’eccezione degli eroi reazionari di Wheatley e pochi altri (indicativo è il ritiro di Jules de Grandin nel 1951), gli esperti di esoterismo lasciano il posto a quelli di (fanta)scienza.
È allora che in Inghilterra emerge un fenomeno nuovo. Dopo aver varato una certa quantità di titoli di SF una piccola casa produttrice, la Hammer, si risolve al salto – per il tempo rischioso – del ritorno al gotico: e in effetti può notarsi un rapporto abbastanza stretto tra il maturo, rassicurante Quatermass fantascientifico degli anni Cinquanta e il gotico Van Helsing/Cushing nel 1958 destinato a divenire seriale fino a proiettarsi nell’età contemporanea. In quella che sarà definita (non troppo correttamente) la “svirilizzazione dell’eroe” emerge del resto qualcosa di molto britannico: a conquistare la scena non è il giovanottone destinato a salvarsi con la bella – modello classico a stelle e strisce – ma un uomo maturo, responsabile e ascetico. Profilo quanto mai favorevole al ritorno dei dottori dell’occulto: tanto più che nel frattempo, in naturale controtendenza all’accentuata tecnologizzazione e alle paure di una scienza che ha prodotto l’atomica, una serie di posizioni alternative riprende forza. Non è questa la sede per uno studio sul progressivo fermentare – attraverso più rivoli, su tutte le tinte ideologiche – di una sensibilità “magica” nel corso degli anni Sessanta, ma l’impatto planetario dei film gotici Hammer, giunti all’apogeo tra le minigonne di Carnaby Street, vi ha senz’altro un ruolo di concausa: e il revival magico a cavallo col decennio successivo – vera e propria esplosione di occulto in tutte le possibili declinazioni, che correranno per circa un decennio – riporta a galla anche gli occult detective. Con infinite ristampe dei classici di cui nasce un fiorente mercato, ma anche figure nuove, dove il modello si adegua ai tempi con un pizzico di psichedelia (indimenticabili certe copertine). Figli di quest’epoca sono per esempio Lucius Leffing di Joseph Payne Brennan (dal 1962); il cantastorie John the Balladeer, detto Silver John, ancora di Manly Wade Wellman, che incontra sulla propria strada varie vicende sovrannaturali (dal 1963); la squadra dei Guardians di “Peter Saxon” (in realtà uno pseudonimo collettivo – dal 1966 circa); e poi il dottor Owen Orient di Frank Lauria (dal 1971), il decisamente più noto Titus Crow di Brian Lumley (dal 1974), il dottor Alex Caspian di John Burke (dal 1976). Un caso un po’ particolare è quello dell’Anton Zarnak inventato da Lin Carter forse già nei primi anni Cinquanta ma apparso poi in racconti suoi e di autori amici. D’altra parte, e al di là delle infinite trasposizioni dei classici, negli anni Settanta i detective dell’occulto si moltiplicano anche in TV (si pensi all’americano David Sorrell di Louis Jourdan in due film 1969-70, all’ispettore francese Paumier della Squadra dei sortilegi – La Brigade des maléfices – del 1971, al Carl Kolchak protagonista di film e serie TV americane dal 1972, al britannico Tom Kovack interpretato da Leonard Nimoy nel 1973, più vari altri) e ovviamente nel cinema. Tra i fumetti può poi almeno citarsi il Doctor Spektor di Donald F. Glut e Dan Spiegle (dal 1972).
Fin qui i dottori “laici”: ma occorre ricordare per questa fase anche l’uscita del romanzo (1971) e poi film (1973) The Exorcist, che fa saltare il tavolo dell’horror, segnando un vero spartiacque, e portando lo specialista in clergyman del confronto col sovrannaturale e la categoria possessione sotto i riflettori. Le peculiarità del filone ecclesial-demonologico consigliano comunque di non trattarlo in questa breve rassegna.
Il gotico, linguaggio insieme del mito e della sovversione, subisce però un tracollo con il cosiddetto riflusso e la normalizzazione del decennio Ottanta. L’horror non sparisce, ma abbandona le forme tradizionali ora verso una serie di declinazioni giovanilistiche o comiche (a volte geniali, come in Ghostbusters, 1984, ma più spesso scipite), ora inseguendo dimensioni più oniriche e psicologicamente disturbanti. Non stupisce che in questa fase emergano personaggi di detective dell’occulto come il tatuatissimo – contro il male – Harry D’Amour di Clive Barker (dal 1985) o, nel fumetto, il nostrano Dylan Dog di Tiziano Sclavi (dal 1986): abbandonati i mostri tradizionali, il detective dell’occulto deve fare i conti con il labirinto di dimensioni diverse, febbricitanti e disturbanti, in osmosi con la sua interiorità. Di quest’epoca è anche, in chiave narrativa, il David Ash di James Herbert (dal 1988) e qualcuno aggrega alla categoria pure l’investigatore olistico Dirk Gently di Douglas Adams (dal 1987); mentre nel fumetto vediamo nascere (nel 1984) John Constantine, le cui connotazioni gotico-occultistiche – per l’epoca, piuttosto controcorrente – sono frutto della sensibilità particolare di Alan Moore. Il decennio viene idealmente chiuso dalla serie Twin Peaks ideata da David Lynch e Mark Frost (1990-1991 con seguiti – T.P.: Fire Walk with Me, 1992, e altri in arrivo), dove l’eccentrico e brillante agente Dale Cooper dell’FBI (Kyle MacLachlan) dovrà fare i conti proprio con la categoria della possessione, come a prefigurare un ritorno ad antichi orrori. A confermare che l’occult detective non è in sé un personaggio gotico in senso stretto, ma con frequenza nella sua declinazione seriale attinge a mitemi di un mondo mitico-magico eminentemente valorizzato dal gotico.
Sempre procedendo a volo d’uccello, vediamo infatti il gotico riapparire con forza nei Novanta. Idealmente con il Van Helsing di Anthony Hopkins, 1992, che apre le porte a una stagione di revival degli antichi miti. In spirito diverso da quello del passato, perché il mondo è ormai cambiato: non più nel segno del recupero orgoglioso – certo pragmatico ma vagamente nostalgico – di epopee nazionali come ai tempi Hammer, ma piuttosto della scoperta postmoderna che il gotico “funziona” ancora, che ha ancora appeal per un mercato planetario. E la diffusione di internet e le nuove tecniche di home video lo coroneranno, movimentando la conoscenza dei “classici” e consolidandone il culto.
Certo, ad affrontare casi “occulti” è ora una diversificatissima serie di personaggi, dei più svariati registri e spessori di linguaggio: ma, anche limitandosi a qualche esempio (ed escludendo, per dire, tutto l’universo ora fiorente di anime e manga, che aprirebbe discorsi a parte), la semplice elencazione delle date di inizio avventure basta a rendersi conto di quanto il periodo sia nuovamente fertile. Nel 1990 appare la Ghost Hunter Miss Penelope Pettiweather di Jessica Amanda Salmonson (narrativa); nel 1991 il patinato Sir Adam Sinclair di Katherine Kurtz e Deborah T. Harris (narrativa); nel 1992 Buffy l’ammazzavampiri (cinema, ma protomodello per la ben diversa serie TV che partirà nel 1997); nel 1993 Anita Blake di Laurell K. Hamilton (narrativa), il duo Mulder & Scully di The X-Files (televisione, poi cinema) ed Hellboy (fumetto, poi cinema – anomalo come detective per il suo statuto diavolesco); nel 1994 l’inquisitore Eymerich di Valerio Evangelisti (narrativa, poi vari altri linguaggi); nel 1998 Ethan Proctor di Charles L. Grant (narrativa); nel 1999 i protagonisti della saga The League of Extraordinary Gentlemen di Alan Moore e Kevin O’Neill, più volte alle prese con l’occulto; nel 2000 Harlan Draka protagonista del Dampyr di Mauro Boselli (fumetto); nel 2007 Harry Dresden della serie The Dresden Files (televisione); nel 2009 il duo di ammazzamostri Claudio & Vergy di Claudio Vergnani (narrativa); nel 2011 Grimm della serie tv omonima (televisione)… E a questi possiamo aggiungere la quantità di indagatori dei romanzi di Danilo Arona, la cui attività è iniziata certamente prima, ma si fa in questa fase sempre più intensa.
Figure molto diverse, si ripete, non tutte propriamente “gotiche” ma che della tradizione gotica richiamano singoli aspetti; figure solo in parte raccordabili in costellazioni (Buffy e Anita Blake si rivolgono per esempio a pubblici affini), ma che comunque colpiscono e coinvolgono grandi masse di lettori/spettatori, suscitano studi popolari come accademici, costruiscono di avventura in avventura universi alternativi (si parla di Buffyverse, Anitaverse eccetera). Il periodo lo permette, e le creature dell’antico gotico e i loro indagatori/cacciatori sembrano rappresentare maschere efficaci per esprimere istanze e sogni epocali. Col risultato di dilagare ben oltre i limiti della cosiddetta sottocultura gothica, e di interessare anche grandi capitali: e, ferma restando la varietà di contesti e (si ripete) di spessori culturali, il boom finisce con l’essere veicolato dalle sorti della saga Twilight, che tra romanzi e film copre il periodo 2005-12 con un impressionante indotto (imitatori, glossatori, anche “esperti” spuntati come funghi). Il suo esaurirsi segna in effetti una contrazione non solo del “romanticismo sexy” in chiave vampirica, ma, per saturazione, di un po’ tutta l’attenzione per il gotico e i suoi miti. Qualcosa che non penalizza – è ovvio – personaggi efficaci, ma sposta drasticamente gli equilibri generali: ed è indicativo misurare in metri lineari nelle grandi librerie la quantità di spazio occupata dal gotico (vero, o più spesso farlocco) durante la stagione Twilight, e quella ben più contenuta attuale.
Un’altra ottima cartina tornasole è però il cinema. E se, guardandoci indietro, prendiamo in esame in termini panoramici lo sviluppo dell’immaginario a partire dagli anni Trenta – quando cioè le grandi platee in Occidente iniziano ad accedere alla celebrazione dei riti gotici su schermo – ci troviamo davanti uno schema alla grossa riassumibile così:

anni Trenta (dal 1931, Dracula di Browning): crescita del gotico;
– anni Quaranta: assestamento e sfilacciamento;
– – anni Cinquanta: contrazione/eclissi;
anni Sessanta (dal 1957, The Curse of Frankenstein di Fisher): nuova crescita del gotico;
– anni Settanta: assestamento e sfilacciamento;
– – anni Ottanta: contrazione/eclissi;
anni Novanta (dal 1992, Bram Stoker’s Dracula di Coppola): nuova crescita del gotico;
– anni Zero: assestamento e sfilacciamento;
– – anni Dieci (dallo spegnersi del boom dei vampiri attorno al 2012): contrazione/eclissi.

Ed è in quest’ultima fase che ci troviamo ora. Dove “contrazione/eclissi” non significa una sparizione del gotico, ma solo l’entrata in una fase di recessione dalle mode – a dispetto anche di singole fortunatissime uscite, come la saga TV Penny Dreadful, con l’eroina Vanessa Ives di Eva Green che indaga in un sottomondo occulto (2014-16). E a parte alcune notevoli eccezioni prevale una stanca sensazione di già visto.
Possiamo aspettarci una nuova fase “up” (indicativamente) negli anni Venti? Difficile dire se il trend trentennale troverà ulteriori conferme, e difficile anche immaginare i connotati di una rinnovata crescita del gotico – che per esempio dovrà fare i conti con l’effetto-Legione dei fantasmi dell’era di internet, indefinitamente frantumati in sciami di grumi psichici come già adesso nei romanzi di Arona. I nuovi dottori potranno fronteggiare sempre più frequentemente simili emergenze, con un piede in Matrix e l’altro in The Exorcist: ma di più al momento è difficile dire.
In ogni caso The Professor arriva in questa stagione di “bassa”, e in attesa di una nuova fase “up” deve combattere per aprirsi la strada. E due riflessioni possono emergere.
Anzitutto si è visto che di società in società gli occult detective hanno recato diversissime provocazioni: le istanze dell’ordine soffocante e necrotizzante, la critica all’affidabilità delle agenzie riconosciute o il tentativo eclettico di rinnovarne l’approccio, l’apertura a una dimensione di mistero e la ricerca di guarigione dai propri demoni, la saldatura tra nostalgia e nuove euforie d’epoca, il recupero vintage di un linguaggio avvertito come simbolicamente forte… Ma al di là degli specifici il senso della maschera dell’occult detective, il successo del suo ruolo si misurano proprio in termini di provocazione, di shock culturale. Non semplicemente l’originalità delle azioni o la mossa inattesa (come in fondo per qualunque personaggio, per sostenere una buona storia), ma lo scarto dalle categorie del lettore/spettatore: all’imprevisto del monstrum, che viola l’equilibrio della realtà, segue cioè la risposta altrettanto imprevista (sul piano della logica prima che ancora delle azioni) da parte dell’occult detective. Detentore di una scienza di cui il lettore/spettatore deve poter cogliere qualcosa ma non tutto (come l’emergere della punta di un iceberg di cui si avverte la massa sommersa, che però resta invisibile: se il pubblico ha la sensazione di sapere quanto l’esperto, il personaggio fallisce), trickster e sciamano dalla vaga ambiguità, l’occult detective “funziona” quando spiazza. Serializzando, specie dopo un po’ di numeri, la sfida sta nel conservare tale carattere: ed è questo l’augurio che si rivolge a The Professor.
Ma c’è un secondo aspetto, più strettamente legato ai nostri tempi. Viviamo una stagione in cui le categorie di affidabilità e autorevolezza sono giustamente prese con le pinze, i quacquaraquà occupano poltrone dappertutto, la credibilità – a partire da quella umana – è merce rara: in questo senso la Nostra è molto più l’età di Hesselius che di Van Helsing. Ma se nella nostra vita abbiamo incontrato qualcuno con quella marcia in più, che con la sua competenza e maturità ha saputo cacciare qualche ombra che ci faceva male, che ha saputo calarsi nella casa infestata in cui in quel momento (può succedere) ci trovavamo, ecco l’occult detective di cui avremmo bisogno. E il volto di Cushing, l’affidabilità e insieme l’ambiguità dei personaggi da lui interpretati (a fronte della sua umanità personale, spesso ricordata) sembra felicemente ricordare in The Professor quel mix di sospetto e nostalgia che ci portiamo addosso.