di Gianmario Leone ilva

Questo articolo è stato pubblicato il 30.08.2013 sulla testata locale “TarantoOggi” e su quella on line “Inchiostro Verde”. Come ricordato dall’autore in un precedente articolo, il decreto approvato sarà applicato non solo all’Ilva di Taranto, ma anche a quelle di e di Genova, Novi Ligure, Racconigi, Marghera e Patrica, e varrà anche per tutti gli altri complessi industriali che dovessero trovarsi in una situazione analoga.

È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.197 del 23 agosto 2013 il decreto del 24 aprile 2013 sulle “Disposizioni volte a stabilire i criteri metodologici utili per la redazione del rapporto di valutazione del danno sanitario (VDS) in attuazione dell’articolo 1-bis, comma 2, del decreto-legge 3 dicembre 2012, n.207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231”, a firma dell’ex ministro della Salute Renato Balduzzi e dell’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini. Il tutto, come si ricorderà, trae spunto dalla legge 21/2012 “Norme a tutela della salute, dell’ambiente e del territorio sulle emissioni industriali inquinanti per le aree pugliesi già dichiarate ad elevato rischio ambientale”, approvata all’unanimità il 17 luglio del 2012 dal consiglio regionale della Puglia.

L’intento era quello di “prevenire ed evitare un pericolo grave, immediato o differito, per la salute degli esseri viventi e per il territorio regionale”. Il regolamento della legge regionale fu approvato il 3 ottobre dello scorso anno. Mentre la prima relazione redatta congiuntamente dall’Agenzia Regionale dei Servizi Sanitari (AReS), dall’Agenzia Regionale per la Prevenzione e la Protezione dell’Ambiente della Puglia (ARPA) e dall’Azienda Sanitaria Locale (ASL) competente per territorio (in questo caso di Taranto), che la legge regionale prevede sia prodotta almeno con cadenza annuale, oltre a basarsi sul registro tumori regionale e mappe epidemiologiche sulle principali malattie a carattere ambientale, ha inglobato i dati del registro tumori di Taranto (valido per gli anni 2006-07-08) e quelli dello studio Sentieri (dal 2003 al 2009) realizzato dal ministero della Salute e dall’Istituto Superiore della Sanità.

Presentata durante la riunione della V commissione regionale lo scorso 29 maggio e lunga ben 99 pagine, la conclusione della relazione della VdS fu la seguente: “I miglioramenti delle prestazioni ambientali, conseguiti con la completa attuazione della nuova AIA (prevista per il 2016), comporteranno un dimezzamento del rischio cancerogeno nella popolazione residente intorno all’area industriale”. Indi per cui il consiglio finale per salvare il possibile, fu quello di chiedere la riduzione della produzione dell’Ilva dalle 8 milioni di tonnellate di acciaio previste dall’AIA alle 7 di ARPA Puglia.

Un mese dopo, il 26 luglio, il dott. Agostino Di Ciaula (ISDE, Medici per l’Ambiente) fu ascoltato dalla commissione Ambiente della Camera dei Deputati. Il suo giudizio fu netto: anche grazie ai due decreti ‘salva-Ilva’, la salute dei tarantini resta negoziabile. Inoltre, Di Ciaula sottolineò come il calcolo espresso nella prima relazione sulla valutazione del danno sanitario prodotto dall’Ilva, fosse “solo parziale” e il dato sul rischio “fortemente sottostimato”. L’analisi, infatti, prende in considerazione i rischi tumorali legati alla sola inalazione di sostanze inquinanti, escludendo completamente le altre vie di assunzione delle sostanze tossiche emesse dall’Ilva per ingestione. Il rapporto ARPA, sostenne sempre Di Ciaula, “calcola i rischi che quelle concentrazioni di inquinanti causano in soggetti adulti di peso medio. Non considera che a parità di concentrazioni il rischio è decine di volte più alto per i feti e per i bambini”.

La legge regionale la contestammo subito. Troppo farraginosa e lunga nella sua applicazione. A cominciare dai 90 giorni di tempo previsti per la redazione della relazione sul danno sanitario, che poi sono diventati 207. Per continuare con i 30 giorni concessi all’azienda per presentare le sue osservazioni (evitiamo di riportare qui la polemica scoppiata a metà luglio tra ARPA e il commissario dell’Ilva Enrico Bondi). Non solo. Perché all’art.3 della legge regionale, che riguarda le “Emissioni in atmosfera”, si leggeva che “ove il rapporto evidenzi criticità, gli stabilimenti dovranno ridurre i valori di emissione massica in atmosfera degli inquinanti per i quali lo stesso ha evidenziato criticità. Tale riduzione sarà determinata in proporzione al danno accertato rispetto al valore medio calcolato sui dati disponibili dei precedenti 5 anni”. Solo in questo caso sarà “obbligatoria l’adozione di sistemi di campionamento in continuo delle emissioni convogliate di tutti gli inquinanti”: attenzione però, perché ciò avverrà soltanto “ove tecnicamente fattibile”. Come consolazione, è comunque previsto “l’obbligatorio monitoraggio in continuo degli IPA al perimetro degli stabilimenti”, peraltro già previsto nella legge regionale sul benzo(a)pirene varata nel settembre del 2011 (a cui l’Ilva oppose un netto rifiuto). Quella centraline, promesse nell’agosto dello scorso anno e previste anche dall’AIA, devono ancora essere installate. Poi, all’art.5, “Interventi per evitare la diffusione di polveri inquinanti in atmosfera e nell’ambiente”, si leggeva che “ove il rapporto evidenzi criticità, gli stabilimenti che impiegano per le loro attività materiali e composti polverulenti per i quali non risulta tecnicamente possibile la quantificazione delle relative emissioni massiche, dovranno essere dotati di idonei sistemi atti a prevenire ed evitare il diffondersi nell’ambiente circostante di polveri tal quali o derivanti da processi produttivi”. Ma della copertura dei parchi minerali, prevista anche dall’AIA, ad oggi non c’è nemmeno un progetto che sia uno. Quella legge prevedeva inoltre che entro 120 giorni, l’azienda avrebbe dovuto proporre un piano di riduzione delle emissioni. Che qualora non fossero cessate, avrebbero consentito all’Autorità sanitaria locale la possibilità di disporre la sospensione dell’esercizio dell’impianto.

morteNon è un caso quindi, se il decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale preveda “criteri metodologici utili per la redazione del rapporto di valutazione del danno sanitario” ancora più lunghi e complessi. E che comunque sia stato stabilito nel testo della legge ‘salva Ilva bis’ approvata lo scorso 1 agosto, che la VdS potrà al massimo comportare un ulteriore riesame dell’Autorizzazione integrata ambientale, “finalizzata all’ulteriore contenimento dei contaminanti che li originano”. Perché “la continuità del funzionamento produttivo degli stabilimenti di preminente interesse pubblico, costituisce una priorità strategica di interesse nazionale”. La salute dei lavoratori e dei cittadini, così come la tutela dell’ambiente, sono ancora oggi “negoziabili”. Perché ancora oggi sono in molti a credere che sia giusto sottoporre uomini, donne, bambini e anziani ad un rischio cancerogeno “accettabile”.